2 - L’impero di Alessandro

Unità 6 L’ETÀ ELLENISTICA >> Capitolo 13 – L’ascesa della Macedonia

2. L’impero di Alessandro

Acquisito il controllo della Grecia attraverso lo strumento della lega panellenica, Filippo II impegnò l’esercito in una nuova guerra contro l’impero persiano, con il duplice scopo di estendere i domini territoriali macedoni e di combattere la potenza che pochi anni prima aveva sostenuto economicamente la lega antimacedone. Inoltre, l’impresa militare avrebbe schierato le città greche contro un nemico comune, evitando che si coalizzassero nuovamente contro di lui.
Facendo leva sul secolare contrasto che le opponeva ai Persiani, Filippo II riuscì a coinvolgere le póleis greche nei suoi piani militari, e nel 336 a.C. invase l’Asia minore. Nello stesso anno, tuttavia, nell’imminenza della campagna militare, egli fu assassinato da alcuni nobili macedoni che ordirono una congiura per impossessarsi del trono.

Alessandro re dei Macedoni

A ereditare il trono e il compito di condurre la guerra contro i Persiani fu il figlio di Filippo II, Alessandro III, che regnò fino al 323 a.C. e che sarebbe passato alla storia con il nome di Alessandro Magno. Il giovane aveva ricevuto un’educazione greca dal filosofo Aristotele, e a soli sedici anni fondò una città con il suo nome, Alessandropoli di Tracia, chiaro segno dell’ambizione che lo muoveva. A vent’anni ebbe modo di distinguersi per la sua irruenza e le sue abilità militari nella battaglia di Cheronea.
Appena salito al trono, sostenuto da alcuni generali, dovette contrastare subito una ribellione dei nobili macedoni e i tentativi delle città greche di riconquistare l’autonomia. Con una rapida decisione riuscì, ricorrendo a un autentico bagno di sangue, a eliminare tutti gli oppositori interni (assassinando tra l’altro tutti i fratellastri nati dai sette matrimoni di Filippo) e a sottomettere i popoli confinanti ancora indipendenti (parte dei Traci, i Triballi, i Geti e i Celti). Dovette inoltre affrontare la ribellione della città di Tebe, che sconfisse e rase al suolo, deportandone gli abitanti come schiavi, nel 335 a.C.
Il drammatico episodio di Tebe pose fine alle velleità di ribellione delle póleis e consentì al nuovo sovrano di impegnarsi pienamente nella guerra contro i Persiani, che prese avvio l’anno successivo, nel 334 a.C. All’impresa diedero un contributo militare tutte le città greche facenti parte della lega di Corinto – convinte dai più abili oratori del tempo a sostenere la causa di Alessandro –, ma nel complesso le truppe elleniche erano una minoranza in un esercito composto e comandato da soldati macedoni. Quante fossero queste forze non è del tutto accertato: probabilmente si trattava di più di 40 000 soldati di fanteria e di circa 5000 cavalieri, supportati da una flotta di 120 triremi. Di contro, l’esercito persiano, nel quale, paradossalmente, militava anche un gran numero di mercenari greci, a cominciare dal comandante Memnone che era nato a Rodi, non era meno forte ma era profondamente diviso sulla tattica da opporre ai Macedoni: il comandante pensava fosse utile attirare Alessandro all’interno del Paese facendogli terra bruciata attorno; i satrapi persiani propendevano invece per lo scontro immediato, prima che Alessandro avesse modo di devastare i territori.

Le rapide conquiste di Alessandro

L’avanzata macedone nel territorio nemico fu rapida e relativamente semplice, favorita dalla crisi economica e politica dell’impero persiano, in quegli anni indebolito dalle tensioni che ne minacciavano l’unità e dalle rivolte contro il peso insostenibile delle tasse imposte dai satrapi. Nel 334 a.C. Alessandro guidò il suo esercito alla prima vittoria in Asia minore, presso il fiume Grànico. Le città greche della costa vennero liberate dal dominio persiano, e in molti casi vennero loro imposti regimi democratici per dimostrare che l’esercito di Alessandro riportava la libertà negata dai Persiani.
All’inizio del 333 a.C., a Gordio, in Frigia, Alessandro raccolse il suo esercito, cui si unirono i rinforzi provenienti dalla Macedonia. Proprio qui, tra l’altro, avvenne l’episodio del taglio del “nodo gordiano”: sentita la leggenda locale secondo la quale chi avesse sciolto il nodo che legava a un palo il carro dedicato a Zeus (simbolo della regalità) sarebbe divenuto re dell’ecumene, ossia del mondo conosciuto, Alessandro estrasse la spada e lo recise di netto. L’aneddoto mostra un tratto del carattere deciso di Alessandro e delle sue energiche modalità di comando (tanto che l’espressione “tagliare il nodo gordiano” è rimasta nell’uso per indicare la soluzione drastica di un problema), ma suggerisce anche che proprio a questo episodio, probabilmente, risale l’idea di spingersi a Oriente, trasformando una spedizione che fino a quel momento aveva avuto una dimensione “ellenica” (limitata cioè alla riconquista dell’Asia minore, dove si trovavano le città greche della Ionia) in una vera e propria guerra per la conquista di un vasto impero.
Da Gordio le truppe dilagarono verso est e sconfissero Dario III a Isso, ai confini settentrionali della Siria, nel novembre del 333 a.C. Il sovrano persiano fuggì oltre l’Eufrate, da dove avrebbe in seguito inviato ambasciatori con proposte di pace rifiutate da Alessandro. Le enormi ricchezze ottenute dalle rapide conquiste consentirono infatti ad Alessandro di proseguire la sua avanzata: dopo la conquista delle città della costa siriaca (Sidone, Tiro e Gaza), mirò all’Egitto, conquistato nell’estate del 331 a.C. Qui, presso la foce del Nilo, fu fondata la città di Alessandria per celebrare la grandezza del condottiero macedone, divinizzato dalla casta sacerdotale egizia. Ritornato poi verso la Mesopotamia nell’ottobre dello stesso anno, attraversò il Tigri e l’Eufrate e nel 331 a.C., a Gaugamela, in Assiria, fu sconfitta l’ultima resistenza persiana. Alessandro poté entrare a Susa e poi a Persepoli, prendendo possesso dei templi achemenidi. Il palazzo di Persepoli venne incendiato, per vendicare la distruzione dei templi greci avvenuta durante la seconda guerra persiana: per la lega panellenica questo era l’obiettivo ufficiale della guerra, raggiunto il quale le truppe greche furono congedate. Anche se molti soldati greci rimasero a combattere come mercenari, l’esercito di Alessandro era sempre meno greco.
Intanto, il satrapo della Battriana, Besso, aveva organizzato una congiura volta a usurpare il trono di Dario III. Catturato il re legittimo, egli si spinse verso Oriente ma, inseguito da Alessandro, uccise l’ostaggio, temendo che potesse cadere nelle mani del condottiero macedone. Besso si proclamò re con il nome di Artaserse, ma il suo tentativo non durò a lungo: presto raggiunto da Alessandro, fu a sua volta ucciso.
Nel 326 a.C. le truppe macedoni raggiunsero il fiume Indo, confine orientale dell’impero persiano. La valle dell’Indo fu l’estremo avamposto conquistato dai Macedoni: l’esercito, stremato dalla lunga campagna, si rifiutò di proseguire fino al Gange, com’era nei piani di Alessandro. Il re macedone ripiegò quindi in Mesopotamia, nella città di Babilonia, dopo aver fatto costruire una flotta di navi che, sotto il comando di Nearco, risalì il mare Arabico e il golfo Persico fino alla Mesopotamia, in un viaggio che consentì di esplorare zone fino ad allora sconosciute ai Greci.

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L’organizzazione dell’impero

Esaurita la spinta espansionistica, Alessandro, da Babilonia, scelta come capitale dell’impero, si dedicò all’organizzazione degli immensi territori conquistati, avendo come primo obiettivo quello di favorire l’integrazione tra Greco-Macedoni e Persiani.
Proprio a questo fine promosse le unioni matrimoniali miste: lui stesso nel 327 a.C. aveva sposato Rossane, figlia di un satrapo della Sogdiana; nel 324 a.C., con le cosiddette nozze di Susa, egli prese in moglie la figlia di Dario III, Statira, e di Artaserse III, Parisatide, mentre contemporaneamente venivano celebrate oltre 10 000 unioni fra militari macedoni e donne persiane. Questa strategia era in linea con il tentativo di Alessandro di presentarsi quale legittimo successore dei re persiani, come era già avvenuto quando aveva fatto seppellire Dario III con tutti gli onori.

TESTIMONIANZE DELLA STORIA

LA COSTRUZIONE DEL MITO DI ALESSANDRO

Tra gli episodi più emblematici della vita di Alessandro c’è la visita che fece al tempio di Ammon, nell’oasi di Siwa, in Egitto: il gesto parve a molti persino pericoloso poiché richiedeva una deviazione di duecento chilometri nel deserto. Alessandro scelse quel tempio sia per ingraziarsi il consenso della popolazione potenzialmente ostile sia per evocare tra i Greci la memoria di Perseo ed Eracle, che a loro volta vi si erano recati. Nel viaggio lo accompagnava, come cronista ufficiale, Callistene, filosofo e nipote di Aristotele, che lasciò una relazione di cui ci restano pochi frammenti, in seguito utilizzati da Plutarco per narrare la biografia di Alessandro contenuta nelle sue Vite parallele. Quanto accadde nel tempio resta un mistero perché Alessandro vi entrò solo e mantenne sempre un rigoroso silenzio. Le congetture avanzate da Plutarco in questo brano svelano però come lo stesso Alessandro avesse promosso, costruito e alimentato il mito della divinizzazione della sua persona a opera dei sacerdoti di Ammon.



“Era difficile distogliere Alessandro quando aveva deciso qualche impresa. D’altro canto la sorte, favorendo i suoi disegni, rendeva ben salde le sue decisioni e il coraggio, indomito fino alla realizzazione dei suoi disegni, accrescendo la sua voglia di vincere, si imponeva non solo sui nemici ma anche su luoghi e circostanze.
Comunque, durante quella marcia,1 gli aiuti che gli vennero dal dio nelle difficoltà ottennero maggior credito che non i vaticini successivi; anzi, in un certo qual senso i vaticini divennero credibili proprio per quegli aiuti. Innanzi tutto scese dal cielo una grande quantità di acqua, e piogge continue tolsero il timore della sete; per di più, eliminando la aridità della sabbia che si era fatta umida e in sé compatta, resero l’aria più pura e respirabile. Inoltre, siccome i cippi che indicavano la via alle guide erano disordinati, e chi avanzava procedeva vagando e mutando direzione perché non conosceva la strada, apparvero dei corvi a far da guida volando davanti e affrettandosi quando i soldati seguivano, aspettandoli invece quando ritardavano e rimanevano staccati; ma quel che era la cosa più straordinaria, come racconta Callistene, è che con il loro gracchiare durante la notte richiamavano i soldati smarriti e li indirizzavano sulla direttrice di marcia […].
La maggior parte delle fonti riferisce questo sui vaticini; Alessandro stesso, in una lettera alla madre, dice di aver avuto alcune notizie segrete che al suo ritorno avrebbe rivelato a lei sola.2 Alcuni dicono che il sacerdote, volendo rivolgersi a lui con affetto, disse in greco la parola: “o paidíon” (“o figlio”), ma per errore pronunziò l’ultima consonante “s” al posto di “n”, e ne risultò: “o paidíos” (“o figlio di Zeus”); Alessandro fu lieto per questo errore di pronuncia, e si diffuse poi la voce che il dio stesso lo aveva chiamato figlio di Zeus.”


Plutarco, Vita di Alessandro, 27 (XXVII), 5-9, trad. di D. Magnino, Rizzoli, Milano 1987



1. quella marcia: la marcia in una delle parti più aride e inospitali del deserto che durò, forse, una quindicina di giorni.
2. alcune notizie… a lei sola: rivelazione che però non fece in tempo a fare perché morì prima.


PER FISSARE I CONCETTI
  • Perché, a tuo giudizio, Alessandro si fece accompagnare in questo viaggio da un cronista ufficiale?
  • Quali “segni” indicarono la benevolenza del dio nei confronti di Alessandro?

Terre, mari, idee - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana