Capitolo 12 - La guerra del Peloponneso e la tarda età classica

Capitolo 12 LA GUERRA DEL PELOPONNESO E LA TARDA ETÀ CLASSICA

i concetti chiave
  • Il conflitto tra Atene e Sparta causa la guerra del Peloponneso
  • La “fase archidamica” della guerra termina nel 421 a.C. con la pace di Nicia
  • Dopo la tragica spedizione in Sicilia e ripetute sconfitte subite da Atene, la guerra si conclude con la vittoria di Sparta, alleatasi anche con i Persiani
  • Finisce l’egemonia commerciale e militare di Atene, ma continua quella culturale
  • Sparta, pur alleandosi con i Persiani, ha difficoltà a mantenere il controllo delle póleis
  • Nello scontro tra Sparta e Tebe, la falange tebana si dimostra superiore a quella spartana: termina l’egemonia spartana sulla Grecia e segue una breve egemonia tebana

1. Il conflitto fra Atene e Sparta

La fonte principale per ricostruire il conflitto che tra il 431 e il 404 a.C. oppose le due principali póleis greche, Sparta e Atene, è l’opera dello storico ateniese Tucidide, che fu anche stratego nei primi anni di guerra. Egli riteneva che il conflitto fosse stato causato dal rifiuto di Sparta di accettare la supremazia ateniese: due centri di potere tendenzialmente egemonici non potevano convivere, ed erano destinati a scontrarsi finché uno dei due non avesse prevalso sull’altro.
Fin dall’età arcaica, in effetti, Sparta e Atene erano fondate su due modelli politici antitetici: la prima rappresentava un’oligarchia chiusa e rigida, la seconda era l’esperimento democratico più radicale realizzato nel mondo greco. Opposta era anche la vocazione economica delle due città: Sparta era da sempre legata alla terra (e alla guerra), Atene era dedita ai commerci marittimi. Nonostante le influenze reciproche, dunque, i motivi di contrasto riguardavano la sfera economica come quella politica e ideologica, e già nella prima metà del V secolo a.C. erano sfociati in una lunga serie di conflitti. I cinquant’anni successivi alla seconda guerra persiana – in cui Atene e Sparta avevano lealmente combattuto fianco a fianco – erano infatti stati contrassegnati da un’epoca di tensioni e guerre, conseguenti a crisi scoppiate all’interno dei rispettivi sistemi di alleanze ( Capitolo 11).
Nella seconda metà del secolo, i contrasti si acuirono fino a sfociare in un conflitto che oppose apertamente le due città e che coinvolse tutto il mondo greco. La guerra, lunga e sanguinosa, avrebbe segnato l’inizio di una lenta decadenza della civiltà greca.

Tre episodi scatenano la guerra

All’origine della guerra del Peloponneso vi furono tre episodi che coinvolsero gli alleati delle due città. Nel 433 a.C. la ricca Corcira (Corfù) entrò in conflitto con la madrepatria Corinto, alleata di Sparta, a causa di contrasti (tra democratici e oligarchici) sulla politica interna di una loro comune colonia, Epidamno (oggi Durazzo). Corcira chiese e ottenne l’aiuto di Atene, preoccupata che la flotta corcirese (la seconda della Grecia) potesse cadere nelle mani della lega peloponnesiaca; quando, nel 433, i Corinzi sconfissero i Corciresi, le triremi ateniesi ne vanificarono la vittoria impedendo loro di sbarcare a Corcira. L’intervento, tuttavia, violava le condizioni sancite dalla pace trentennale del 445 a.C., che vietava l’ingerenza nei reciproci sistemi di alleanze e prevedeva l’arbitrato per controversie di questo genere.
Una situazione simile si verificò nel 433 a.C. a Potidea, città della lega delio-attica. Atene, che diffidava della città e ne temeva la defezione, le impose di demolire le mura di collegamento al mare, di consegnare ostaggi e di allontanare gli epidemiurghi, i magistrati che ogni anno Corinto mandava in città. Dopo il fallimento delle trattative e una ribellione che costrinse Atene a un impegno significativo, Potidea chiese l’aiuto di Corinto, ruppe l’alleanza con Atene e si alleò con i Calcidesi e con Perdicca II, re di Macedonia, passato anche lui dall’alleanza all’inimicizia verso Atene.
Infine, nello stesso anno, per indebolire la capacità commerciale della città rivale, Atene impose una misura molto severa alla vicina Megara, alleata di Sparta, impedendole l’accesso a tutti i porti della lega delio-attica: una restrizione grave per una città che viveva dei commerci marittimi. Nei negoziati che si aprirono per risolvere questa crisi, Sparta non solo chiese la destituzione di Pericle dal governo ateniese, ma anche l’autonomia per tutte le città greche, spingendo di fatto verso lo smantellamento della lega delio-attica: una pretesa inaccettabile per Atene. Le trattative non ebbero buon esito, e nella primavera del 431 a.C. lasciarono il posto alle armi. A spingere a favore della guerra c’era anche il fatto che Sparta non poteva continuare a ignorare le richieste di aiuto dei suoi alleati, pena la perdita della sua autorevolezza alla guida della lega peloponnesiaca. D’altra parte, per Atene l’allargamento e il consolidamento della propria influenza commerciale a danno di tutte le concorrenti era diventata una questione vitale: senza i proventi di quel commercio la vita democratica ad Atene ( Capitolo 11) sarebbe diventata difficile.

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Dall’avvio del conflitto alla pace di Nicia: la fase archidamica

La prima azione bellica, nella primavera del 431, fu l’attacco di Tebe a Platea, tradizionale alleata di Atene e a soli 3 km di distanza dalla città nemica. L’attacco fallì e i prigionieri di guerra tebani furono massacrati brutalmente: la tregua trentennale era stata ufficialmente interrotta. Subito dopo l’esercito peloponnesiaco, guidato dal re spartano Archidamo (da lui, definito da Tucidide «uomo capace e prudente», prende nome la prima fase della guerra), invase l’Attica. Atene, su proposta di Pericle, attuò una tattica attendista: nella convinzione che la forza offensiva di Sparta si sarebbe esaurita rapidamente, la città si rinchiuse all’interno delle Lunghe mura, che proteggevano anche il porto del Pireo, avendo la certezza dei rifornimenti via mare. Gli Ateniesi lasciarono che gli Spartani devastassero le campagne attorno alla città pur di evitare lo scontro campale, nel quale avrebbero di certo avuto la peggio per via della superiorità dell’esercito di terra nemico. La controffensiva ateniese puntò invece sulla forza della flotta e sull’invio di navi che operavano con attacchi alle zone costiere e alle navi mercantili della lega peloponnesiaca; la supremazia marittima garantiva comunque l’approvvigionamento di denaro, derrate alimentari e materie prime necessarie a sostenere Atene durante l’assedio.
Questa tattica difensiva, che comportava un enorme danno economico per i proprietari terrieri, venne osteggiata dalla fazione aristocratica, ma fu comunque attuata grazie al prestigio e alla capacità di persuasione di Pericle. A determinarne il fallimento fu una circostanza imprevedibile, causata proprio da quello che doveva essere il suo punto di forza: avendo accolto all’interno delle mura, per proteggerli, gli abitanti delle campagne (con masserizie e animali al seguito), la popolazione urbana era quasi raddoppiata, con un drastico peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie dovute all’affollamento e alla promiscuità. In questa situazione, nel 430 a.C. scoppiò una grave pestilenza – descritta nel dettaglio da Tucidide, ma le cui cause specifiche ci sono tuttora ignote – che si diffuse velocemente e provocò in quattro anni la morte di un quarto della popolazione ateniese, tra cui lo stesso Pericle (autunno del 429 a.C.) ( Passato&presente, p. 226).
Questi drammatici eventi minarono la compattezza politica e sociale della città proprio nel momento in cui era chiamata a reagire all’assedio dei nemici. Dopo la morte di Pericle, la fazione aristocratica guidata da Nicia cercò di porre fine al conflitto, così dannoso per i proprietari terrieri e privo, a differenza della guerra contro i Persiani, di una convincente giustificazione ideale. I democratici di Cleone, che rappresentavano gli interessi degli artigiani e dei mercanti e che vedevano con favore l’espansione territoriale, riuscirono però a imporre la continuazione delle ostilità e, in conseguenza della defezione di Lesbo, l’assedio di Mitilene, che l’anno successivo cedette e dovette subire un inaudito eccidio ordinato dalla stessa assemblea del popolo attico. A questo grave episodio fece da contraltare l’eccidio di Platea a opera dei Peloponnesiaci.
La guerra proseguì poi con fortune alterne. Nel 427 a.C. fu coinvolta la Sicilia, dove Atene inviò una flotta – respinta dai nemici – per sostenere la città nemica di Siracusa (alleata di Sparta); nel 425 a.C. Cleone conquistò la città di Pilo, nel Peloponneso, prendendo in ostaggio i soldati spartani stanziati nella vicina isola di Sfacteria; ma nel 424 a.C. fu duramente sconfitto a Delio, in Beozia, e ad Anfipoli, nella Grecia settentrionale.
Quando, nel 422 a.C., Cleone trovò la morte nella battaglia seguita al suo tentativo di riprendere Anfipoli, i sostenitori della pace ne approfittarono per avviare le trattative: poiché nessuno dei contendenti riusciva a prevalere, nel 421 a.C. fu firmata la pace di Nicia (dal nome del suo promotore). Il trattato ripristinava le condizioni politiche e territoriali precedenti al conflitto e sanciva una tregua di 50 anni.

Terre, mari, idee - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana