Atene e i provvedimenti di Temistocle
La vittoria di Maratona ebbe conseguenze rilevanti anche sulle vicende interne alla città di Atene, dove due fazioni opposte si combattevano accanitamente: da un lato lo schieramento guidato da Temistocle, della famiglia dei Licomidi, che appoggiava le rivendicazioni del démos (artigiani, mercanti e teti); dall’altro il gruppo che faceva capo ad Aristide, in cui si riconoscevano i proprietari
terrieri aristocratici.
Il démos, vero vincitore di Maratona – nella falange oplitica avevano combattuto a fianco dei nobili, con pari dignità, artigiani, mercanti e contadini –, ebbe la meglio, e Temistocle riuscì a ottenere la guida del governo ateniese.
Uomo dal carattere forte e determinato, ispirò una serie di importanti provvedimenti politici ed economici. La riforma costituzionale
del 487-486 a.C. potenziò in modo decisivo il ruolo dello
stratego (il comandante dell’esercito fornito da ciascuna tribù, figura già introdotta da Clistene), a svantaggio del potere di arconti e di polemarchi, tradizionalmente scelti tra gli aristocratici. Introdusse inoltre il sorteggio, al posto dell’elezione, per la designazione degli arconti, scelta che limitava ulteriormente il controllo delle cariche pubbliche da parte dei nobili. Fu in questo periodo che si fece ricorso, per la prima volta, all’istituto dell’ostracismo voluto da Clistene.
Tra tutti i politici ateniesi Temistocle fu il più lungimirante nella sua determinazione antipersiana. Convinto che Dario avrebbe colpito di nuovo Atene e la Grecia, e che la vittoria ateniese potesse avvenire solo sul mare, propose il rafforzamento della flotta e la fortificazione del Pireo, il porto di Atene. Questi provvedimenti miravano a consolidare
la potenza della città – in particolare a perseguire una politica di egemonia marittima – e allo stesso tempo rispondevano alle rivendicazioni dei gruppi sociali che sostenevano Temistocle: il controllo dei mari avrebbe infatti favorito gli interessi dei mercanti, mentre i lavori pubblici e i cantieri navali avrebbero dato opportunità di lavoro ai più poveri, occupati come operai e arruolati come rematori.
La fazione aristocratica si oppose duramente alle sue proposte, temendo che potessero favorire un’ulteriore ascesa economica (e di conseguenza politica) del ceto mercantile. Intervennero inoltre motivazioni di ordine ideologico e psicologico: i nobili ritenevano che il rafforzamento della flotta comportasse il ridimensionamento della falange oplitica, nella quale esercitavano i gradi di comando; su una nave, infatti, gli opliti erano ridotti di numero (dai dodici ai trenta), mentre la grande maggioranza dell’equipaggio era formata dai rematori, un ruolo per cui contava più la forza fisica che il coraggio e il valore.
Quando nel 482 a.C. Aristide, forse per la sua estrema intransigenza o perché appoggiato dai ceti che si opponevano alla costruzione delle navi, fu ostracizzato dal démos ateniese, Temistocle, enfatizzando anche le minacce navali di alcune città vicine, ottenne il via libera alla costruzione di duecento triremi da guerra, da finanziare con i proventi delle miniere d’argento del Laurio, nell’Attica meridionale. Era una decisione strategica che sconvolgeva la tradizionale politica estera e militare di Atene, fino ad allora dotata di una buona flotta mercantile privata ma di poche navi da guerra. Inoltre, il provvedimento era importante perché, comportando l’arruolamento dei ceti inferiori (teti e persino
meteci) come rematori, costituiva un passo verso un allargamento della partecipazione della popolazione alla difesa della città e, di conseguenza, alla sua vita politica.