Capitolo 14 - I regni ellenistici e la diffusione di una nuova cultura

Capitolo 14 I REGNI ELLENISTICI E LA DIFFUSIONE DI UNA NUOVA CULTURA

i concetti chiave
  • Formazione dei regni ellenistici posti sotto il controllo dei diadochi
  • Nei regni ellenistici il potere è del sovrano divinizzato, che governa realtà complesse: città, colonie militari, tribù e popoli diversi
  • Le città hanno istituzioni democratiche, una certa autonomia amministrativa e maggiore integrazione culturale; in Grecia le póleis si uniscono in leghe
  • Si diffonde la cultura greca tramite le biblioteche; la più famosa è quella di Alessandria d’Egitto, sede, assieme al Museo, della ricerca e degli studi di numerosi sapienti
  • È un’epoca di crisi e cambiamenti: nascono nuovi temi e generi letterari, si sviluppa il sincretismo religioso e le filosofie ricercano la via della felicità per l’uomo
  • Dopo un periodo di espansione e solidità l’India è divisa da conflitti interni, mentre la Cina è unificata nel III secolo a.C. dalla dinastia Ch’in

1. Dopo Alessandro: la formazione dei regni ellenistici

La morte di Alessandro Magno (323 a.C.) segna convenzionalmente il passaggio dall’età classica all’età ellenistica, che si chiude altrettanto convenzionalmente nel 31 a.C., anno in cui i Romani conquistarono l’Egitto, l’ultimo regno erede dell’impero macedone. Il termine “ellenismo” è stato utilizzato dagli storici a partire dal XIX secolo per indicare il fenomeno di diffusione della cultura greca in Oriente e, al tempo stesso, l’influenza che le civiltà orientali hanno esercitato su di essa. In alcune aree il processo di ellenizzazione della società fu molto profondo e duraturo (in Asia minore, per esempio, dove del resto la presenza greca risaliva già ai secoli precedenti); altrove, invece, la civiltà greca si fuse per sincretismo con le culture locali. Questi fenomeni, tuttavia, riguardarono principalmente le città, mentre la gran parte dei vasti territori rurali ne rimase pressoché esclusa.

Le monarchie ellenistiche

Alla morte di Alessandro, scomparso senza aver designato eredi diretti, l’unità territoriale delle sue conquiste si frantumò, e l’impero venne frazionato in diverse regioni poste sotto il controllo dei suoi generali, i diàdochi (“successori”). Si trattava però di un equilibrio estremamente precario, perché ogni diadoco mirava a estendere il proprio potere.
L’instabilità sfociò in una serie di guerre che durarono dal 322 al 281 a.C., con alleanze variabili e andamento incerto, al termine delle quali l’impero si divise definitivamente in numerose monarchie ereditarie.
In Macedonia, nella corte imperiale di Pella, si instaurò la dinastia degli Antigònidi, dal nome del loro capostipite, Antìgono Monoftalmo (“con un solo occhio”, così chiamato perché aveva perso un occhio combattendo come generale di Alessandro). Con l’aiuto del figlio Demetrio, egli si batté contro gli altri diadochi per espandere i propri domini nel Mediterraneo e rafforzò la sua influenza sulla Grecia, dove le póleis mantenevano un’autonomia ormai solo formale. A Sparta e in altre città greche gli Antigonidi domarono nel sangue numerose rivolte scoppiate a causa della crisi economica e sociale. Ad Atene, inizialmente guidata da un governo oligarchico, Demetrio favorì il ritorno della democrazia, imponendovi però il suo protettorato militare. La città attica era ormai esclusa dai traffici con l’Oriente, i più redditizi; rimaneva però un grande centro culturale grazie alle sue scuole artistiche e filosofiche.
In Egitto il diadoco Tolomeo I Sotère (“salvatore”), forse fratellastro di Alessandro e comunque legato al re macedone fin dall’infanzia, diede inizio alla dinastia dei Tolomei. Da un punto di vista politico e culturale, egli ricollegò il suo regno alla tradizione dei faraoni egizi, mentre in campo economico diede un forte impulso alle attività commerciali, fino a raggiungere una certa supremazia nel mar Egeo. La città di Alessandria d’Egitto fu il più importante centro culturale del regno, capace di richiamare i più grandi studiosi e dotti dell’epoca. A partire dal II secolo a.C., però, una grave crisi economica colpì l’Egitto. I privilegi della casta sacerdotale furono messi in discussione da violente rivolte dovute alle condizioni di miseria in cui versava la maggior parte della popolazione. Come accennato, alla fine del I secolo a.C., il regno fu conquistato dai Romani.
Nel Vicino Oriente si affermò la dinastia dei Selèucidi, dal nome del generale macedone Selèuco, che stabilirono la loro capitale ad Antiochia e regnarono sulla parte orientale del dominio conquistato da Alessandro Magno. Inizialmente estesi dall’Anatolia all’India, i loro territori si ridussero progressivamente alla sola regione della Siria: alcune aree furono invase dai Parti, che si stabilirono in Armenia, mentre altre regioni, come la Battriana (ai confini nordorientali del regno), si ribellarono ai Seleucidi e instaurarono governi autonomi.
In Anatolia, inoltre, sorsero vari piccoli regni, il più potente dei quali fu fondato alla metà del III secolo a.C. da Attalo, capostipite della dinastia degli Attàlidi: la sua capitale, Pergamo, fu uno dei principali centri culturali ellenistici, in concorrenza con Alessandria d’Egitto. Il regno degli Attalidi conobbe un notevole sviluppo ancora nel corso del II secolo a.C. anche grazie all’alleanza con i Romani, che in quell’epoca stavano ormai diventando la potenza egemone nel Mediterraneo.

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I miti greci e l’esaltazione dei sovrani ellenistici

A Pergamo, nella capitale del regno degli Attalidi, verso la metà del II secolo a.C. il re Eumene II fece costruire un altare in onore di Zeus per celebrare la vittoria sui Galati, una popolazione di origine indoeuropea penetrata in Anatolia e sconfitta dal sovrano alessandrino nel 166 a.C. Le decorazioni del fregio dell’altare riprendono il mito greco della Gigantomachia, cioè della guerra vittoriosa contro i Titani (o Giganti) condotta da Zeus e dalle altre divinità dell’Olimpo greco. In questa simbologia il re Eumene II si identificava con le divinità della tradizione greca, mentre gli dèi sconfitti, che avevano osato sfidare il potere di Zeus, rappresentavano i nemici Galati. La scelta del tema della Gigantomachia si ricollegava direttamente alla cultura ateniese: il mito era infatti riprodotto sul peplo che ogni anno le donne nobili consegnavano alla dea Atena durante le feste Panatenee; inoltre le due principali divinità raffigurate sul fregio, Zeus e Atena, sono rappresentate in una posa che ricorda quella di Atena e di Poseidone nel frontone occidentale del Partenone ateniese. Con quest’opera Eumene II intendeva dunque esprimere l’identità di valori e di tradizioni culturali che accomunavano il suo regno all’Atene dell’età classica.

La società e le forme del potere: monarchie, póleis, federazioni

Anche se i regni sorti dalla disgregazione dell’impero di Alessandro presentavano tratti specifici, alcune caratteristiche politiche e istituzionali erano comuni a tutti. I monarchi ellenistici tesero ad accentrare nelle proprie mani ogni autorità, instaurando forme di potere assoluto che ambivano a dominare ogni aspetto della vita dei sudditi. Queste tendenze furono più marcate nei regni in cui era radicata una forte tradizione monarchica (come in Egitto); se si esclude il regno macedone degli Antigonidi, in ogni caso, in tutti gli Stati ellenistici fu promossa la divinizzazione della figura del sovrano, sull’esempio di quanto già aveva fatto Alessandro, anche per legittimare l’autorità regale con il sostegno della casta sacerdotale.
Rispetto alle póleis e agli Stati federali greci, i regni ellenistici presentavano forme nuove di organizzazione statale: essi non erano concepiti semplicemente come unioni di popoli, bensì come “Stati territoriali”, cioè realtà politiche estese su aree molto vaste che presentavano al proprio interno una grande eterogeneità geografica, etnica e persino istituzionale. Questa complessità limitava di fatto le ambizioni monarchiche a un controllo diretto e totale del territorio. Il potere centrale si doveva confrontare infatti con una pluralità di realtà istituzionali diverse e in parte autonome: città, colonie militari fondate per presidiare alcune zone periferiche, tribù e popoli legati allo Stato da legami di  vassallaggio più che di sudditanza. Per governare questa complessità, il re si serviva di funzionari locali (come i tradizionali satrapi persiani) o, nel caso delle città, di un ceto di notabili di sua fiducia.
Le città continuarono a ricoprire un ruolo importante per tutta l’età ellenistica, pur acquisendo caratteri in parte diversi da quelli delle póleis di età classica. Gli ordinamenti istituzionali si fecero più omogenei rispetto alla grande varietà che aveva storicamente caratterizzato lo sviluppo della pólis: in genere in ogni città esistevano un consiglio, un’assemblea, dei tribunali e delle magistrature elettive. Si trattava di democrazie moderate (alla cui guida, nel tempo, si affermò una casta di notabili di estrazione aristocratica) dotate di autonomia amministrativa: non erano controllate direttamente dai funzionari del re e potevano eleggere i magistrati, coniare una propria moneta, legiferare. Fu soprattutto nelle città che si verificarono i fenomeni più compiuti di integrazione etnica e culturale tra popolazioni diverse, anche attraverso il parziale superamento della separazione tra cittadini e “stranieri” che nelle póleis classiche era stata sentita sempre in modo molto profondo. Ciò avvenne nelle città più grandi: a Pergamo, a Rodi (che ebbe un grande sviluppo in questo periodo) e persino ad Alessandria d’Egitto, capitale di un regno in cui invece la separazione tra ceto amministrativo di origine greco-macedone e popolazione indigena era molto netta.
Anche nella Grecia insulare e continentale le póleis continuarono a esistere e a godere di una relativa autonomia. Ebbero però un ruolo più rilevante, in età ellenistica, le leghe tra città, e in particolare la lega achea, nata nel 281 a.C. per iniziativa delle póleis dell’Acaia, nel Peloponneso, e la lega etolica, fondata nel IV secolo a.C. ma affermatasi in età ellenistica, che arrivò a esercitare un’egemonia su tutta la Grecia centrale. Si trattava di organismi superiori alle singole città e dotati di propri organi di governo: dei veri e propri Stati federali che assicuravano un certo grado di coordinamento tra i propri aderenti e costituivano un’alternativa alla monarchia, anche dal punto di vista dell’uguaglianza tra i cittadini e dell’esercizio di forme democratiche di partecipazione alla vita politica.

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2. La koiné e la cultura ellenistica

Alla frammentazione politica di quello che era stato l’impero di Alessandro faceva da contraltare un certo grado di unità culturale, in gran parte fondata sulle tradizioni del mondo greco. Quello di “ellenismo” è in effetti un concetto essenzialmente culturale, che gli storici hanno applicato alla civiltà fiorita nel Mediterraneo orientale e nel Vicino Oriente dopo la fine delle guerre tra i diadochi soprattutto in riferimento alla lingua e alla religione.

Nel cuore della STORIA

La Biblioteca di Alessandria

La Biblioteca reale di Alessandria d’Egitto, realizzata dalla dinastia dei Tolomei a partire dalla fine del IV secolo a.C. all’interno del palazzo reale, era la più fornita del mondo antico e, insieme all’annesso Museo, rappresentava uno dei principali poli culturali del mondo ellenistico.
Nei molteplici danneggiamenti che ha subìto nei secoli, dall’incendio del 48 a.C. al tempo della campagna alessandrina di Cesare fino alla completa distruzione nel 642 d.C. da parte degli Arabi, si sono persi innumerevoli e preziosissimi manoscritti.
In memoria dell’importanza che essa ha avuto nel mondo antico, nel 2002 è entrata in funzione l’attuale Bibliotheca Alexandrina, nelle vicinanze del luogo in cui sorgeva l’antico edificio. Essa costituisce oggi un rilevante centro di cultura dell’area mediterranea: nei suoi scaffali c’è spazio sufficiente per otto milioni di libri e la struttura contiene tre musei, quattro gallerie d’arte, un planetario e un laboratorio per il restauro dei manoscritti antichi. Custodisce inoltre una copia dell’Internet Archive, l’archivio digitale di libri, audio, video, siti web fondato nel 1996 come ONG.

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La diffusione della lingua e della cultura greche

Il principale elemento di unificazione culturale fu svolto dalla lingua, la cosiddetta koiné (lingua “comune”), un’evoluzione del dialetto ionico-attico che già sotto Alessandro era divenuta l’idioma ufficiale dell’impero. La koiné continuò a essere impiegata nei regni indipendenti, ed ebbe ampia diffusione anche al di fuori del mondo ellenistico: a Roma fu utilizzata, a partire dal II secolo a.C., come lingua internazionale per le relazioni diplomatiche e gli atti ufficiali, oltre che dagli intellettuali e dai membri delle classi più ricche, che trovavano nella cultura greca i loro modelli di riferimento.
Con la lingua, si diffuse anche la cultura greca, sia grazie alla mobilità di funzionari, mercenari, coloni militari, mercanti e artigiani, sia attraverso la nascita di nuovi centri culturali. Le capitali dei regni e le molte città fondate da Alessandro – tra cui Antiochia, Alessandria d’Egitto e Pergamo –, dove Greci e Macedoni vennero invitati a insediarsi, furono le sedi di importanti biblioteche, centri di conservazione del patrimonio librario e di diffusione della cultura classica. In Egitto i Tolomei si dimostrarono la dinastia più legata all’eredità culturale greca, rendendo Alessandria il centro culturale più vivace e più influente del Mediterraneo. Qui fecero costruire due biblioteche, in cui venivano raccolti testi provenienti da ogni parte del mondo conosciuto, ottenuti per via diplomatica o requisiti ai mercanti e ai naviganti che giungevano in città. Ad Alessandria si riunirono anche molti degli Ebrei fuggiti in seguito alla diaspora ( p. 112): non a caso fu realizzata qui la traduzione dell’Antico Testamento dall’ebraico al greco, la cosiddetta “Bibbia dei Settanta”, dalla quale è derivata in seguito la versione latina del testo sacro.
Annesso alla Biblioteca di Alessandria vi era il Museo, un luogo in cui i maggiori eruditi venivano invitati a svolgere i loro studi, a spese dei Tolomei. I sovrani si circondavano di intellettuali non solo per dare lustro alla corte, ma anche per garantirsi, attraverso di loro, il predominio culturale e tecnologico.

I sapienti alessandrini

Il Museo annesso alla Biblioteca di Alessandria rappresentò per gli studiosi e gli scienziati dell’epoca un formidabile centro di ricerca, dov’era possibile avvalersi dei più avanzati strumenti di lavoro e incontrare e confrontarsi con ricercatori delle più svariate provenienze. Il primo grande studioso che vi operò, Callimaco di Cirene, realizzò una sorta di catalogo ragionato in 120 volumi di tutti i libri presenti nella biblioteca di Alessandria, dividendoli per generi. Presso il Museo lavorò anche il matematico Euclide, cui si deve una rigorosa sistemazione della geometria nella sua opera dal titolo Elementi, un compendio delle conoscenze matematiche dell’epoca: egli organizzò infatti la disciplina secondo assiomi (definizioni e postulati indimostrabili) e risolvendo i teoremi per successive deduzioni. L’opera di Euclide fornì le basi teoriche agli scienziati dei secoli successivi: anche grazie a essa Ipparco di Nicea, nel II secolo a.C., fondò la trigonometria.
Tra i settori di maggior interesse della scuola alessandrina vi furono la geografia e l’etnografia, grazie anche al fatto che le conquiste di Alessandro avevano aperto le porte dell’ignoto: Megastene realizzò una prima descrizione storico-geografica dell’India, mentre Pitea si spinse a circumnavigare la Britannia.
Applicando alla geografia i metodi matematici, Eratostene di Cirene, geografo e grande erudito (nonché direttore della Biblioteca di Alessandria dal 246 a.C. ca.), calcolò (sulla base degli studi del matematico, astronomo, medico e geografo Eudosso, il primo a sostenere la sfericità terrestre, a lungo vissuto a Siracusa presso Dionisio I e morto nel 355) la circonferenza della Terra con buona approssimazione. Studioso eclettico, redasse anche la prima cronologia critica della storia greca a partire dal 776 a.C., data corrispondente alla vittoria olimpica dell’atleta Corebo di Elide.

Ipazia

Ipazia, nata forse nel 370 d.C., matematica, filosofa, astronoma, fu insegnante prestigiosa della scuola del Museo di Alessandria, ultima erede della cultura ellenistica, che si impegnò a diffondere e a tramandare pubblicamente, in quegli anni in cui il cristianesimo trionfante cominciava a perseguitare e reprimere tutte le culture non cristiane (tra cui la scienza alessandrina, considerata blasfema).
Ipazia venne uccisa, nel 415 d.C.
ad Alessandria, da una folla inferocita di monaci cristiani (i parabolani, dediti principalmente alla cura dei malati e alla sepoltura dei morti), capeggiati dall’intransigente vescovo Cirillo, poi santificato.

Terre, mari, idee - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana