2 - Le nuove egemonie di Sparta e Tebe

Unità 5 L’ETÀ CLASSICA >> Capitolo 12 – La guerra del Peloponneso e la tarda età classica

La caduta di Atene: la fase deceleica

Mentre si combatteva in Sicilia, Sparta – anche dietro suggerimento di Alcibiade – riprese a tenere l’Attica sotto pressione, devastandone le campagne e provocando la fuga degli schiavi dalle miniere del Laurio, con il conseguente rallentamento dell’estrazione dell’argento. Per la prima volta, inoltre, anche la sicurezza dei suoi approvvigionamenti marittimi fu incrinata dalle defezioni che colpivano la lega delio-attica e da una nuova, decisiva iniziativa dei nemici. Nel 412 a.C. Sparta strinse un importante accordo con il re persiano Dario II: gli Spartani acconsentivano che le póleis della Ionia passassero sotto il controllo del Gran Re in cambio dell’oro necessario alla costruzione di una flotta in grado di contrastare quella ateniese. Gli equilibri esistenti all’inizio del conflitto cambiarono radicalmente, e per la prima volta Sparta poté competere con la lega delio-attica anche sui mari.
Ad Atene, intanto, le vicende belliche si intrecciavano alla lotta politica cittadina. La fazione oligarchica degli aristocratici, da tempo insofferente allo sviluppo democratico delle istituzioni, riuscì a prevalere: nel 411 a.C. Pisandro si pose alla guida di un colpo di stato che portò all’uccisione dei capi democratici e all’instaurazione di un regime oligarchico. Con l’approvazione dell’ecclesia – ma senza la rappresentanza dei marinai impiegati nella flotta, che si trovava a Samo per le operazioni militari – la bulé dei 500 venne sostituita da un consiglio di 400 nobili, non eletti né sorteggiati bensì scelti tra i personaggi più influenti, che cancellò le riforme di Pericle e in generale l’ordinamento democratico, restringendo la partecipazione politica a una platea di soli 5000 cittadini, tra i quali emerse la figura di Teramène. Si trattò di un vero attacco alla democrazia che ebbe come primo atto la proposta di Pisandro di abolire i rimborsi per l’attività politica, nodo fondamentale della partecipazione dei cittadini al processo decisionale. Il governo oligarchico ebbe comunque vita breve: privi del consenso popolare e indeboliti da una serie di sconfitte militari (tra le quali la grave perdita dell’Eubea) oltre che da conflitti interni alla fazione stessa, gli oligarchi furono presto spodestati dall’ecclesia, che procedette dapprima all’istituzione di un governo dei Cinquemila e poi al ripristino graduale delle istituzioni democratiche.
Il nuovo capovolgimento della situazione fu favorito dalla vittoria della flotta ateniese a Cìzico, nell’Ellesponto (410 a.C.), sotto la guida di Alcibiade, il quale, eletto nuovamente stratego dalla flotta di Samo, inflisse una dura sconfitta agli Spartani e guidò i democratici alla riscossa. Il ritorno di Alcibiade, che poteva contare sulla fedeltà dei marinai al governo democratico, sembrò dare una svolta alla guerra. Egli riuscì a riaprire le rotte con il mar Nero, ripristinando la continuità degli approvvigionamenti di grano verso l’Attica: Atene sembrava di nuovo in grado di vincere il conflitto, tanto che due successive offerte di pace avanzate dagli Spartani furono rifiutate.
Le speranze degli Ateniesi si infransero però nel 406 a.C., in seguito alla sconfitta nella battaglia navale di Nozio (presso Efeso, sulla costa anatolica), dove il nuovo comandante della flotta spartana, Lisandro, ebbe la meglio sul luogotenente di Alcibiade. Pur non essendo presente sul teatro di guerra, e non avendo dunque responsabilità dirette, Alcibiade fu nuovamente condannato all’esilio a causa di questa sconfitta. La successiva vittoria alle isole Arginuse (406 a.C.), all’ingresso dello stretto di Lesbo, non fu sufficiente a evitare la disfatta definitiva di Atene, ormai in preda a uno stato di tensioni interne e confusione che si manifestarono anche in un episodio all’apparenza marginale. Lo scontro navale presso le Arginuse fu durissimo: 70 navi spartane caddero in mano ateniese, ma un grandissimo numero di soldati, per la maggior parte cittadini di Atene, finì in mare. Così l’ecclesia (e non il tribunale ordinario) portò a processo sei strateghi, tra cui il figlio di Pericle, e in un modo irregolare li condannò a morte per non aver prestato soccorso ai naufraghi.
Ad aggravare ulteriormente la situazione vi fu anche il tracollo economico della città, favorito e accelerato nel 413 a.C. dal blocco dei Dardanelli e soprattutto dall’occupazione stabile di Decelea da parte di Sparta (da qui il nome dell’ultima fase della guerra), che impediva l’arrivo di rifornimenti e risorse agricole ad Atene. Abbandonata da molti alleati (solo Samo restava fedele) e ormai priva dell’appoggio della lega delio-attica, che Lisandro era riuscito a scacciare da tutti i porti dell’Egeo, la città attica fu sconfitta da Sparta nel 405 a.C. nella battaglia di Egospòtami, presso lo stretto dei Dardanelli. Nel 404 a.C. Lisandro assediò Atene, costringendola a capitolare per fame. Gli Spartani instaurarono un nuovo governo oligarchico e imposero condizioni di pace che, se non portarono alla distruzione totale della città, come pretendevano Tebe e Corinto, erano comunque durissime, poiché prevedevano l’abbattimento delle mura difensive, il drastico ridimensionamento della flotta (venivano concesse appena 12 navi), la cessione di tutti i territori al di fuori dell’Attica e l’adesione alla lega peloponnesiaca sotto l’egemonia di Sparta.

 >> pagina 230 

2. Le nuove egemonie di Sparta e Tebe

I lunghi anni della guerra del Peloponneso non cancellarono d’un tratto lo splendore della vita culturale ateniese dell’età di Pericle, e persino durante il conflitto vennero realizzati nuovi edifici sull’acropoli, come il tempio di Nike e l’Eretteo; in questo periodo, inoltre, i poeti tragici Sofocle ed Euripide e il commediografo Aristofane scrissero alcuni dei loro capolavori, i sofisti Gorgia e Protagora (e forse il filosofo Democrito) furono presenti ad Atene per alcuni periodi, e anche Socrate fu attivo in città proprio in questi anni.
Eppure, la sconfitta era destinata a dare inizio al declino della città attica. Il conflitto contribuì a rendere più caotica la sua scena politica e, soprattutto, le condizioni di pace imposte da Sparta segnarono la fine di Atene come potenza commerciale e militare egemone nel Mediterraneo orientale.

Atene e i Trenta tiranni

All’indomani della pace con Sparta, il nuovo governo ateniese fu composto da trenta aristocratici – definiti “Trenta tiranni” dagli oppositori democratici, con uno slittamento del termine verso un’accezione negativa che fino ad allora non aveva avuto ( p. 163) – scelti tra la cerchia di Teramene e di un altro influente aristocratico, Crizia. I Trenta restrinsero il numero dei cittadini con diritti politici a 3000 individui e, anche grazie alla presenza di una guarnigione militare spartana sull’acropoli, instaurarono un regime di terrore: tutti coloro che erano sospettati di simpatie democratiche furono uccisi (ma la stessa sorte toccò anche a molti cittadini o meteci ricchi, cui vennero sottratti i patrimoni) nell’ambito di una vera e propria guerra civile. Lo stesso Teramene, che da oligarca moderato auspicò a un certo punto il ritorno a modalità di governo legali, fu estromesso da Crizia dal gruppo dei 3000 cittadini e costretto al suicidio ( Testimonianze della storia).
Anche il potere di Crizia tuttavia durò ben poco: la fazione democratica, composta in gran parte da esuli che si erano rifugiati in Beozia, organizzò infatti delle incursioni militari (guidate da Trasibulo), conquistando prima il Pireo e poi la città stessa. Il governo dei Trenta fu abbattuto nel 403 a.C., anche grazie alla mediazione del re spartano Pausania (contrario al parere di chi, come il navarco Lisandro, voleva intervenire militarmente in difesa del governo oligarchico). La democrazia venne ripristinata, anche se le scelte di politica estera rimanevano fortemente sorvegliate da Sparta.
Una larga amnistia riportò l’ordine in città, ma i fasti dell’epoca aurea avevano ormai lasciato il posto a rancori, accuse reciproche, vendette e persecuzioni di cui furono vittime anche personaggi illustri. Tra questi vi fu anche Socrate, condannato a morte nel 399 a.C. con l’accusa di corrompere i giovani e di voler sovvertire i valori tradizionali della città.

 >> pagina 231 

TESTIMONIANZE DELLA STORIA

TERAMENE CONTRO CRIZIA

Queste parole, secondo la parafrasi che ne fa lo storico ateniese Senofonte (430-354 a.C. ca.), sarebbero state pronunciate da Teramene in replica a un discorso di Crizia, che lo accusava di tramare contro i Trenta, di assumere posizioni politiche ambigue e di favorire perciò il ritorno del démos al potere. Il brano mette in evidenza il clima di sospetto e di contrapposizione in uno dei momenti più drammatici della guerra civile ateniese, quando le accuse di tradimento preludevano a esiti molto gravi, tra cui l’esilio e la morte.



Sei tu appunto che sotto la democrazia avevi la fama di peggiore nemico del popolo, e sotto l’aristocrazia sei diventato il peggiore nemico della gente perbene.

Quanto a me, Crizia, sono sempre in lotta con chi ritiene che non ci possa essere una buona democrazia finché non partecipino al potere sia gli schiavi sia quelli che a causa della loro indigenza venderebbero la città per una dracma, ma sono pure sempre contro chi ritiene non ci sia una buona oligarchia finché non abbiano ridotto la città in modo tale da subire la tirannide di pochi. Ordinare lo stato insieme con chi è in grado di essere d’aiuto alla città con i cavalli e con gli scudi, già prima ritenevo fosse la formula costituzionale migliore, e ora non ho cambiato idea. Se dunque hai la possibilità di far riferimento, o Crizia, a una sola volta in cui io abbia collaborato con demagoghi o tiranni a cercare di privare dei diritti politici uomini in vista e dabbene, di’ pure; se infatti fossi riconosciuto colpevole di azioni di questo genere ora o in qualunque circostanza precedente, sono pronto a riconoscere che la mia giusta punizione sarebbe la morte tra le più atroci sofferenze.”


Senofonte, Elleniche, III, 47-49, trad. di U. Bultrighini, Newton Compton, Roma 2011


PER FISSARE I CONCETTI
  • Quali limiti alla democrazia pone Teramene?
  • Quale significato ha assunto oggi il termine “demagoghi”?

La Grecia nelle mani di Sparta e il ritorno dei Persiani

L’imperialismo ateniese, da cui le città greche erano state liberate con la guerra del Peloponneso, fu presto sostituito da quello spartano che, abbandonato il principio di autonomia vigente nella lega peloponnesiaca, impose alle città sottomesse guarnigioni comandate da capi detti “armosti” e governi aristocratici, oltre al pagamento di ingenti tributi (denaro, ma anche soldati e navi). L’egemonia spartana, però, non era sostenuta da risorse economiche sufficienti ad affrontare i costi di continue spedizioni militari, necessarie a controllare un territorio sempre esposto ai rischi di ribellione. L’instabilità minacciava direttamente la stessa Sparta, nella quale il numero degli spartiati, già molto ristretto all’inizio del V secolo a.C., era ulteriormente diminuito a causa delle perdite in guerra; in queste condizioni, era sempre più difficile mantenere gli iloti in uno stato di soggezione.
Così, già durante la guerra del Peloponneso, gli Spartani avevano accettato l’aiuto in oro offerto dai Persiani, riconoscendo loro in cambio il controllo delle città greche della Ionia. I rapporti con i Persiani però si deteriorarono dopo che Sparta decise di sostenere il tentativo di Ciro il Giovane di usurpare il trono del fratello Artaserse II. Ciro venne ucciso in battaglia a Cunassa (presso Babilonia) nel 410 a.C., e i 10 000 mercenari greci inviati in suo aiuto da Sparta furono costretti a una lunga marcia di ritorno verso la patria.
Compromessa l’alleanza con il Gran Re, Sparta decise a questo punto di sostenere i tentativi indipendentistici delle città greche della Ionia, inviandovi un esercito guidato da Agesilao. Ma la diplomazia e l’oro persiani, volti come sempre a stimolare le divisioni interne al mondo greco, riuscirono a far sorgere, nel 395 a.C., una coalizione antispartana formata da Atene, Tebe, Corinto e Argo, che costrinse Agesilao a tornare in patria. Iniziò così la cosiddetta “guerra di Corinto” (395-386 a.C.), che per circa dieci anni impegnò le póleis greche in un nuovo e sanguinoso conflitto. La guerra mostrò l’impossibilità, per Sparta, di mantenere il controllo su tutta la Grecia nel momento in cui veniva meno l’appoggio persiano, come risultò evidente già nel 394 a.C., quando la sua flotta fu sconfitta presso Cnido (sulla costa anatolica) da quella del Gran Re, alleato di Atene e delle altre città ribelli all’egemonia spartana.
Nel 386 a.C. si giunse alla pace di Antalcida (dal nome del navarco spartano che la stipulò, convincendo i Persiani a togliere l’appoggio all’alleanza antispartana), detta anche “pace del Re”, in riferimento ad Artaserse II e ai vantaggi che essa comportava per il suo impero. L’accordo confermava il controllo persiano sulle póleis dell’Asia minore e sanciva l’autonomia delle altre città elleniche, vietando di creare leghe e alleanze in cui una città predominasse su un’altra e assegnando agli Spartani il ruolo di garanti della pace comune tra i Greci; grazie a questa clausola, Sparta riuscì a ripristinare la propria egemonia sulla Grecia continentale, imponendo, con il pretesto di difendere le póleis più piccole, lo scioglimento di ogni alleanza sgradita.
Di fatto, la pace determinò il ritorno alla situazione precedente alle guerre persiane, così che il vero vincitore di un secolo di guerre sanguinose risultava essere proprio l’impero persiano, che otteneva infine il controllo dell’Asia minore e dunque un ruolo egemone nell’Egeo, mentre le altre città greche furono dichiarate autonome (eccetto Lemno, Imbro e Sciro, sotto il controllo di Atene). Del resto, da molto tempo i Greci, irrimediabilmente divisi al loro interno da rivalità politiche e divergenti interessi economici, avevano perso l’opportunità di opporsi al comune nemico sconfitto un secolo prima.

 >> pagina 232 

La fine del dominio spartano e l’effimera egemonia tebana

L’egemonia spartana, riaffermata in qualche modo dalla pace di Antalcida, non riuscì comunque a stabilizzare la situazione nel mondo greco. Nel 382 a.C. Sparta conquistò la capitale della Beozia, Tebe, riportandovi un governo oligarchico. Nel 379 a.C., tuttavia, i democratici tebani, guidati da Pelopida ed Epaminonda, riuscirono a riprendere il controllo della pólis, e poco dopo lo Stato federale beotico fu restaurato.
Di lì a poco, nel 377 a.C. (esattamente un secolo dopo la fondazione della prima lega delio-attica), Atene ricostituì una nuova lega marittima secondo regole molto diverse da quelle che avevano governato la precedente: i membri dell’alleanza avevano infatti garantita espressamente la loro autonomia e non dovevano pagare tributi; Atene, dal canto suo, non poteva intromettersi nella politica interna degli alleati e non poteva attuare nessuna conquista territoriale (in questo modo l’iniziativa non violava le condizioni poste dai Persiani con la pace di Antalcida). L’obiettivo, di natura esclusivamente difensiva, era quello di combattere e frenare l’imperialismo spartano e riuscì, per un primo periodo, a difendere le rotte commerciali e a consentire il ripristino del prestigio di Atene. Rispetto a un secolo prima, però, il contesto era profondamente cambiato, e l’alleanza, sciolta nel 355 a.C. dopo la defezione di molti suoi membri (la cosiddetta “guerra degli alleati”), fu di fatto ininfluente per le sorti della Grecia.
Frattanto, i conflitti tra Tebe, Sparta e Atene continuarono, fino a quando nel 371 a.C., a Lèuttra, in Beozia, gli Spartani vennero sconfitti da Tebe e dalla lega delle città alleate. La vittoria tebana fu possibile grazie alla nuova tattica con cui Epaminonda manovrò gli opliti: disponendo in senso obliquo l’ala sinistra, dove erano collocati i soldati migliori, la falange tebana lasciava penetrare il nemico al centro dello schieramento, accerchiandolo e colpendolo sul fianco. La sconfitta fu un vero disastro per Sparta, che perse 400 dei 700 spartiati che avevano partecipato alla battaglia (sui 1000 che contava la città allora), e indebolì la lega peloponnesiaca, da cui numerose città defezionarono, anche a seguito di violente lotte interne tra democratici e oligarchici. A questo punto Epaminonda mirava a liberare l’intero Peloponneso dall’influenza spartana e si impegnò già nel 370/369 a.C. in una prima spedizione, quando l’Arcadia, regione confinante con la Laconia e la Messenia, formò un nuovo Stato federale e chiamò in soccorso proprio Tebe. Epaminonda giunse in Laconia con il suo esercito, ma i perieci e persino gli iloti rimasero fedeli a Sparta. Si ribellarono però i Messeni, che nel 369 a.C. formarono anch’essi uno Stato autonomo. Era la fine dell’egemonia spartana sulla Grecia.
Anche l’egemonia tebana, comunque, era destinata ad avere breve durata. Nel 362 a.C. Tebe sconfisse a Mantinea la lega delle altre città greche, tra le quali vi erano Sparta e Atene, tornate ad allearsi per combattere la nuova pólis egemone. Ma questa stessa battaglia, nella quale perse la vita Epaminonda, segnò la fine della potenza di Tebe. Troppo legata alla figura di Epaminonda e fondata pressoché unicamente sulla forza militare, senza un progetto politico di ampio respiro, il suo predominio sulla Grecia si sfaldò in breve tempo.
Il risultato delle continue guerre, in ultima analisi, fu quello di fiaccare irrimediabilmente le póleis, rendendole deboli di fronte alle nuove minacce esterne. Fu così che, nella seconda metà del IV secolo a.C., protagonista delle vicende greche divenne la regione più settentrionale della penisola ellenica, fino a quel momento rimasta ai margini del mondo greco: il regno di Macedonia, allora retto da Filippo II.

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana