Capitolo 7 - Creta e Micene: alle origini della civiltà greca

Capitolo 7 CRETA E MICENE: ALLE ORIGINI DELLA CIVILTÀ GRECA

i concetti chiave
  • Il territorio della “Grecia” è montuoso e arido: prevale la pastorizia, a partire dal II millennio a.C. viene introdotta la “triade mediterranea”
  • La carenza di risorse minerarie e lo sviluppo di navigazione e commercio
  • Dominio commerciale e marittimo cretese
  • Il palazzo minoico è il fulcro dell’attività politica ed economica
  • La fase di declino della civiltà minoica corrisponde all’ascesa di quella micenea
  • Nelle città micenee il palazzo è sede del re, che detiene il potere politico, religioso, militare ed economico
  • A Micene prevalgono le attività militari su quelle economiche e commerciali
  • Sconfitti i Cretesi, i Micenei ampliano i traffici verso il Mediterraneo occidentale

L’AMBIENTE E LE RISORSE

Egeo: incrocio di culture

L’area del mar Egeo, racchiusa tra le coste dell’Asia minore e quelle della Grecia continentale e costellata di numerosissime isole, e la parte più meridionale della penisola balcanica presentano un’accentuata varietà morfologica, tanto che risulta difficile considerare la “Grecia” un territorio dalla fisionomia unitaria e dalla vocazione produttiva omogenea.

Il legame tra terra e mare

Più del 20% della superficie della Grecia è costituito da isole e isolotti, raggruppati nei grandi arcipelaghi delle Ionie, delle Sporadi, delle Cicladi e del Dodecaneso. Alcune isole hanno un’estensione notevole, come l’Eubea, Lesbo, Chio e, a sud, Creta, che per dimensioni è la quinta isola del Mediterraneo.
Il cosiddetto arco vulcanico ellenico, che si estende dalla penisola di Methana, nell’estremità orientale del Peloponneso, all’isola di Nisyros, nel Dodecaneso, comprende anche una serie di isole originate da antiche eruzioni – tra cui Santorini – ed è stato nel corso della storia soggetto a terremoti e maremoti.
Caratteristica comune a tutto il territorio greco è la prevalenza del paesaggio montano: la Grecia continentale e insulare è occupata per circa l’80% da colline, valli e montagne, alcune delle quali hanno vette di notevole altezza, come l’Olimpo, che raggiunge i 2917 m, e la catena del Taigeto, nel Peloponneso, che comprende cime che superano i 2000 m; le pianure invece sono poco estese e limitate alle strisce costiere o alle piane alluvionali della Tessaglia e della Macedonia.
A caratterizzare l’identità ambientale greca sono però anche le coste molto frastagliate, basse sul versante ionico e rocciose sull’Egeo, con uno sviluppo lineare di oltre 13 000 km. La straordinaria quantità di insenature, golfi e anse e la presenza di tante isole vicine alla costa mostrano una strettissima compenetrazione fra terra e mare, confermata da un semplice dato geografico: nessun punto della Grecia continentale dista più di 90 km dal mare e nessun punto del Mar Egeo dista più di 60 km da una costa.

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Un insieme di microregioni

La varietà morfologica, il grande numero di isole e la presenza dei rilievi spiegano l’esistenza di microregioni dalle caratteristiche geografiche, ambientali e culturali molto diverse, anche se non del tutto prive di contatti via terra o via mare.
Fin dall’antichità, l’identità dell’area egea e delle isole è stata segnata dalla presenza e dallo sfruttamento del mare, ma anche da condizioni climatiche e morfologiche favorevoli all’agricoltura, in particolare nell’isola di Creta. Un contesto propizio allo sviluppo agricolo era presente anche nella penisola attica e nell’isola di Eubea, e in minor misura in Calcidica e in Tessaglia.
Molto meno adatte, da questo punto di vista, erano invece il Peloponneso e le regioni interne del nord – la Beozia, l’Epiro e la Macedonia –, ricche però di boschi, e dunque legname, e di qualche risorsa mineraria (rame, lignite). In queste zone erano ampiamente praticati l’allevamento e la pastorizia.
Nel corso dei millenni, le caratteristiche ambientali hanno condizionato lo sviluppo economico, sociale e commerciale delle diverse zone; la presenza delle montagne, che separano le valli o le modeste pianure isolandole le une dalle altre, spiegano inoltre alcuni aspetti della natura e dell’evoluzione della più importante formazione politica della Grecia arcaica e classica, la pólis: se si considera che nell’antichità, in molti casi, i rilievi potevano essere superati solo a dorso di mulo, non stupisce che i confini dei territori rurali delle città greche fossero spesso determinati proprio dalla presenza delle montagne.

Scarsità di risorse ma vivacità economica

Uno dei più stringenti limiti ambientali del mondo greco è sempre stato rappresentato dalla scarsità di risorse idriche: la portata d’acqua dei fiumi è ovunque ridotta, mentre i laghi sono pochi e di dimensioni modeste. Questa situazione è dovuta all’assenza di grandi pianure, che non permette la formazione di lunghi corsi d’acqua, ma anche alle condizioni climatiche: mentre nelle aree settentrionali interne il clima è simile a quello continentale, nel resto dell’area prevale un clima di tipo mediterraneo, secco, con estati calde e scarse precipitazioni. In queste condizioni climatiche e morfologiche, si spiega come la pastorizia (ovini, caprini e in minor misura bovini) si sia sviluppata in quest’area molto prima della coltivazione dei cereali, per esempio il farro domestico (arrivato qui prima del 6500 a.C.), l’orzo (introdotto intorno alla metà del VII millennio a.C.) e il grano tenero (arrivato solo nel III millennio a.C.), e come sia tornata a prevalere nei periodi di crisi e recessione.
Anche le risorse del sottosuolo sono piuttosto scarse: già agli albori della civiltà greca il fabbisogno di metalli era superiore alla disponibilità garantita dalle poche miniere locali e rendeva necessaria l’importazione di argento e oro (impiegati per gli scambi commerciali) e di rame e stagno, alla cui carenza si fece fronte prima acquistando i prodotti finiti dai mercanti del Vicino Oriente, e poi importando la materia prima da lavorare localmente. Più abbondante era invece il ferro, circostanza che favorì la transizione dall’età del bronzo all’età del ferro intorno al 1200 a.C. prima che in altri luoghi dell’Europa continentale.
Quello greco è insomma un territorio aspro e inospitale, che l’essere umano conquista solo a prezzo di un duro lavoro. È dunque un interessante paradosso che sia stata proprio questa la prima area europea a dare segni di vivacità economica e culturale, colmando il grande ritardo accumulato nei confronti delle civiltà del Vicino Oriente. Gli elementi che contribuiscono a spiegare questa apparente contraddizione sono almeno due. Il primo è l’introduzione della “triade mediterranea” (ulivo, vite e, qui in Grecia in minor misura, cereali) nella prima metà del II millennio a.C., che permise l’accumulazione delle sovrabbondanze agricole e quindi l’incremento dei flussi commerciali, oltre che la crescita demografica e dunque la disponibilità di manodopera per lo sviluppo del settore artigianale (che a sua volta alimentava i commerci). Il secondo è la necessità di prendere la via del mare per approvvigionarsi di metalli e di materie prime preziose provenienti dall’Oriente (avorio, ambra, spezie): questa necessità portò le genti che abitavano il territorio greco a perfezionare le tecniche di navigazione e la conoscenza delle rotte marittime. Lo straordinario sviluppo economico, culturale e politico della civiltà greca prese avvio in questo modo, fra terra e mare.

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• SOTTO LA LENTE • ALIMENTAZIONE

Olio, vino e fichi

Lo storico greco Erodoto (480-424 ca. a.C.), parlando della ricca Babilonia si stupisce che, oltre al grano, non vi si noti «nemmeno il più lontano tentativo di produrre altre piante: né il fico, né la vite, né l’ulivo» (Storie, I, 193), mentre di «olio odoroso» e di «sacro ulivo» parla Omero nell’Odissea, indicando la presenza di queste coltivazioni in terra greca. Se il grano è la principale fonte di ricchezza della mezzaluna fertile, olio, vino e fichi sono alla base della prosperità dei Greci. Già a partire dal 950 a.C. una gran quantità di vasi, anfore e coppe per il trasporto dell’olio, provenienti dall’Eubea, cominciano a comparire nella potente città fenicia di Tiro. Olio, uva e fichi sono prodotti preziosi perché si possono conservare a lungo e possono essere trasformati (uva passa e fichi secchi) più facilmente di carne e pesce, che hanno bisogno di essere essiccati e messi sotto sale, bene scarso e costoso.

L’ulivo: simbolo di una civiltà
L’ulivo in particolare verrà esportato in tutte le aree colonizzate dai Greci. È una pianta forte e fragile allo stesso tempo: sopporta bene il caldo e la siccità, si adatta bene a suoli rocciosi e alle terrazzature pietrose, ma non tollera il gelo. Caratterizzato da radici che penetrano nel terreno fino a tre metri di profondità, ha un ciclo vitale pluricentenario; dal punto di vista della produttività, necessita di un investimento a lunga resa (l’ulivo comincia a produrre dopo 3-4 anni, ma la produzione è a regime solo dopo una decina d’anni, e a piena resa verso i vent’anni) ma è resistente e ha redditività elevata; il suo frutto, l’oliva, è commestibile e nutriente, e l’olio che si ricava dalla sua spremitura o pigiatura ha proprietà che lo rendono adatto a usi disparati: come alimento, come conservante, ma anche come balsamo per il corpo, unguento medicamentoso, tonico per gli atleti, offerta per le pratiche votive e sacre.

La diffusione della vite e del vino
Se ci atteniamo al racconto biblico, il vino entra nell’alimentazione mediterranea ancor prima dell’olio: è Noè a sperimentarne gli effetti inebrianti. Il vino è presente anche in molta letteratura greca. Nell’Odissea il ciclope Polifemo viene stordito da Ulisse con una coppa di vino prima di essere accecato con un palo rovente. Il poeta arcaico Esiodo (VIII secolo a.C. circa) nel poemetto Le opere e i giorni sollecita il pigro fratello Perse a raccogliere a metà settembre tutti i grappoli dalle vigne, spiegando cosa fare per ottenere un buon passito: «Esponili al sole per dieci giorni e dieci notti; quindi per cinque giorni lasciali all’ombra, ed al sesto versa nei recipienti il dono di Dioniso ricco di letizie» (vv. 609-614, trad. di A. Colonna, Utet, Torino 1977).
Bere vino, in Grecia, è simbolo di prestigio sociale, perché i costi di produzione e lavorazione inizialmente sono elevati; la vite però si coltiva più facilmente dell’ulivo, così verso il XV secolo a.C. si diffonde in tutto il territorio greco. Tutti lo bevono (annacquato, perché il vino puro aveva una gradazione alcolica troppo alta), tanto che questa bevanda finisce per distinguere il “noi” greco dai “barbari”, che bevono prevalentemente birra, meno pregiata. La produzione e il consumo di vino si affermano anche nelle terre colonizzate dai Greci, tanto che Erodoto chiama la Calabria “Enotria” (dal termine greco oînos, “vino”).
Dopo la prima fase di pigiatura iniziava la vinificazione. Le cantine ospitavano enormi vasi di terracotta, i píthoi, alti anche più di tre metri, interrati e ricoperti di resina e pece per evitare la traspirazione; trascorsi i sei mesi di fermentazione, il vino era travasato in otri o in anfore appuntite alla base (per favorire l’accumularsi del fondo) e aromatizzato con spezie, miele e resina. Ne risultava un prodotto ricco di proprietà, nutriente, inebriante e stimolante.
Il vino era già presente in Mesopotamia e in Egitto ma non con la stessa valenza culturale che avrà presso i Greci: bevanda principe nei banchetti (durante i quali spesso si eccede nel bere vino), ma anche dono gradito tra amici e offerta votiva nei riti religiosi.

Terre, mari, idee - volume 1
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Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana