2 - La civiltà micenea

Unità 4 LE ORIGINI E L’ETÀ ARCAICA >> Capitolo 7 – Creta e Micene: alle origini della civiltà greca

2. La civiltà micenea

Tra il III e il II millennio a.C. la parte continentale della Grecia fu occupata da una popolazione di lingua indoeuropea che, nella sua successiva espansione, arrivò a colonizzare gran parte dell’Egeo. Delle città fondate da questo popolo – tra le quali Dimini, Tebe, Gla, Argo, Tirinto, Pilo – Micene fu la più importante, tanto che Heinrich Schliemann (1822-1890) – il ricco mercante tedesco appassionato di archeologia che per primo si dedicò agli scavi nella terra ritenuta patria dell’eroe omerico Agamennone – mutuò da essa il nome di Micenei per identificare tutta la civiltà che si sviluppò in Grecia in questo periodo.
Non sappiamo invece come i Micenei definissero se stessi: nell’Iliade di Omero sono identificati come “Achei”, la cui denominazione greca, Achàioi, avrebbe fatto intravedere agli storici una somiglianza con “Akhkhiyawa”, nome forse utilizzato per designare questa popolazione nei testi diplomatici ittiti. Il nome Achei divenne poi sinonimo di “Elleni”, a testimonianza del carattere già propriamente greco di questa civiltà.
L’ascesa micenea, che si colloca tra il 1600 e il 1450 a.C., corrisponde in parte al periodo neopalaziale di Creta; in questa fase Creta esercitò una forte influenza sui Micenei, sia dal punto di vista economico, sia da quello culturale (nell’ambito della scrittura, della religione, dell’architettura).

Il palazzo e l’organizzazione del potere

Anche la società micenea era organizzata intorno al palazzo, che era però più piccolo e compatto di quello cretese e presentava una forma-tipo architettonica in parte diversa. Le principali differenze consistevano nell’assenza del cortile centrale, sostituito da una “grande sala” di rappresentanza, il mégaron, e nella presenza di mura difensive.
Il palazzo di Pilo, per esempio, era strutturato in questo modo: accanto all’ingresso, probabilmente difeso da un corpo di guardia, si trovava l’archivio da cui si controllavano le merci in entrata e uscita; mediante un cortile e un vestibolo si arrivava al mégaron, decorato con splendidi affreschi di animali e figure umane, scene di banchetti o di guerrieri che sconfiggono uomini vestiti di pelli animali (evidentemente le decorazioni avevano la funzione di narrare le imprese eroiche e di esaltare l’importanza di un glorioso passato). Al centro vi era un ampio focolare, quattro colonne a sostegno del tetto e, addossato a una parete, il trono. Attorno al mégaron si aprivano gli spazi dei magazzini e delle officine, dove gli artigiani producevano beni di pregio.
Il mégaron era la parte più protetta del palazzo: qui il sovrano, chiamato wanax o wanaka, svolgeva le sue funzioni e riceveva gli ambasciatori stranieri. Egli non era però un monarca assoluto, quanto piuttosto una figura che si trovava al vertice di una struttura politica elitaria composta dal capo dell’esercito (lawagetas), il sacerdote (tereta), l’equeta (o compagno del re, forse un guerriero che possedeva un carro da guerra) e l’importante “consiglio degli anziani” (kerosija). Tale struttura deteneva il potere politico, religioso e militare ed esercitava il controllo su tutte le attività economiche curando l’approvvigionamento delle materie prime, gestendo i commerci e organizzando la raccolta, l’immagazzinamento e la distribuzione dei prodotti agricoli.

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La roccaforte micenea

Il palazzo era in genere costruito su un’altura e circondato da una cittadella fortificata entro la quale, in caso di minaccia, si rifugiava tutta la comunità. All’esterno delle mura fortificate si sviluppavano le comunità (dámoi) che potevano raggiungere le dimensioni di una piccola città (20 ettari a Pilo, 32 a Micene) formate dalle capanne dei contadini e degli schiavi.
Le imponenti mura, definite “ciclopiche” dai primi archeologi, furono costruite già intorno al 1500 a.C. e costituivano un poderoso sistema di difesa, dato il ricorrente stato di guerra o di pericolo. Le roccaforti dovevano in effetti difendersi dalle scorrerie delle popolazioni nomadi che attraversavano l’entroterra greco, ma anche dagli attacchi degli altri centri micenei: malgrado la forte omogeneità culturale dei vari regni indipendenti nei quali erano organizzati i Micenei, infatti, erano frequenti le incursioni e le guerre motivate dalla competizione per il controllo delle risorse.

Agricoltura, guerre e commerci

Sappiamo ancora poco dei rapporti tra il palazzo e le comunità, così come della composizione e della struttura della società, ma nel complesso possiamo ricostruire un quadro abbastanza attendibile. L’economia micenea restò sempre legata all’agricoltura e alla pastorizia, anche quando l’espansione territoriale portò a una maggiore incidenza economica delle attività mercantili. Agricoltura e allevamento non raggiunsero mai, però, un livello di sviluppo elevato, probabilmente a causa della cattiva qualità dei terreni, soprattutto nel Peloponneso, e dell’asprezza dell’ambiente; in questo senso ebbe un peso non secondario anche la frequenza delle guerre di conquista, ormai necessarie per mantenere una popolazione in aumento, che sottraevano i contadini alle campagne, lasciando le terre per lo più affidate agli schiavi, ma che nello stesso tempo richiedevano risorse alimentari destinate ai guerrieri.
D’altra parte le guerre favorirono la formazione e lo sviluppo di una classe di guerrieri, detentrice del controllo delle risorse economiche e alimentari: la superiorità dei Micenei era fondata infatti su una casta di nobili armati dotati di un carro da guerra. Il potere del wanax e dei guerrieri si basava, oltre che sulla proprietà della terra, coltivata dai contadini e dagli schiavi, sul monopolio della forza militare; un ruolo importante avevano però anche le pratiche sociali di redistribuzione ed elargizione della ricchezza (feste e banchetti). Cruciale era poi la gestione della sfera religiosa, cioè il culto degli antenati e delle divinità e la presentazione delle offerte agli dèi.
L’accentramento del potere politico e della ricchezza e la struttura guerriera della società favorirono la crescita di un ceto di artigiani (bronzisti, ceramisti, tessitori) di grande valore: ai nobili guerrieri infatti non servivano solo armi di bronzo, ma anche segni di prestigio simboli della loro autorità, come oggetti preziosi e vestiti. Da un certo periodo in poi anche le sepolture dei sovrani si arricchirono di oggetti in oro, a cominciare dalle maschere dei sovrani. L’introduzione della vite e dell’ulivo, intorno al 1600 a.C., e la necessità di approvvigionarsi di rame e di altre materie prime diedero comunque un importante impulso agli scambi internazionali: nel momento di massima fioritura dei commerci via mare, i Micenei esportavano verso molte mete mediterranee olio, vino, manufatti in ceramica e in bronzo e oli profumati in cambio di cereali, rame e stagno.

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Le usanze funebri dei sovrani micenei

Dopo la campagna di scavo a Troia, a partire dal 1874 Heinrich Schliemann si dedicò agli scavi di Micene, nel Peloponneso. Nel 1876 portò alla luce tombe a fossa con la più alta concentrazione di oggetti preziosi mai scoperta nell’area egea. La ricchezza di queste tombe e la straordinaria qualità degli oggetti artigianali scoperti al loro interno impressionarono gli europei del tardo Ottocento: spade e pugnali di bronzo, alcuni dei quali finemente decorati, vasi in oro, argento e pietra, gioielli, oggetti di lusso importati da Creta.
Re e nobili micenei attribuivano grande peso alla sepoltura: essa segnalava nello stesso tempo la supremazia del potere, l’importanza della memoria del passato e il rispetto per l’anzianità.
Ne sono rimasti alcuni esempi che ci consentono di valutare il loro valore, come, per esempio, il Tesoro di Atreo a Micene o la tomba vicina al Palazzo di Nestore a Pilo. Le tombe reali, chiamate thóloi, avevano una struttura a forma di cupola, ottenuta sovrapponendo grandi pietre che venivano poi ricoperte di terra fino a formare una piccola collina. I re erano sepolti insieme alle armi e a agli oggetti fabbricati con metalli preziosi, simbolo della loro autorità.
I tesori ritrovati nelle tombe reali sono una testimonianza della maestria dei fabbri micenei, che avevano appreso l’arte della metallurgia dai Cretesi, per poi diventare gli artisti più ricercati del tempo. Dalle tavolette ritrovate negli archivi della cittadella di Pilo, sappiamo che vi lavoravano ben 400 fabbri. Tra le opere più celebri degli orafi micenei vi sono le maschere d’oro che riproducevano il volto dei sovrani defunti, come prova della loro immortalità.

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L’espansione micenea nel Mediterraneo

La padronanza dell’arte del commercio e la conoscenza delle rotte marittime e delle tecniche di navigazione erano il frutto della secolare influenza esercitata da Creta sulla civiltà micenea. Questa influenza fu possibile non solo per la presenza dei mercanti cretesi in buona parte del Mediterraneo orientale, ma anche grazie alla forte e ben integrata comunità micenea sull’isola. A Cnosso e a Chania, per esempio, tale presenza è attestata in misura consistente già attorno alla fine del XV secolo a.C. anche attraverso la Lineare B, la scrittura micenea derivata dalla Lineare A. Quando la civiltà minoica entrò in crisi, i Micenei furono in grado di sostituirsi ai Cretesi nel controllo delle rotte marittime egee.
Dopo il 1450 a.C. ebbe inizio l’espansione micenea, rivolta dapprima, oltre che verso Creta (dove i Micenei furono forse artefici della ricostruzione dei palazzi), verso Rodi, Cipro, l’Asia minore, l’Egitto, la Libia, la Siria, Israele; successivamente verso l’Attica e poi il Mediterraneo occidentale, in particolare verso la Puglia, la Calabria, la Sicilia, la Sardegna e le coste iberiche. In tutti questi luoghi, i Micenei attuarono una politica di insediamento e, quando necessario, di conquista territoriale (la guerra di Troia cantata nei poemi omerici è una trasposizione epica dei conflitti con le ricche città mercantili dell’Asia minore). Tuttavia, quello miceneo non fu mai un impero propriamente detto: in tutte le aree in cui è attestata la presenza micenea erano contemporaneamente presenti anche altri popoli, con cui essi convissero e condivisero il controllo del territorio. Ciononostante, parte della ricchezza micenea proveniva proprio dai bottini di guerra e dallo sfruttamento dei popoli sottomessi, costretti a pagare ingenti tributi e a lavorare come schiavi.

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La fine dei regni micenei

Intorno al 1200 a.C., la potenza micenea andò incontro a una crisi improvvisa. Gli storici discutono ancora sulle ragioni di questo tracollo, che fu probabilmente dovuto a una pluralità di cause.
Per lungo tempo se ne è attribuita la responsabilità all’invasione di altri popoli di lingua indoeuropea provenienti dal Nord e identificati in particolare nei Dori. In realtà, la cosiddetta “invasione dorica” tende oggi a essere interpretata come una migrazione di lunga durata, piuttosto che un’invasione violenta e improvvisa, e dunque non tale da giustificare la repentina scomparsa di una civiltà potente e ben strutturata.
Le poche fonti disponibili su questo punto, peraltro, confermano l’esistenza di una minaccia esterna, ma ne attribuiscono la provenienza non alle zone dell’entroterra balcanico, bensì all’Egeo, cosa che ha portato a ipotizzare una relazione tra il rapido declino miceneo e le incursioni dei popoli del mare ( p. 77). Proprio nello stesso periodo, infatti, l’aggressività dei popoli del mare aveva provocato il crollo dell’impero ittita ed era giunta a minacciare anche l’Egitto: la scomparsa della potenza micenea si collocherebbe così all’interno di sconvolgimenti più generali, che non riguardarono solo la Grecia ma l’intero Mediterraneo orientale.
L’ipotesi più attendibile, comunque, è che si siano sviluppati alcuni fenomeni di instabilità che intaccarono il potere dei sovrani micenei e favorirono l’esplodere di gravi rivolte sociali.
La politica di espansione aveva garantito l’afflusso di ricchezza, ma comportava una serie di rischi: la chiusura di alcune rotte commerciali (forse in conseguenza delle incursioni dei popoli del mare) potrebbe aver generato difficoltà economiche che si sommarono a un generale squilibrio tra popolazione e risorse, dovuto alla crescita demografica e alle migrazioni dei due secoli precedenti (in queste migrazioni che coinvolsero buona parte dell’Egeo si inquadrerebbe tra l’altro anche la migrazione dorica). A tutto ciò si aggiunsero forse disastri naturali (terremoti e incendi) che aggravarono la crisi, determinando lo scoppio di ribellioni contro la nobiltà guerriera che aveva per lungo tempo oppresso le masse rurali. Durante le sommosse i palazzi furono incendiati e distrutti: segni evidenti di distruzioni, non imputabili a eventi naturali, si registrano per esempio a Micene e a Tirinto, e in parte a Pilo.
Quali che fossero le cause, il crollo delle città micenee fu rapido e devastante: per molti secoli scomparvero dall’area egea la scrittura, le forme complesse di architettura, l’artigianato specializzato, le tecniche artistiche dell’affresco parietale e perfino la memoria della potenza di Creta. Iniziava il periodo tradizionalmente definito “Medioevo ellenico”, una fase di regresso durante la quale sarebbero tuttavia maturate le premesse dello sviluppo dei secoli successivi.

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La guerra di Troia tra poesia e archeologia

Nell’Iliade, il primo dei due grandi poemi omerici, si narra la fase finale della guerra portata a Troia, città dell’Asia minore, dagli Achei guidati da Agamennone per vendicare l’affronto subito da Menelao, fratello di Agamennone, al quale Paride, figlio del re troiano Priamo, aveva sottratto la moglie Elena, la donna più bella della Grecia, che di lui si era innamorata. La guerra durò dieci anni e mise alla prova il coraggio dei più valorosi uomini greci: tra questi Achille, principe dei Mirmidoni di Ftia, in Tessaglia; Ulisse, re di Itaca; Aiace Telamonio, re di Salamina; Idomeneo, re di Creta; Menesteo, re di Atene; Patroclo, amico di Achille.
Senza dubbio, l’Iliade e l’Odissea sono all’origine della storia letteraria della Grecia e di tutta l’Europa, e hanno avuto un ruolo fondamentale nella formazione culturale (e politica) di Greci, Romani e di altri popoli (come per esempio i Franchi, un popolo “barbaro” che contribuì alla caduta dell’impero romano): presso costoro erano pochi i dubbi sulla sostanziale veridicità del racconto omerico. E non sollevava domande il fatto che Omero scrivesse di vicende accadute circa mezzo millennio prima.
Nel corso del XIX secolo si è risvegliato un nuovo interesse per la ricerca di fondamenti storici, o almeno di elementi di autenticità, nella narrazione omerica. A iniziare gli scavi archeologici fu il mercante tedesco Heinrich Schliemann, il quale proclamò, nel 1872, di aver ritrovato i presunti resti di Troia. Da allora in poi il racconto omerico è stato sottoposto al vaglio di testimonianze materiali comparate, rivelandosi assai problematico. I rinvenimenti archeologici successivi hanno offerto più domande che risposte, più dubbi che certezze. Dagli otto livelli di scavo delle fondamenta di Troia, per esempio, ricaviamo solo che ci furono un paio di consistenti distruzioni di mura, ma nulla che possa farle risalire all’azione degli Achei (tra l’altro la ricchezza della città faceva gola anche agli assai più temibili Ittiti, che potrebbero essere stati gli artefici delle distruzioni). Il periodo della caduta definitiva della città – intorno al 1200 a.C. – coincide inoltre con la fine improvvisa e traumatica della potenza micenea, ed è dunque difficile immaginare che essa potesse proprio in quel momento dedicarsi a guerre di conquista in terre lontane. Insomma, gli storici tendono oggi a smentire decisamente la convinzione di Schliemann di aver identificato il sito dell’antica Troia, come pure l’idea che Micene, i cui resti sono stati anch’essi scoperti da lui, fosse la mitica patria di Agamennone.

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3. La cultura minoico-micenea e le origini della civiltà greca

Nonostante il declino della potenza cretese e il crollo dei regni micenei, la cultura minoico- micenea esercitò una duratura e profonda influenza sui secoli successivi, tanto che – come aveva già intuito Arthur Evans all’inizio del XX secolo – è possibile individuare in queste civiltà le origini della cultura greca.

Cretesi e Micenei erano Greci?

Ma in che misura è possibile sostenere che i Cretesi e i Micenei fossero già, a tutti gli effetti, Greci? La Grecia continentale e insulare era abitata già molti millenni prima della fioritura delle civiltà minoica e micenea; tuttavia, di una storia propriamente “greca” si può parlare solo nel momento in cui sia attestata la presenza di popoli che parlano greco. Se usiamo il fattore linguistico come termine per determinare l’appartenenza a un gruppo o a un’area culturale, allora dobbiamo dire che la cultura micenea era già compiutamente e a tutti gli effetti greca.
La conoscenza della lingua e della scrittura micenee sono state possibili, paradossalmente, grazie agli incendi dei palazzi avvenuti intorno al 1200 a.C. Le informazioni legate alla loro gestione, come per esempio le entrate e le uscite delle merci dai magazzini, erano infatti incise su tavolette di argilla fresca, che venivano conservate solo per breve tempo. A causa del calore prodotto dal fuoco durante gli incendi, le tavolette si sono solidificate, giungendo fino ai giorni nostri e consentendo agli storici di ricostruire molti aspetti riguardanti la vita quotidiana dei centri micenei. La conservazione di questi documenti ha inoltre consentito lo studio della Lineare B, derivata dalla Lineare A cretese ma utilizzata per trascrivere una lingua diversa da quella parlata a Creta. La decifrazione della Lineare B ha permesso di stabilire che i Micenei parlavano una lingua del tutto simile a quella diffusa in seguito nel mondo greco, una sorta di dialetto greco arcaico che testimonia la continuità culturale tra la civiltà achea e quella ellenica (i termini micenei per “ragazza” e “ragazzo”, per esempio, erano ko-wa e ko-wo, quelli greci kore e koúros).
Se i Micenei parlavano un greco arcaico, ed erano dunque Greci, lo stesso non si può dire dei Cretesi, la cui lingua ci è ignota e la cui scrittura non è ancora stata decifrata. Attenendosi al criterio linguistico, dunque, i Cretesi non andrebbero considerati Greci? In realtà, l’influenza della cultura cretese su quella micenea fu tale che in molti ambiti è difficile marcare una separazione netta tra le due civiltà. Anche Creta probabilmente giocò un ruolo fondamentale nella formazione della cultura proto-greca.

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Fra Creta, Micene e la Grecia: continuità e discontinuità

Le reciproche influenze tra cultura minoica, micenea e greca sono evidenti anche sul piano religioso. Sebbene la decifrazione della Lineare B abbia mostrato un’origine diversa delle religioni praticate a Creta e nella Grecia micenea, esse si influenzarono a vicenda (tanto che un tempo si parlava di religione minoico-micenea), come è attestato dalla presenza di numerose divinità comuni: Zeus, Era, Atena, Artemide, Dioniso, tra le altre. A loro volta, i Greci dell’età arcaica ereditarono questi culti e li inserirono nel loro pántheon.
Anche nell’ambito dell’architettura civile e religiosa si ritrovano aspetti di (parziale) continuità tra civiltà micenea e greca: la struttura del mégaron, per esempio, sarebbe stata ripresa dagli architetti greci nella costruzione delle celle interne dei templi più antichi, in cui erano custodite, circondate da un colonnato, le statue delle divinità.
Tuttavia, sia per il piano linguistico sia per quello religioso occorre cautela. Non sempre la sopravvivenza dei nomi delle divinità, per esempio, significa anche continuità di immagine e di rappresentazione: nomi simili o identici possono in realtà riferirsi a culti completamente diversi.
Quanto alla lingua, non tutti gli studiosi concordano sulla contiguità tra Lineare A e Lineare B, contestando che la scrittura sillabica di origine cretese, derivata dagli ideogrammi, fosse adattabile alla lingua greca. E del resto, tra la lingua micenea e quella greca successiva c’è una fondamentale cesura, rappresentata dall’adozione, da parte dei Greci della prima età arcaica, di una nuova scrittura alfabetica derivata dai Fenici, dunque molto diversa da quella sillabica ( p. 146).
Tra Minoici-Micenei e Greci, insomma, sussistono differenze e continuità, mentre un’identità culturale propriamente greca, che pure ebbe origine in età micenea, sarebbe maturata nei secoli successivi al crollo di quella civiltà.

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana