3 - La seconda guerra persiana

Unità 5 L’ETÀ CLASSICA >> Capitolo 10 – Le guerre persiane

Atene e i provvedimenti di Temistocle

La vittoria di Maratona ebbe conseguenze rilevanti anche sulle vicende interne alla città di Atene, dove due fazioni opposte si combattevano accanitamente: da un lato lo schieramento guidato da Temistocle, della famiglia dei Licomidi, che appoggiava le rivendicazioni del démos (artigiani, mercanti e teti); dall’altro il gruppo che faceva capo ad Aristide, in cui si riconoscevano i proprietari terrieri aristocratici.
Il démos, vero vincitore di Maratona – nella falange oplitica avevano combattuto a fianco dei nobili, con pari dignità, artigiani, mercanti e contadini –, ebbe la meglio, e Temistocle riuscì a ottenere la guida del governo ateniese.
Uomo dal carattere forte e determinato, ispirò una serie di importanti provvedimenti politici ed economici. La riforma costituzionale del 487-486 a.C. potenziò in modo decisivo il ruolo dello stratego (il comandante dell’esercito fornito da ciascuna tribù, figura già introdotta da Clistene), a svantaggio del potere di arconti e di polemarchi, tradizionalmente scelti tra gli aristocratici. Introdusse inoltre il sorteggio, al posto dell’elezione, per la designazione degli arconti, scelta che limitava ulteriormente il controllo delle cariche pubbliche da parte dei nobili. Fu in questo periodo che si fece ricorso, per la prima volta, all’istituto dell’ostracismo voluto da Clistene.
Tra tutti i politici ateniesi Temistocle fu il più lungimirante nella sua determinazione antipersiana. Convinto che Dario avrebbe colpito di nuovo Atene e la Grecia, e che la vittoria ateniese potesse avvenire solo sul mare, propose il rafforzamento della flotta e la fortificazione del Pireo, il porto di Atene. Questi provvedimenti miravano a consolidare la potenza della città – in particolare a perseguire una politica di egemonia marittima – e allo stesso tempo rispondevano alle rivendicazioni dei gruppi sociali che sostenevano Temistocle: il controllo dei mari avrebbe infatti favorito gli interessi dei mercanti, mentre i lavori pubblici e i cantieri navali avrebbero dato opportunità di lavoro ai più poveri, occupati come operai e arruolati come rematori.
La fazione aristocratica si oppose duramente alle sue proposte, temendo che potessero favorire un’ulteriore ascesa economica (e di conseguenza politica) del ceto mercantile. Intervennero inoltre motivazioni di ordine ideologico e psicologico: i nobili ritenevano che il rafforzamento della flotta comportasse il ridimensionamento della falange oplitica, nella quale esercitavano i gradi di comando; su una nave, infatti, gli opliti erano ridotti di numero (dai dodici ai trenta), mentre la grande maggioranza dell’equipaggio era formata dai rematori, un ruolo per cui contava più la forza fisica che il coraggio e il valore.
Quando nel 482 a.C. Aristide, forse per la sua estrema intransigenza o perché appoggiato dai ceti che si opponevano alla costruzione delle navi, fu ostracizzato dal démos ateniese, Temistocle, enfatizzando anche le minacce navali di alcune città vicine, ottenne il via libera alla costruzione di duecento triremi da guerra, da finanziare con i proventi delle miniere d’argento del Laurio, nell’Attica meridionale. Era una decisione strategica che sconvolgeva la tradizionale politica estera e militare di Atene, fino ad allora dotata di una buona flotta mercantile privata ma di poche navi da guerra. Inoltre, il provvedimento era importante perché, comportando l’arruolamento dei ceti inferiori (teti e persino meteci) come rematori, costituiva un passo verso un allargamento della partecipazione della popolazione alla difesa della città e, di conseguenza, alla sua vita politica.

Aristide “il Giusto”

Aristide aveva costruito di sé l’immagine del politico incorruttibile e dell’uomo orientato dal senso di giustizia, ma il suo sentenziare su ogni cosa era diventato fastidioso, e lo faceva apparire al di sopra di tutti gli altri.
A questo proposito Plutarco, nelle Vite parallele, racconta l’aneddoto illustrato nella stampa. Un contadino analfabeta e ignorante consegnò il suo coccio per l’ostracismo ad Aristide senza riconoscerlo, chiedendogli di scriverci sopra “Aristide”.
Stupito, Aristide gli chiese che male gli avesse fatto quell’uomo. La risposta fu che Aristide non gli aveva fatto nulla, ma il contadino era stufo di sentirlo chiamare “il Giusto”. Aristide, senza ribattere, scrisse il suo nome sul coccio e glielo restituì. Plutarco commenta che il popolo spesso usava l’ostracismo per «la riduzione e la repressione di un prestigio e di un potere troppo pesante».

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3. La seconda guerra persiana

Nel frattempo, Serse era succeduto al padre Dario, morto nel 486 a.C. Proseguendo la strategia del suo predecessore, il nuovo sovrano avviò i preparativi per organizzare un esercito di notevoli proporzioni, che avrebbe dovuto sottomettere la Grecia definitivamente, in modo da impedire alla radice l’espansione dell’influenza ellenica nel Mediterraneo. Calcando la mano, lo storico Erodoto propone una stima della consistenza dell’esercito persiano: «Messi insieme, gli effettivi della flotta e dell’esercito di terra raggiungono il numero di 2 317 610 uomini» (che sarebbero diventati 2 641 610 aggiungendo al conto i Traci, i Peoni, i Macedoni), e questo «senza contare i servitori che accompagnavano la spedizione, le navi per trasporto viveri e gli uomini su di esse imbarcati». Gli storici di oggi, più prudenti, ritengono invece che le truppe persiane contassero alcune decine di migliaia di soldati, e che quelle greche non fossero poi così diverse per numero. Si trattava comunque di un esercito imponente, tanto che per trasportarlo al di là dell’Ellesponto (l’odierno stretto dei Dardanelli) Serse fece costruire un ponte di barche tra le due sponde.
La nuova minaccia persiana, intanto, aveva avuto una prima, insperata conseguenza: nel 481 a.C., a Corinto, le città greche strinsero per la prima volta un’alleanza panellenica. A Sparta venne affidata la guida dei contingenti di opliti impegnati nelle battaglie di terra; ad Atene il comando delle operazioni navali. Solo gli Stati federali della Tessaglia e della Beozia, a guida aristocratica, scelsero di allearsi con i Persiani, temendo che un’eventuale vittoria di Atene avrebbe favorito un eccessivo rafforzamento delle tendenze democratiche anche all’interno dei loro territori.

I Persiani danno avvio alla guerra (480 a.C.)

Nel maggio del 480 a.C. i Persiani misero piede sulla sponda europea dei Dardanelli e puntarono verso il Nord della Grecia, mentre la flotta seguiva l’esercito di terra lungo le coste ( carta, p. 204). Per evitare la circumnavigazione del promontorio su cui sorge il monte Athos, luogo del disastro navale di dodici anni prima, Serse fece scavare nell’istmo un canale lungo oltre 2 km.
Le prime battaglie ebbero luogo nell’agosto dello stesso anno presso capo Artemisio, nel Nord dell’isola di Eubea, dove la flotta greca tenne testa a quella persiana, seppure con gravissime perdite. Lo scontro più celebre avvenne però poco dopo alle Termopili, un passo di importanza strategica che unisce la Tessaglia alla Grecia centrale. Qui l’esercito dei Greci si ritirò all’arrivo dei nemici; rimase soltanto un piccolo contingente di 300 Spartani comandati dal re Leonida, affiancati forse da 4000 soldati di Focea e di altre città, che riuscì a ritardare di tre giorni l’avanzata persiana, prima di venire travolto e schiacciato. La resistenza degli opliti guidati dagli Spartani alle Termopili non fermò l’esercito di Serse, ma diede tempo alla flotta greca di riposizionarsi e assunse un significato simbolico cruciale, divenendo un esempio di eroismo e di coraggio estremo.

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La strategia difensiva di Temistocle

Superate le Termopili, gli invasori dilagarono in Attica, che era però preparata a riceverli. Con un piano temerario, Temistocle aveva fatto evacuare Atene e le sue campagne, portando tutta la popolazione civile (anziani, donne, bambini: gli uomini vennero in gran parte arruolati sulle triremi) sulle spiagge o sulle isole vicine. I Persiani, giunti ad Atene, quasi deserta, uccisero i pochi che non avevano voluto lasciare la città, abbatterono il tempio di Atena sull’acropoli e incendiarono gli edifici.
Simulando la fuga delle proprie triremi, Temistocle riuscì a farsi inseguire dalla flotta persiana nell’angusto canale dell’isola di Salamina ( carta), una stretta lingua di mare in cui le imponenti e pesanti navi persiane avrebbero faticato a compiere le manovre. Qui, nel settembre del 480 a.C., i Persiani subirono una sconfitta bruciante: le agili triremi ateniesi ne decimarono la flotta. I Greci – avrebbe scritto Eschilo nella tragedia I Persiani – colpirono i nemici «coi frammenti dei remi / E coi relitti delle navi, e le aprirono / Come tonni e come una rete di pesci», costringendo la “flotta barbara” a una «fuga disordinata».
Mentre quel che rimaneva della flotta persiana lasciava le coste greche e Serse faceva ritorno in patria con una parte delle truppe di terra, l’esercito, rimasto al comando di Mardonio, si acquartierò in Tessaglia, in attesa di riprendere le operazioni alla fine dell’inverno. I Persiani tornarono all’attacco nella primavera del 479 a.C., ma furono nuovamente sconfitti, in settembre, nella battaglia di Platea, in Beozia, dove in tre settimane di combattimenti un esercito greco di 40 000 opliti comandato dallo spartano Pausania inflisse gravi perdite ai nemici. La flotta greca, guidata dalle triremi ateniesi, si spinse inoltre fino alle coste dell’Asia minore, dove sconfisse i Persiani presso il promontorio di Micale, vicino a Mileto, e nel 478 a.C. conquistò Sesto, presso lo stretto dei Dardanelli.

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Il significato della vittoria

Dopo Salamina, la Grecia continentale non subì altre invasioni da parte dell’esercito persiano, anche se il conflitto non terminò. Le città ioniche, tornate indipendenti, continuavano infatti a soffrire la minaccia del potente vicino che, pur essendo stato costretto ad abbandonare le mire espansionistiche sulla Grecia, manteneva la propria potenza imperiale quasi intatta. Inoltre, molti territori occupati durante la seconda guerra persiana (la Macedonia, il Chersoneso tracico, una parte della stessa Asia minore) non erano ancora tornati in mani greche. Per questo nei decenni successivi si verificarono altri episodi bellici in cui furono le póleis greche, e Atene in particolare, a prendere l’iniziativa. Solo nel 449 a.C., con la pace di Callia, le due potenze posero definitivamente fine alle ostilità, siglando un accordo di non interferenza.
La vittoria greca nella seconda guerra persiana ebbe comunque conseguenze culturali e politiche di portata epocale. L’enfasi attribuita già dai contemporanei agli eventi dimostra come il valore simbolico della vittoria fosse stato subito evidente: per la prima volta nella loro storia i Greci avevano compreso l’importanza di collaborare per la difesa dei loro territori e della libertà politica delle loro città. Si compiva il lungo percorso di formazione di un’identità panellenica superiore ai particolarismi che avevano sempre caratterizzato il mondo greco.

Nel cuore della STORIA

Artemisia di Alicarnasso nella battaglia di Salamina

Dalla disfatta persiana di Salamina emerse a sorpresa una figura femminile: Artemisia, regina di Alicarnasso. Il suo concittadino greco Erodoto provava «ammirato stupore» per lei comandante, unica donna, delle cinque navi della flotta della Caria (regione di Alicarnasso), schierata contro la coalizione greca. A capo Artemisio si distinse per coraggio; ma fu a Salamina che mostrò la sua intelligenza: contro il parere di tutti gli altri generali, suggerì al re persiano di non accettare lo scontro per mare, di non entrare nello stretto e di rafforzare le conquiste territoriali. Serse, pur apprezzandone l’acume, decise altrimenti. E l’indomani vi fu la battaglia di Salamina, durante la quale Artemisia dimostrò le sue capacità di comando e la sua determinazione. Inseguita da una nave nemica, ormai intrappolata, non esitò ad attaccare la nave persiana che le navigava al fianco, affondandola, per aprirsi la via di fuga. A quel punto il comandante della nave greca, credendo che la nave di Artemisia fosse greca o avesse disertato, virò di bordo e si rivolse contro altre navi. Serse, che con crescente disperazione assisteva dall’alto al drammatico spettacolo delle sue navi speronate dalle manovre dei Greci, rimase impressionato dalla spregiudicatezza di Artemisia, tanto da pronunciare – secondo quanto ha scritto Erodoto – la frase: «Gli uomini mi sono diventati donne e le donne uomini».

Terre, mari, idee - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana