Olio, vino e fichi
Lo storico greco Erodoto (480-424 ca. a.C.), parlando della ricca Babilonia si stupisce che, oltre al grano, non vi si noti «nemmeno il più lontano tentativo di produrre altre piante: né il fico, né la vite, né l’ulivo» (Storie, I, 193), mentre di «olio odoroso» e di «sacro ulivo» parla Omero nell’Odissea, indicando la presenza di queste coltivazioni in terra greca. Se il grano è la principale fonte di ricchezza della mezzaluna fertile, olio, vino e
fichi sono alla base della prosperità dei Greci. Già a partire dal 950 a.C. una gran quantità di vasi, anfore e coppe per il trasporto dell’olio, provenienti dall’Eubea, cominciano a comparire nella potente città fenicia di Tiro. Olio, uva e fichi sono prodotti preziosi perché si possono conservare a lungo e possono essere trasformati (uva passa e fichi secchi) più facilmente di carne e pesce, che hanno bisogno di essere essiccati e messi sotto sale, bene scarso e costoso.
L’ulivo: simbolo di una civiltà
L’ulivo in particolare verrà esportato in tutte le aree colonizzate dai Greci. È una pianta forte e fragile allo stesso tempo: sopporta bene il caldo e la siccità, si adatta bene a suoli rocciosi e alle terrazzature pietrose, ma non tollera il gelo. Caratterizzato da radici che penetrano nel terreno fino a tre metri di profondità, ha un ciclo vitale pluricentenario; dal punto di vista della produttività, necessita di un investimento a lunga resa (l’ulivo comincia a produrre dopo 3-4 anni, ma la produzione è a regime solo dopo una decina d’anni, e a piena resa verso i vent’anni) ma è resistente e ha redditività elevata; il suo frutto, l’oliva, è commestibile e nutriente, e l’olio che si ricava dalla sua spremitura o pigiatura ha proprietà che lo rendono adatto a usi disparati: come alimento, come conservante, ma anche come balsamo per il corpo, unguento medicamentoso, tonico per gli atleti, offerta per le pratiche votive e sacre.
La diffusione della vite e del vino
Se ci atteniamo al racconto biblico, il vino entra nell’alimentazione mediterranea ancor prima dell’olio: è Noè a sperimentarne gli effetti inebrianti. Il vino è presente anche in molta letteratura greca. Nell’Odissea il ciclope Polifemo viene stordito da Ulisse con una coppa di vino prima di essere accecato con un palo rovente. Il poeta arcaico Esiodo (VIII secolo a.C. circa) nel poemetto
Le opere e i giorni sollecita il pigro fratello Perse a raccogliere a metà settembre tutti i grappoli dalle vigne, spiegando cosa fare per ottenere un buon passito: «Esponili al sole per dieci giorni e dieci notti; quindi per cinque giorni lasciali all’ombra, ed al sesto versa nei recipienti il dono di Dioniso ricco di letizie» (vv. 609-614, trad. di A. Colonna, Utet, Torino 1977).
Bere vino, in Grecia, è simbolo di prestigio sociale, perché i costi di produzione e lavorazione inizialmente sono elevati; la vite però si coltiva più facilmente dell’ulivo, così verso il XV secolo a.C. si diffonde in tutto il territorio greco. Tutti lo bevono (annacquato, perché il vino puro aveva una gradazione alcolica troppo alta), tanto che questa bevanda finisce per distinguere il “noi” greco dai “barbari”, che bevono prevalentemente birra, meno pregiata. La produzione e il consumo di vino si affermano anche nelle terre colonizzate dai Greci, tanto che Erodoto chiama la Calabria “Enotria” (dal termine greco oînos, “vino”).
Dopo la prima fase di pigiatura iniziava la vinificazione. Le cantine ospitavano enormi vasi di terracotta, i píthoi, alti anche più di tre metri, interrati e ricoperti di resina e pece per evitare la traspirazione; trascorsi i sei mesi di fermentazione, il vino era travasato in otri o in anfore appuntite alla base (per favorire l’accumularsi del fondo) e aromatizzato con spezie, miele e resina. Ne risultava un prodotto ricco di proprietà, nutriente, inebriante e stimolante.
Il vino era già presente in Mesopotamia e in Egitto ma non con la stessa valenza culturale che avrà presso i Greci: bevanda principe nei banchetti (durante i quali spesso si eccede nel bere vino), ma anche dono gradito tra amici e offerta votiva nei riti religiosi.