Capitolo 11 - L’imperialismo ateniese e l’età di Pericle

Capitolo 11 L’IMPERIALISMO ATENIESE E L’ETÀ DI PERICLE

i concetti chiave
  • La vittoria nelle guerre persiane dà ai Greci coscienza dell’identità panellenica, ma le tensioni tra Sparta e Atene proseguono
  • Nascita della lega delio-attica, dove dominano gli interessi ateniesi, causando conflitti interni
  • Cimone prevale su Temistocle e premia gli interessi aristocratici filospartani, ma Efialte restituisce potere al démos
  • Età di Pericle: riforme democratiche come la retribuzione dell’attività politica e maggiori poteri all’ecclesia, ma limiti alla cittadinanza
  • Grandi finanziamenti di opere pubbliche e cultura: ad Atene fioriscono l’arte classica, il teatro e la filosofia, fondamento della cultura greca e di quella occidentale

1. Verso l’egemonia di Atene

La liberazione dei mari dal pericolo costituito dalla flotta persiana favorì un intenso sviluppo commerciale, tanto che il cinquantennio che separa la fine della seconda guerra persiana (478 a.C.) dall’inizio della guerra del Peloponneso (431 a.C.) fu un’epoca di grande espansione economica per la Grecia, e in particolare per Atene, che in questo periodo sottrasse a Sparta il primato di città più prospera e potente. Il V secolo a.C. inoltre rappresentò per la Grecia l’inizio della cosiddetta “età classica” – fase che si sarebbe protratta fino alla fine del IV secolo – durante la quale essa raggiunse l’apogeo dello sviluppo della sua civiltà.

Le nuove alleanze nel mondo greco

Dopo la vittoria sui Persiani, Sparta consolidò la superiorità nella lega peloponnesiaca ( p. 173) cui aderirono, tra le altre, Corinto e Megara, situate sull’istmo che separa l’Attica dal Peloponneso e quindi strategicamente molto rilevanti. Sparta, fino ad allora la città più importante di tutto il mondo greco, avrebbe potuto guidare le póleis in un’alleanza panellenica volta a contrastare eventuali nuove offensive persiane, a vigilare sulla libertà delle città ioniche tornate indipendenti e a proseguire la liberazione dei territori greci dell’Asia minore ancora soggetti all’occupazione persiana. Invece, come già era avvenuto in passato, preferì concentrarsi sui suoi problemi interni e rinunciare a questo ruolo di guida, ritenendo la difesa dell’Asia minore un obiettivo non sostenibile a lungo termine.
Si apriva così un grande spazio per Atene, che dopo il trionfo di Salamina era ormai pienamente consapevole della propria forza. Al fine di continuare la lotta antipersiana, nel 478 a.C. Atene fondò la lega delio-attica o lega di Delo (secondo denominazioni coniate dagli storici moderni), una confederazione di isole e città attiche e ioniche che aveva sede nel santuario dell’isola di Delo dove, sotto la protezione del dio Apollo, era custodito il tesoro della lega, cioè i tributi pagati dalle póleis che ne facevano parte. La nascita di questa nuova coalizione, di fatto, segnava la fine dell’alleanza panellenica e il sorgere di due blocchi di alleanze contrapposti, ciascuno con la propria sfera di influenza.

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Alleanze tra Stati e politica interna

La politica dei blocchi contrapposti si intrecciava anche con la politica interna delle singole póleis. Ad Atene in particolare si confrontavano e contrapponevano due linee politiche. Temistocle, il cui prestigio, acquisito nella conduzione della guerra, era rimasto ancora alto dopo la fine della seconda guerra persiana, proponeva di rivolgere la lega delio-attica contro il governo oligarchico spartano e per realizzare questo obiettivo egli sarebbe stato addirittura disposto a un accordo con i Persiani. Al suo progetto si opponevano le famiglie dell’aristocrazia più conservatrice, guidate da Cimone (membro della famiglia dei Filaidi e figlio di Milziade, il vincitore di Maratona), il quale proponeva invece di rinsaldare l’alleanza con Sparta per continuare la guerra antipersiana, limitando così le ambizioni della lega delio-attica. Tornava a presentarsi la contrapposizione ormai tradizionale tra gli interessi mercantili e popolari, che auspicavano il potenziamento della flotta, e gli interessi agrari dei grandi proprietari terrieri, di cui Cimone era rappresentante. Nel 472/471 a.C. gli Ateniesi scelsero l’opzione di Cimone e determinarono la caduta di Temistocle, il quale, accusato di favorire i nemici persiani, venne ostracizzato: egli avrebbe finito i suoi giorni a Magnesia, in Asia minore, sotto la protezione del re persiano. Esiliato Temistocle, Cimone ebbe la possibilità di trasformare le istituzioni di Atene in senso oligarchico, instaurando un regime gradito anche a Sparta.
Alla lega delio-attica fu così possibile avviare una nuova offensiva contro l’impero persiano (scelta che soddisfaceva anche la richiesta dei mercanti per una maggiore sicurezza nelle rotte marittime): vennero conquistate Bisanzio, lo stretto dei Dardanelli e ampie aree costiere della Tracia. Con la battaglia dell’Eurimedonte, combattuta nel 468 a.C. secondo Tucidide (la cui datazione è però tutt’oggi molto discussa e oscilla tra il 470/469 a.C., così come è testimoniato dallo storico Diodoro, e il 465/464 a.C.), gli Ateniesi guidati da Cimone riuscirono a liberare anche la Ionia meridionale.
L’offensiva greca, in particolare ateniese, contro i Persiani proseguì ancora a lungo, fino al 454 a.C., quando subì una battuta d’arresto presso il Nilo, dove gli Ateniesi, che si erano spinti fin lì con lo scopo di sostenere i tentativi indipendentisti dell’Egitto, furono duramente sconfitti. Nel 450 a.C. però la flotta ateniese batté nuovamente i Persiani presso Salamina di Cipro. La pace definitiva fu sancita poco dopo, nel 449 a.C., ed è nota come pace di Callia dal nome del negoziatore greco che la concluse (ma la datazione e la stessa storicità di questo trattato non sono certe), in base alla quale l’impero persiano riconosceva l’indipendenza delle città greche della costa anatolica e Atene rinunciava a espandersi verso Oriente.

Il dualismo Sparta-Atene e i nuovi conflitti interni

Già nel corso del lungo conflitto, in Grecia erano tornati a riemergere i particolarismi tra le diverse città, che ora, con l’esaurimento della minaccia persiana, andavano assumendo i contorni di un crescente dualismo tra Atene e Sparta, che le avrebbe infine portate a scontrarsi nella guerra del Peloponneso (431-404 a.C.). Per qualche tempo i sistemi di alleanze che facevano capo a Sparta e ad Atene collaborarono e si sostennero reciprocamente; presto, tuttavia, entrarono in rotta di collisione, anche a partire da episodi avvenuti nelle rispettive aree di influenza, caratterizzate da tendenze centrifughe mal sopportate dalle due città-guida. Atene dovette affrontare serie minacce alla sua supremazia da parte delle città mercantili, insofferenti alla sua politica tendenzialmente egemonica nell’Egeo (per esempio, gli abitanti di Taso, un’isola dell’Egeo, si ribellarono nel 465 a.C.); forti contrapposizioni sorsero in particolare con Corinto e Megara, alleate di Sparta, per il controllo delle rotte e il predominio nei commerci marittimi.
Sparta, dal canto suo, dovette combattere una rivolta degli iloti messeni (la cosiddetta terza guerra messenica, scoppiata nel 464 a.C. e protrattasi per circa un decennio): essi insorsero contro l’oppressione degli spartiati approfittando di un grave terremoto che distrusse buona parte di Sparta. Per avere la meglio sui Messeni, gli Spartani chiesero l’aiuto di altre città, tra cui Atene, la quale, su proposta di Cimone, inviò 4000 opliti. Il contingente ateniese, tuttavia, non riuscì a dare una svolta all’assedio della roccaforte ribelle, e forse anche per questo fu accusato dagli Spartani di connivenza con i Messeni, tanto da essere rimandato in patria. L’atto fu giudicato da Atene come un vero e proprio affronto, con il conseguente abbandono della politica filospartana che fino a quel momento aveva prevalso grazie alle scelte operate da Cimone.
Le tensioni si tradussero, tra il 460 e il 445 a.C., in una serie di conflitti minori che coinvolsero alcune città che facevano capo alle due alleanze: Corinto, Tebe, Egina e in particolare Megara, strappata da Atene alla lega peloponnesiaca per la sua importanza strategica (la città controllava l’istmo da cui era necessario passare per invadere l’Attica dal Peloponneso). Alcuni storici parlano in proposito di una “prima guerra del Peloponneso”. Gli scontri videro prevalere ora una ora l’altra coalizione. Atene riuscì a conquistare per breve tempo la Beozia (ma non Tebe, la sua città più importante), e anche Megara passò da un fronte all’altro per essere poi restituita alla lega peloponnesiaca. In sostanza, i tentativi egemonici di Atene nella Grecia continentale fallirono, e nel 446-445 a.C. si giunse alla firma di una pace trentennale con Sparta – destinata però a durare molto meno – che prevedeva la rinuncia definitiva a Megara da parte di Atene, ma la conferma dell’acquisizione di Egina, conquistata durante lo scontro per il controllo di Delfi; che stabiliva per le città neutrali la possibilità di scegliere di unirsi all’una o all’altra coalizione; che riaffermava infine le zone di influenza di ciascuna: a Sparta la Grecia continentale, ad Atene l’egemonia sul mare.

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La lega delio-attica come strumento dell’imperialismo ateniese

Dopo la pace con Sparta e la rinuncia ai tentativi di egemonia continentale di Atene, il controllo della città attica sui suoi alleati si fece più stringente. La lega delio-attica, concepita come strumento per la continuazione della guerra contro i Persiani, era nata su basi di parità. Ogni città era tenuta a versare un tributo annuale (fatto nuovo nella storia greca: la lega peloponnesiaca, per esempio, non aveva mai previsto una tassa fissa, ma solo contributi occasionali) o a fornire navi per la flotta. Atene vi aveva avuto un ruolo di guida fin dall’inizio, dovuto alla forza della sua flotta e al prestigio guadagnato durante le guerre persiane, ma tale egemonia, a essa attribuita volontariamente dalle altre città della lega, non si era tradotta in un dominio assoluto e oppressivo e aveva garantito autonomia e indipendenza alle póleis della confederazione.
Dopo la definitiva conclusione del conflitto con l’impero persiano la lega avrebbe dovuto essere smantellata, ma fu mantenuta in vita, trasformandosi in uno strumento per dominare i commerci marittimi, per attuare una strategia politica aggressiva nel mar Egeo e persino per finanziare la politica interna di Atene.
Già nel 454 a.C., dopo la sconfitta subita in Egitto dalla flotta ateniese a opera dei Persiani, il tesoro della lega era stato trasferito da Delo ad Atene, con la giustificazione che in questo modo sarebbe stato meglio protetto. Il tributo pagato da ogni alleato, inizialmente destinato alle spese belliche comuni, cominciò così a essere utilizzato anche per le esigenze della città-guida, per esempio per il finanziamento delle opere pubbliche. Contemporaneamente, l’ingerenza di Atene nella politica interna degli alleati si fece più invadente, fino a tradursi in un vero e proprio controllo. Le città che tentavano di allontanarsi dalla lega venivano duramente punite; del resto, il tributo dovuto al tesoro comune aveva sì liberato gli alleati dal pesante onere della costruzione delle navi e del mantenimento degli equipaggi, ma aveva anche significato privarsi di ogni apparato militare, sottomettendosi di fatto al dominio degli Ateniesi.
La politica di egemonia marittima attuata da Atene attraverso la lega delio-attica è stata spesso paragonata a una politica imperialistica di tipo moderno, finalizzata all’approvvigionamento economico e all’espansione degli sbocchi commerciali. In realtà, nel mondo antico le questioni economiche non erano mai disgiunte da considerazioni di tipo politico e persino religioso, e non possono dunque, da sole, spiegare la natura e l’evoluzione dell’alleanza. Tuttavia, è innegabile che la lega fu anche un efficace mezzo nelle mani di Atene per garantirsi l’approvvigionamento di cereali, la cui produzione interna era insufficiente, e di materie prime, impiegate in primo luogo per la costruzione e il mantenimento della flotta, oltre che per finanziare lo sviluppo urbanistico e architettonico della città.

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2. L’evoluzione della democrazia ateniese: l’età di Pericle

La relativa collaborazione tra Atene e Sparta subì, come abbiamo visto, una forte incrinatura nel 464 a.C. Il rifiuto spartano del contingente inviato in suo aiuto dagli Ateniesi durante la terza guerra messenica ebbe conseguenze soprattutto sulla politica ateniese: segnò infatti l’inizio dell’abbandono della politica filospartana e, contemporaneamente, una battuta d’arresto nella carriera politica di Cimone che vide crollare il proprio prestigio politico. Dapprima portato in tribunale dai democratici, fu poi ostracizzato nel 461 a.C.

Da Efialte a Pericle

Con la sconfitta di Cimone, la fazione “democratica” dell’aristocrazia ateniese – quella più sensibile agli interessi mercantili e del démos – riprese il controllo della città sotto la guida di Efialte. I provvedimenti di politica interna attuati da Efialte furono rivolti a eliminare gli ultimi privilegi degli aristocratici: egli sottrasse ogni funzione politica all’areopago, il potente organo composto da ex arconti (e dunque in mano ai nobili), e ne ridusse anche i poteri giudiziari, limitandoli ai processi per le cause di sacrilegio e di omicidio volontario di cittadini ateniesi. Le prerogative politiche e giudiziarie più importanti furono invece attribuite alla bulé (che assunse anche il compito di giudicare l’operato degli strateghi alla fine del mandato), al tribunale popolare dell’eliea e all’ecclesia.
Le riforme di Efialte furono interpretate dagli aristocratici conservatori e dall’ala moderata dei democratici come provvedimenti radicali ed estremisti, anche perché l’areopago godeva nella pólis di un’aura di sacralità. Nel 460 a.C. Efialte fu assassinato, e la guida dei democratici passò al suo collaboratore Pericle.
Discendente di due delle più importanti famiglie ateniesi (gli Alcmeonidi per parte di madre e i Buzigi per parte di padre), Pericle restò sulla scena politica per oltre trent’anni, dominandola a lungo e ricoprendo la carica di stratego per molti mandati (prima ad anni alterni, poi ininterrottamente dal 443 al 431 a.C.). Sul versante della politica estera, Pericle continuò la strategia tracciata da Temistocle, che mirava a utilizzare la lega delio-attica per il controllo dell’Egeo. Proseguì dunque il rafforzamento della flotta e completò le fortificazioni della città, collegandola al porto del Pireo con le cosiddette Lunghe mura, pensate per garantire i rifornimenti alimentari anche in caso di assedio. Non tutte le sue scelte di politica estera furono fortunate; per esempio, come abbiamo già visto, quando decise di dare sostegno agli Egizi che si erano ribellati all’impero persiano: la sconfitta subita lo costrinse a richiamare in patria il suo vecchio avversario Cimone che, al comando dell’esercito, sconfisse i Persiani a Salamina di Cipro nel 450 a.C.

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Le riforme politiche e sociali

Nell’ambito della politica interna Pericle si pose nel solco di Pisistrato e di Clistene, attuando riforme che ampliavano le facoltà degli organi assembleari. Rafforzò i poteri dell’ecclesia, alla quale, oltre al controllo sull’operato delle cariche pubbliche, affidò anche il compito di proporre le leggi. Estese inoltre lo strumento del sorteggio per l’assegnazione delle cariche principali (a esclusione delle cariche che richiedevano specifiche competenze tecniche, come quella di stratego), rendendo più difficile il controllo aristocratico sulle nomine, e introdusse la retribuzione dell’attività politica (un compenso assegnato a tutti i presenti in assemblea), in modo da consentire la partecipazione attiva alla vita politica anche a coloro che non avrebbero potuto assentarsi dalle proprie attività lavorative. Su questi temi, però, la strategia politica di Pericle non fu priva di ambiguità e limiti. Nel 451 a.C., per esempio, fece approvare il suo provvedimento più controverso: una limitazione dell’estensione della cittadinanza, riconosciuta ora soltanto a coloro che avessero entrambi i genitori ateniesi (e non più uno soltanto). Gli storici hanno provato a individuare le motivazioni più diverse per questa legge, che probabilmente mirava a una chiusura della democrazia e a una stabilizzazione del numero di cittadini, al fine di limitare la cerchia di coloro che potevano godere dei diritti e dei privilegi offerti dal governo democratico, sempre più estesi e dunque più costosi per lo Stato.
Come già Pisistrato e Temistocle, anche Pericle attuò interventi di tipo sociale tramite l’avvio di importanti lavori pubblici. Dimostrò inoltre di saper fare buon uso della cultura, promuovendola e sostenendola anche come strumento di potere. Educato, probabilmente, dai filosofi e musici Damone e Pitoclide, egli amava dialogare con i filosofi Protagora e Zenone di Elea ed era intimo amico del filosofo Anassagora.
Pericle fece di Atene il più importante centro di cultura e di arte greche.

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Il klerotérion

Per il sorteggio delle cariche pubbliche si utilizzava il klerotérion, uno strumento di pietra dotato di fessure orizzontali, in cui venivano posti dei dischetti di metallo su cui era stato inciso il nome di un cittadino ateniese.
All’interno di una sorta di lungo imbuto venivano poi versate piccole pietre colorate, il cui colore, una volta estratte, stabiliva la cavità da scegliere, con il corrispettivo dischetto, determinando così l’elezione del cittadino di cui vi era inciso il nome.
Grazie al sorteggio, il démos ateniese era riuscito a impedire che i personaggi più influenti potessero sfruttare raccomandazioni o favori per avere il controllo esclusivo delle istituzioni; in tal modo, inoltre, tutti i cittadini avevano uguali possibilità di essere eletti.

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Un giudizio sulla figura di Pericle

Non è del tutto chiaro quanti e quali dei provvedimenti di politica interna ed estera attuati in questi anni siano stati effettivamente proposti da Pericle. Nonostante questo, la sua figura è divenuta celebre al punto da identificare un’intera epoca, tanto che con l’espressione “età di Pericle” (o “secolo di Pericle”) si indica spesso non solo il periodo di attività del grande politico ateniese, ma l’intero V secolo a.C.
Molto apprezzato dai suoi contemporanei e dagli storici antichi – nonostante alcuni atteggiamenti poco in linea con le abitudini dell’aristocrazia ateniese, come la relazione, aspramente criticata, con Aspasia di Mileto, una donna straniera cui si era legato dopo il divorzio –, il giudizio sul suo operato ha spesso diviso gli storici moderni. Secondo molti Pericle ha condotto il più riuscito esperimento di democrazia radicale della Storia, prevedendo un ordinamento politico imperniato nella misura più larga possibile sulle decisioni assembleari. Secondo altri, la sua fu una forma di governo definibile come una “tirannide democratica” (espressione dello storico antico Tucidide), cioè rispettosa delle formalità procedurali e delle istituzioni ma guidata con pugno fermo da una personalità capace di imporsi in modo carismatico. Certamente indiscutibile fu la sua abilità politica e oratoria, che si dispiegava sia nelle fasi preliminari di discussione delle leggi, sia di fronte all’assemblea: la grandissima capacità di convincere, attraverso un’oratoria studiata e funzionale, spiega la sua straordinaria longevità politica. Quanto al rispetto delle formalità istituzionali, va ricordato che, per quasi trent’anni, egli si sottopose ogni anno all’elezione a stratego, rinunciando a qualsiasi tentativo tirannico.

TESTIMONIANZE DELLA STORIA

PERICLE ALLA RICERCA DEL CONSENSO

Lo storico greco Plutarco (50-120 ca, d.C.) fu autore di numerose biografie nelle quali mette a confronto le vite di illustri uomini greci e romani (Vite parallele). In questo brano, tratto dalla biografia di Pericle, emerge la grande astuzia e l’abilità oratoria del personaggio, doti che seppe sfruttare a fondo nel processo di formazione del consenso popolare e che ne giustificano la longevità politica.



“Ma ciò che procurò il maggiore diletto e ornamento agli Ateniesi, la maggior meraviglia agli stranieri, [...] la costruzione degli edifici sacri; fu pure il più denigrato degli atti pubblici di Pericle e bersaglio di accuse calunniose da parte dei suoi avversari nelle assemblee. Essi gridavano che l’aver trasferito da Delo ad Atene il tesoro comune degli Elleni1 era un sopruso […]. Pericle spiegò ai cittadini che non dovevano rendere nessun conto agli alleati dell’impiego che facevano del tesoro, dal momento che combattevano per essi e tenevano lontani i barbari. […]
Pericle voleva insomma che se i giovani atti alle armi si arricchivano alla guerra, grazie ai contributi degli alleati, la folla dei lavoratori non inquadrati nell’esercito né rimanesse esclusa dai profitti, né vi partecipasse restando oziosa ed inerte.
A questo scopo portò e propose all’assemblea piani grandiosi di costruzioni e disegni d’opere, la cui esecuzione richiedeva molto tempo e l’intervento di molte categorie di artigiani; in tal modo anche i cittadini rimasti a casa avevano una giustificazione per partecipare al godimento degli utili pubblici, non meno degli equipaggi, delle guarnigioni e degli eserciti.”


Plutarco, Vite parallele. Pericle, trad. di C. Carena, Einaudi, Torino 1989



1. Elleni: Plutarco usa di preferenza il termine Elleni invece di Greci.


PER FISSARE I CONCETTI
  • Prova a ricavare dal brano il punto di vista dello storico Plutarco: esprime un giudizio positivo o negativo su Pericle in merito alla costruzione delle grandi opere?

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana