Capitolo 16 LE ORIGINI DI ROMA E LA PRIMA ETÀ REPUBBLICANA

i concetti chiave
  • La nascita di Roma raccontata dal mito e dalla storia
  • L’articolazione sociale: patrizi, plebei e proletari; l’istituto della clientela
  • Le prime riforme: l’ampliamento dell’esercito e l’estensione del diritto di voto
  • Il passaggio dalla monarchia alla repubblica e le nuove istituzioni: consoli e comizi centuriati
  • Il modello della res publica: magistrature collegiali e temporanee, controllate dai consoli o dal senato
  • Le conquiste dei plebei: l’istituzione dei tribuni della plebe e le leggi delle Dodici tavole
  • La funzione civile della religiosità romana

1. La fondazione di Roma: tra mito e verità storica

Nell’antichità, le leggende sull’origine delle città avevano grande importanza: conferivano un’identità collettiva alla comunità e ne prefiguravano un destino di nobiltà e grandezza. Non stupisce dunque che anche le origini di Roma siano avvolte da un alone mitico ed eroico, tramandate da racconti che ai pochi elementi storici uniscono motivi epici e leggendari. Ne è un esempio l’Eneide di Virgilio, che narra di come Enea, l’eroe fuggito da Troia, conquistata dagli Achei, giunse nel Lazio, dove sposò Lavinia, figlia del re Latino, sconfisse Turno, re dei Rutuli, e fondò una nuova città, Lavinio, originando una stirpe da cui sarebbe nata successivamente la città di Roma.
Alla narrazione virgiliana si ricollega anche la leggenda oggi più nota e diffusa: il figlio di Enea, Ascanio, fondò Alba Longa, a capo della quale, dopo una lunga serie di re, fu posto Numitore. Il fratello minore Amulio ne usurpò però il regno ed eliminò la sua discendenza, uccidendone dapprima il figlio maschio e consacrando in seguito la figlia, Rea Silvia, al culto della dea Vesta, obbligandola alla verginità. Ma la giovane venne sedotta dal dio Marte, e dalla loro unione nacquero due gemelli, Romolo e Remo. Il re allora condannò a morte la fanciulla e consegnò i due neonati a una serva, affinché li eliminasse. Abbandonati sulle rive del Tevere in una cesta, i gemelli scamparono al destino di morte grazie all’intervento di una lupa (il futuro simbolo di Roma), che li trovò sotto un albero di fico e li allattò, e di un pastore, che li allevò. Una volta cresciuti e venuti a conoscenza delle loro origini semidivine, i gemelli vendicarono la madre uccidendo Amulio e rimettendo sul trono di Alba Longa il nonno Numitore. Decisero poi di fondare una nuova città: prescelto dagli dèi, fu Romolo a tracciarne, sul colle Palatino, il solco sacro, come era proprio della tradizione etrusca; ma Remo, invidioso, sfidò il fratello oltrepassando il solco. Per vendicare l’affronto, Romolo lo uccise. L’evento, secondo lo storico e grammatico Varrone (II-I secolo a.C.), avrebbe una data precisa: il 21 aprile del 753 a.C., giorno che sarebbe in seguito divenuto il riferimento per il conteggio degli anni ab urbe condita, cioè dalla fondazione di Roma.

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I sette re e la fine della monarchia

La leggenda narra anche le vicende successive alla fondazione della nuova città. Per accrescere la popolazione, Romolo decise di dare asilo ( Testimonianze della storia, p. 293) ai fuggitivi dei villaggi vicini; per ovviare alla carenza di donne, inoltre, organizzò una trappola ai danni dei Sabini, tribù che viveva sui colli del Campidoglio e del Quirinale: li invitò a una festa facendo rapire le loro donne (l’episodio è conosciuto come il “ratto delle Sabine”). Dopo una breve guerra, i due popoli si fusero; inizialmente furono governati da Romolo e da Tazio, re Sabino, poi dal solo Romolo, finché questi scomparve misteriosamente in cielo trasformandosi nel dio Quirino. Esiste poi un’altra versione, secondo cui furono i senatori a ucciderlo, tagliando a pezzi il suo corpo.
Dopo Romolo la tradizione elenca altri sei re, ognuno dei quali avrebbe avuto un ruolo preciso nello sviluppo della città. Numa Pompilio istituì i culti religiosi e i collegi sacerdotali e inventò il calendario dei culti pubblici; Tullo Ostilio avviò la prima espansione di Roma e definì le regole per dichiarare guerra; Anco Marzio annesse alla città i colli Aventino, Gianicolo e Celio, diede impulso all’edilizia e fondò la colonia di Ostia, dotando così la città di uno sbocco sul mare. A questi re latino-sabini ne seguirono tre di stirpe etrusca, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Lucio Tarquinio il Superbo, i quali avrebbero fatto costruire mura difensive, templi (come quello di Giove Capitolino) ed edifici pubblici (il Foro). Servio Tullio, in particolare, avrebbe organizzato l’esercito e ideato il primo censimento generale. Avrebbe inoltre dato impulso alla creazione di un primo assetto istituzionale stabile e di un nuovo ordinamento civico (secondo la tradizione, avrebbe introdotto, per esempio, il principio in base al quale lo schiavo liberato diventava automaticamente cittadino romano). Per lo spirito riformatore della sua azione i Romani lo paragoneranno al legislatore ateniese Solone.
Secondo la tradizione, nel 509 a.C. i nobili si ribellarono al potere autoritario dell’ultimo sovrano etrusco e sostituirono la figura del re con due consoli, magistrati eletti. Durante questo passaggio a un nuovo regime, non così semplice e immediato, si assistette a un primo confuso periodo di tentativi, da parte di re o condottieri, di riprendere il controllo della città. È il caso di Porsenna, potente lucumone di Chiusi, il quale, assediando Roma, tentò di riportarvi i Tarquini. Ma il ritorno dei re fu scongiurato e, al posto della monarchia, venne inaugurato il nuovo assetto istituzionale della repubblica.

Il ratto delle Sabine

Il popolo raccolto da Romolo finì per configurarsi come un insieme di esuli, malviventi e schiavi fuggiti.
Poche, se non del tutto assenti, erano le donne, fattore che avrebbe potuto mettere in pericolo la sopravvivenza del popolo stesso. Consapevole di ciò, Romolo provò pertanto a inviare ambascerie ai popoli limitrofi, nel tentativo di stringere alleanze e accordi matrimoniali. Tutti rifiutarono di concedere le proprie donne a una simile stirpe; la popolazione dei Sabini rifiutò con particolare sdegno, provocando la reazione di Romolo che, dopo aver attratto in città le diverse tribù con il pretesto di uno spettacolo, spiazzò i Sabini durante la messa in scena e ne rapì le fanciulle non sposate.
Il rapimento fu seguito da una breve guerra cui si dice ponesse fine proprio la mediazione delle donne, che ottennero il raggiungimento di un accordo di pace.

La “vera” nascita di Roma

Gli stessi storici romani – che pure avevano grande rispetto per la tradizione – furono i primi a dubitare della ricostruzione delle origini di Roma proposta dalla leggenda; tuttavia anch’essa contiene indizi di verità storica. Gli scavi archeologici, per esempio, confermano che la formazione originaria di Roma è avvenuta in seguito all’unificazione di più insediamenti prima indipendenti. I resti delle fondazioni testimoniano che sul colle Palatino fu costruita una cinta muraria tra il 730 e il 720 a.C., dunque in un periodo molto prossimo alla data tradizionale della nascita di Roma (753 a.C.). Nel VII secolo a.C., i villaggi situati sulle alture di tufo nei pressi di una curva del Tevere, separati da una palude causata dagli straripamenti del fiume, bonificarono le terre inospitali che li dividevano e si unirono. A essi si aggregarono poi i villaggi degli altri colli dell’area: Viminale, Esquilino, Celio, Aventino, Campidoglio, Quirinale. I villaggi furono costruiti sulle alture proprio per evitare i danni provocati dalle improvvise inondazioni del fiume, oltre che per sfuggire alle malattie provocate dagli insetti che infestavano le aree paludose. La posizione elevata consentiva inoltre di difendere meglio l’abitato in caso di incursioni di genti nemiche.
Anche i Tarquini sono il riflesso di un dato storico reale: l’influenza politica ed economica degli Etruschi, da cui Roma ereditò la conoscenza delle tecniche di canalizzazione delle acque utilizzate per la bonifica dei terreni paludosi, la capacità di costruire complesse reti fognarie (come la Cloaca Maxima, monumentale sistema fognario concluso da Tarquinio il Superbo) e di realizzare canali e acquedotti per l’approvvigionamento idrico della città. Grazie agli Etruschi, inoltre, i Romani rafforzarono i rapporti con i Greci, come mostrano i debiti che il mito fondativo di Roma (con la figura del troiano Enea) ha nei confronti della cultura greca e di Omero in particolare; infine, anche le pratiche religiose sono debitrici dei culti etruschi.
Nell’epoca attribuita dalla tradizione ai Tarquini, dunque, un insediamento piccolo ma già piuttosto fortunato in virtù della favorevole posizione ambientale – il Tevere era un fiume navigabile che consentiva il collegamento dell’entroterra con il mar Tirreno, sul quale transitava il commercio del sale, ed era circondato da terre fertili – diventò ulteriormente attivo e vivace. Accanto alle favorevoli condizioni ambientali, però, l’intervento umano fu fondamentale per garantire la prosperità dell’area. I lavori di bonifica, in particolare, ridussero l’ampiezza delle paludi ed estesero i terreni coltivabili. L’incremento delle aree agricole, a sua volta, stimolò gli scambi commerciali, creando le premesse per il miglioramento delle condizioni di vita di una popolazione in crescita.
Il numero degli abitanti aumentò con l’arrivo di artigiani e mercanti dalle aree limitrofe, attratti dalle opportunità di sviluppo economico, e Roma cominciò ad avere un ruolo di primo piano nella regione.
Con l’intensificazione dei commerci, in breve tempo anche le attività artigianali fiorirono e determinarono un ulteriore incremento delle relazioni mercantili con gli altri popoli italici. In questo periodo vennero introdotte le prime forme rudimentali di moneta, costituite da pezzi di bronzo non lavorato.
Tra il VII e il VI secolo a.C., dunque, Roma entrava nella storia da protagonista: nel VI secolo a.C. gli Etruschi erano in fase di declino e stavano perdendo la supremazia territoriale acquisita nei secoli precedenti. Nella battaglia di Aricia (508 a.C., secondo una fonte greca), il lucumone etrusco di Chiusi, Porsenna, fu sconfitto dall’esercito dei Latini e dei Greci di Cuma, loro alleati, e perse il controllo sul Lazio e su Roma.

TESTIMONIANZE DELLA STORIA

L’ACCOGLIENZA, PRIMA GRANDEZZA DI ROMA

Ricostruire le vicende dell’origine della città fu un’esigenza fondamentale per i Romani dei secoli successivi, per spiegare innanzitutto da dove provenisse la popolazione e come fosse cresciuta. Secondo la leggenda, per decisione di Romolo, chi giungeva sul Campidoglio, luogo sacro e “inviolabile” – definito asylum, termine derivante dal greco ásylos usato per indicare un luogo in cui non si può essere catturati –, e chiedeva di “diventare romano”, doveva essere accettato e protetto, anche se schiavo, omicida o ladro. Nessuno storico romano nega questa tradizione. Le opinioni, tuttavia, divergono su una questione strettamente correlata: gli individui accolti da Romolo tramite l’istituto dell’asylum erano persone oneste o pericolose?
Presentiamo qui le opinioni di due storici portatori di opposte visioni: il romano Tito Livio (nato a Padova nel 59 a.C.) e il greco Dionigi (nato nel 60 a.C. ad Alicarnasso, la città di Erodoto). Entrambi scrivevano sotto il governo imperiale di Ottaviano, a cavallo tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.

Frattanto l’Urbe si ampliava, incorporando entro la cerchia delle mura sempre nuovi territori, poiché le mura venivano costruite in vista della popolazione futura, più che in rapporto a quella che v’era allora. In seguito, perché non fosse inutile tale ampiezza dell’Urbe, allo scopo di accrescere la popolazione secondo l’antico accorgimento dei fondatori di città, i quali attiravano a sé gente oscura e umile facendola passare per autoctona, [Romolo] offrì come asilo il luogo che ora, a chi vi sale [sul Campidoglio], appare circondato da una siepe tra due boschi. Ivi si rifugiò dai popoli vicini, avida di novità, una folla di gente d’ogni sorta, senza distinzione alcuna tra liberi e servi, e quello fu il primo nerbo dell’incipiente grandezza.


Tito Livio, Ab Urbe condita, I, 8, 4-7, trad. di L. Perelli, Utet, Torino 1979

Poi, avendo saputo che molte città d’Italia erano governate da pessime tirannidi e oligarchie, [Romolo] si accinse a raccogliere e attirare a sé coloro che – erano molti – abbandonavano queste città, purché fossero di condizione libera, senza discriminarli in base alle loro sventure o fortune, deciso ad accrescere in questo modo la potenza di Roma e sminuire quella dei vicini. Ma egli rese dignitose queste cose escogitando il pretesto di glorificare il dio mediante quest’opera di accoglienza. Rese sacra, come rifugio per i supplici, la zona compresa tra il Campidoglio e la roccaforte, che nella lingua romana è chiamata “il confine delle due selve” [...] ed eresse ivi un tempio [...]. Ai supplici che avessero trovato asilo in questo tempio garantì che non avrebbero subìto alcun danno in virtù della pietà verso il divino e inoltre, se avessero voluto rimanere nella sua città, avrebbe concesso loro il diritto di cittadinanza e di un lotto di terra di cui venisse in possesso, avendolo strappato ai nemici. Da ogni luogo accorrevano in massa fuggendo i mali della propria terra e non andavano oltre.


Dionigi di Alicarnasso, Le antichità romane, II, 15, 3-4, trad. di E. Guzzi, Einaudi, Torino 2010

PER FISSARE I CONCETTI
  • Perché nessuno dei due autori reputa negativa l’accoglienza?
  • Che cosa si intende per gente “avida di novità”?
  • Secondo Livio, quali sono le ragioni che motivano l’accoglienza?
  • Perché, secondo Dionigi, Romolo costruisce il rifugio sul Campidoglio?
  • Secondo Dionigi, l’“immigrazione” a Roma è motivata da ragioni ideali o da ragioni economiche?

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Il sale, una ricchezza di Roma

Il sale era utilizzato in numerosi modi, dalla conservazione dei cibi (era l’unico conservante, oltre al freddo, conosciuto nell’antichità) alla loro preparazione, e soprattutto nell’allevamento: l’assunzione di sale da parte degli animali, infatti, permette di aumentare la produzione di latte, lana, pelli e concime, oltre che di carne. Una pecora ha bisogno di tre chili di sale all’anno, un bue di trenta; per allevare questi animali era dunque necessario molto sale: non a caso il Foro Boario, cioè “il foro dei bovini”, ossia il mercato del bestiame, era collocato a Roma vicino a una piccola salina.
Il maggiore centro di estrazione del sale della penisola si trovava proprio presso la foce del Tevere: per questo la via che collega l’entroterra alla costa avrebbe preso il nome di via Salaria, mentre quella che da Roma arrivava alle saline sarebbe stata denominata via Campana, da campus salarium, il campo delle saline. Queste due strade rappresentarono l’inizio di un sistema viario che si sarebbe ampiamente sviluppato in seguito, e consentirono il monopolio del commercio del sale, facendo la fortuna di Roma.

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana