La caduta di Atene: la fase deceleica
Mentre si combatteva in Sicilia, Sparta – anche dietro suggerimento di Alcibiade – riprese a tenere l’Attica sotto pressione, devastandone le campagne e provocando la fuga degli schiavi dalle miniere del Laurio, con il conseguente rallentamento dell’estrazione dell’argento. Per la prima volta, inoltre, anche la sicurezza dei suoi approvvigionamenti marittimi fu incrinata dalle defezioni che colpivano la lega delio-attica e da una nuova, decisiva iniziativa dei nemici. Nel 412 a.C. Sparta strinse un importante accordo con il re persiano
Dario II: gli Spartani acconsentivano che le póleis della Ionia passassero sotto il controllo del Gran Re in cambio dell’oro necessario alla costruzione di una flotta in grado di contrastare
quella ateniese. Gli equilibri esistenti all’inizio del conflitto cambiarono radicalmente, e per la prima volta Sparta poté competere con la lega delio-attica anche sui mari.
Ad Atene, intanto, le vicende belliche si intrecciavano alla lotta politica cittadina. La fazione oligarchica degli aristocratici, da tempo insofferente allo sviluppo democratico delle istituzioni, riuscì a prevalere: nel 411 a.C. Pisandro si pose alla guida di un colpo di stato che portò all’uccisione dei capi democratici e all’instaurazione di un regime oligarchico. Con l’approvazione dell’ecclesia – ma senza la rappresentanza dei marinai impiegati nella flotta, che si trovava a Samo per le operazioni militari – la bulé dei 500 venne sostituita da un consiglio di 400 nobili, non eletti né sorteggiati bensì scelti tra i personaggi più influenti, che cancellò le riforme di Pericle e in generale l’ordinamento
democratico, restringendo la partecipazione politica a una platea di soli 5000 cittadini, tra i quali emerse la figura di Teramène. Si trattò di un vero attacco alla democrazia che ebbe come primo atto la proposta di Pisandro di abolire i rimborsi per l’attività politica, nodo fondamentale della partecipazione dei cittadini al processo decisionale. Il governo
oligarchico ebbe comunque vita breve: privi del consenso popolare e indeboliti da una serie di sconfitte militari (tra le quali la grave perdita dell’Eubea) oltre che da conflitti interni alla fazione stessa, gli oligarchi furono presto spodestati dall’ecclesia, che procedette dapprima all’istituzione di un governo dei Cinquemila e poi al ripristino graduale
delle istituzioni democratiche.
Il nuovo capovolgimento della situazione fu favorito dalla vittoria della flotta ateniese a
Cìzico, nell’Ellesponto (410 a.C.), sotto la guida di Alcibiade, il quale, eletto nuovamente stratego dalla flotta di Samo, inflisse una dura sconfitta agli Spartani e guidò i democratici alla riscossa. Il ritorno di Alcibiade, che poteva contare sulla fedeltà dei marinai al governo democratico, sembrò dare una svolta alla guerra. Egli riuscì a riaprire le rotte con il mar Nero, ripristinando la continuità degli approvvigionamenti di grano verso l’Attica: Atene sembrava di nuovo in grado di vincere il conflitto, tanto che due successive offerte di pace avanzate dagli Spartani furono rifiutate.
Le speranze degli Ateniesi si infransero però nel 406 a.C., in seguito alla sconfitta nella battaglia navale di Nozio (presso Efeso, sulla costa anatolica), dove il nuovo comandante della flotta spartana, Lisandro, ebbe la meglio sul luogotenente di Alcibiade. Pur non essendo presente sul teatro di guerra, e non avendo dunque responsabilità dirette, Alcibiade fu nuovamente condannato all’esilio a causa di questa sconfitta. La successiva vittoria alle
isole Arginuse (406 a.C.), all’ingresso dello stretto di Lesbo, non fu sufficiente a evitare la disfatta definitiva di Atene, ormai in preda a uno stato di tensioni interne e confusione che si manifestarono anche in un episodio all’apparenza marginale. Lo scontro navale presso le Arginuse fu durissimo: 70 navi spartane caddero in mano ateniese, ma un grandissimo numero di soldati, per la maggior parte cittadini di Atene, finì in mare. Così l’ecclesia (e non il tribunale ordinario) portò a processo sei strateghi, tra cui il figlio di Pericle, e in un modo irregolare li condannò a morte per non aver prestato soccorso ai naufraghi.
Ad aggravare ulteriormente la situazione vi fu anche il tracollo economico della città, favorito e accelerato nel 413 a.C. dal blocco dei Dardanelli e soprattutto dall’occupazione stabile di Decelea da parte di Sparta (da qui il nome dell’ultima fase della guerra), che impediva l’arrivo di rifornimenti e risorse agricole ad Atene. Abbandonata da molti alleati (solo Samo restava fedele) e ormai priva dell’appoggio della lega delio-attica, che Lisandro era riuscito a scacciare da tutti i porti dell’Egeo, la città attica fu sconfitta da Sparta nel 405
a.C. nella battaglia di Egospòtami, presso lo stretto dei Dardanelli. Nel 404 a.C. Lisandro
assediò Atene, costringendola a capitolare per fame. Gli Spartani instaurarono un
nuovo governo oligarchico e imposero condizioni di pace che, se non portarono alla distruzione totale della città, come pretendevano Tebe e Corinto, erano comunque durissime, poiché prevedevano l’abbattimento delle mura difensive, il drastico ridimensionamento
della flotta (venivano concesse appena 12 navi), la cessione di tutti i territori al
di fuori dell’Attica e l’adesione alla lega peloponnesiaca sotto l’egemonia di Sparta.