STRUMENTI E METODI PER ESPLORARE LA STORIA

1. Tempo, spazio e il valore dell’esperienza

Tutti gli esseri viventi, dai vegetali agli esseri umani, nascono, crescono, si riproducono e muoiono in un arco di tempo e in uno spazio, entrambi definiti e circoscritti, all’interno dei quali si costruiscono migliaia di esperienze. Possiamo dire che tempo e spazio sono le coordinate dell’esistenza, entro le quali si struttura la vita di ciascuno; ma sono anche le cornici del sapere: gli esseri viventi usano il tempo e lo spazio a disposizione per selezionare informazioni che servono loro per adattarsi ai mutamenti, trarre vantaggio dalle esperienze acquisite, sopravvivere.

Perché il passato è importante

I delfini, che sono tra i mammiferi più intelligenti, sanno, per esperienza accumulata e tramandata, che in determinati periodi enormi banchi di sardine passano a costeggiare il Cile. Così ogni anno arrivano anche da grandi distanze per approfittare di questa occasione e procacciarsi il cibo. Analoga è l’esperienza della matriarca, l’elefantessa che, per anzianità e autorevolezza, guida anche per mille chilometri la comunità delle femmine e i loro cuccioli verso le pozze d’acqua nelle terre africane: al momento opportuno, sceglierà la compagna più affidabile alla quale trasmettere quella esperienza. Nell’uno e nell’altro caso, non sempre l’attesa e la ricerca vanno a buon fine, perché l’equilibrio ambientale può modificarsi: temperature dell’acqua troppo elevate possono far migrare meno sardine, o asciugare le pozze; ma anche in questo caso resta il valore dell’esperienza, che via via si accumula fino a diventare, grazie alla memoria, un comportamento strutturato che sarà utile nell’orientare le scelte future.
Se l’esempio è stato fatto sul mondo animale, esso però ci appartiene profondamente. Il patrimonio di esperienze, di cui in parte tutti noi siamo figli, è estremamente utile anche quando non ne abbiamo coscienza, poiché con i nostri saperi e le nostre scelte contribuiamo ad alimentarlo costantemente.
Gli esseri umani, a differenza di tutti gli altri esseri viventi, hanno imparato a trasformare in modo continuativo, stabile e funzionale lo spazio in un ambiente, cioè in una esperienza di territorio e di risorse, e il tempo in un passato, cioè in una esperienza di tempo.

La memoria

La memoria ha molteplici sfaccettature e abbraccia sia aspetti della vita personale di ciascuno di noi, per esempio la storia familiare, sia aspetti condivisi dalla collettività che possono diventare fonte documentaria di un passato lontanissimo (un ritrovamento archeologico, un monumento, un antico palazzo) oppure memoria comune di un evento che ha coinvolto ampie fasce di popolazione (per esempio una guerra).

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La memoria e la storia per capire il presente

Possiamo immaginarci il passato come un immenso serbatoio di fatti, parole, saperi, un magazzino dal quale peschiamo le informazioni di volta in volta utili. La memoria è lo strumento primario che usiamo per interrogare il passato, per porci domande su di esso.
Attraverso la memoria cerchiamo dall’esperienza passata risposte a domande che il presente ci pone. Per esempio: le guerre hanno sempre risolto i conflitti? La globalizzazione, lo scioglimento dei ghiacciai, le migrazioni sono fenomeni recenti o ci sono precedenti in un passato più o meno remoto? E se sì, come li hanno affrontati i nostri progenitori?
Se le vicende sono molto lontane nel tempo, non sempre tuttavia la nostra memoria personale e neppure quella collettiva sono sufficienti per darci le risposte che cerchiamo.
Soprattutto, il passato non è un serbatoio di avvenimenti uniforme e sempre disponibile allo stesso modo. A volte non offre la documentazione che serve per illuminare un determinato periodo storico, oppure quella che abbiamo è difficile da decifrare. Per riempire i vuoti della documentazione e trovare un filo conduttore agli eventi, i popoli hanno elaborato strumenti peculiari, affascinanti seppure non verificabili, il mito, la poesia epica, la teologia, la magia, diretti a dare un valore fondante alla propria cultura. Anche la storia è uno degli strumenti per interrogare il passato, per trovare cioè un filo conduttore agli eventi accaduti: attraverso essa gli esseri umani hanno individuato e costruito un modo per porre domande e trovare risposte, per collegare le diverse parti e per dare alla ricostruzione degli eventi una narrazione di senso compiuto e da tutti verificabile. Essi hanno cioè trasformato questo strumento in un metodo di indagine con determinate regole utilizzabili da tutti, con dichiarate finalità, con la possibilità di un controllo rigoroso. In una parola, hanno costruito una disciplina di ricerca, utile a formare un sapere specifico.

I fondatori della disciplina storica: Erodoto e Tucidide

Come tutte le discipline scientifiche, anche la storia ha avuto un'evoluzione complessa, e una sua origine. A “inventare” la parola è stato lo storico greco Erodoto (480 ca.-424 ca. a.C.) circa 2500 anni fa: viaggiò a lungo, conobbe diversi popoli e raccolse molte informazioni che divennero “esposizione della ricerca” (in greco historíes apódeixis). L’autore intendeva riferirsi sia alla ricerca che egli aveva compiuto sia al resoconto della ricerca stessa, contenuto nella sua opera. Oggi gli storici preferiscono distinguere tra storia e storiografia. Usati per lo più come sinonimi – come si farà anche nelle prossime pagine –, i due termini indicano in senso stretto due concetti diversi: la storia è l’insieme dei fatti avvenuti nel passato; la storiografia è invece il racconto e l’interpretazione di quei fatti (grafía in greco significa “descrizione”, “scrittura”).
Erodoto scelse il termine con attenzione: hístōr, che deriva dall’indoeuropeo weid, ha la stessa radice del verbo oráo che significa sia “vedere” con i propri occhi sia “conoscere”. Dallo stesso verbo derivano la parola eídos (“idea”) e il latino video. Dunque, per Erodoto fare storia significava operare una ricerca su situazioni viste di persona, o che testimoni avessero visto direttamente, ammettendo quindi anche una narrazione riportata, e raccontare tali situazioni a chi non le aveva vissute. In Omero lo stesso termine hístōr era usato per indicare colui che si assumeva il ruolo di giudice imparziale, ascoltando le ragioni dei contendenti e valutando torti e ragioni. Erodoto intendeva fare “storia” con questo obiettivo: lo storico, secondo lui, doveva assumersi anche la responsabilità di dare un suo giudizio, cioè un’interpretazione.
L’interpretazione storica fu approfondita e stabilizzata da Tucidide (460-395 a.C.), oggi considerato il primo storico nel senso moderno del termine: egli non si limitava a raccontare in modo imparziale, ma voleva spiegare le ragioni che avevano condotto al presente. Per Tucidide era indispensabile «scrutare e penetrare la verità delle vicende passate» per comprendere «quelle che nel tempo futuro, per le leggi immanenti al mondo umano, s’attueranno di simili, o perfino d’identiche» (La guerra del Peloponneso, Libro I, 22). Per questo egli riteneva fondamentale attenersi rigorosamente alla ricostruzione sulla base di documenti, poiché non bastava il racconto, ma bisognava essere in grado di risalire, se necessario, alle radici delle vicende storiche. Ciò significava saper scegliere i fatti, accertarne l’attendibilità, scartare accadimenti di poco conto, indagare le cause e illustrare le conseguenze; in una parola: operare delle scelte. Tucidide adottava cioè un punto di vista, non per “scegliere” una delle due forze in campo, ma nella consapevolezza che una ricostruzione “oggettiva”, imparziale, fosse impossibile, e che una spiegazione improntata all’onestà intellettuale fosse l’unica anche razionalmente efficace.
La prima scelta che egli ha operato è stata riguardo ai soggetti della storia: a suo giudizio, allo storico non devono interessare i fenomeni naturali e ancor meno le divinità mitologiche; lo storico deve indagare i comportamenti degli individui, non in astratto ma nel momento in cui si confrontano con altri individui. Compito dello storico è scoprire le leggi nascoste che governano le relazioni umane. In questo modo la storia avrebbe potuto offrirsi come guida per chi dirigeva o partecipava alla vita politica della comunità. Indubbiamente in una simile concezione del “fare” storia si nascondeva un pericolo, periodicamente ripropostosi da Tucidide in poi, e cioè che con questo inevitabile limite all’obiettività dello storico si aprisse la strada a un uso della storia parziale, a vantaggio di un gruppo sociale e politico, di uno Stato contro un altro Stato e così via. Tuttavia sono stati proprio i diversi punti di vista critici degli storici e il confronto e il dibattito tra loro a rendere ricca e inarrestabile la ricerca documentaria e a non fossilizzare l’interpretazione storica in una direzione univoca.

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2. Il mestiere dello storico

Poiché la storia è un’attività di ricerca dipendente dall’azione degli individui ed è perciò sottoposta a numerose sollecitazioni, la comunità degli storici nel corso del tempo ha elaborato alcune “regole” relative al lavoro di indagine, di ricostruzione e di narrazione dei fatti e dei processi e ha reso la storia una disciplina scientifica, alla stessa stregua di altre materie.
Le prime grandi civiltà umane misurarono il tempo in base ai fenomeni celesti. Osservando l’alternanza tra il giorno e la notte e il ripetersi delle stagioni nell’arco di un anno, stabilirono una divisione del tempo da cui deriva quella oggi diffusa in quasi tutti i Paesi del mondo.

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Stabilire il tempo

Il giorno, il mese e l’anno sono le unità di misura del tempo che ciascuno di noi impiega nella propria quotidianità. Lo storico, invece, ha continuamente a che fare con fenomeni che hanno una durata molto lunga o con avvenimenti situati in un passato molto lontano. Per indicare queste durate temporali si usano i decenni (10 anni), i secoli (100 anni) e i millenni (1000 anni).
Nel mondo occidentale il conteggio degli anni utilizza come punto di riferimento la nascita di Gesù Cristo, stabilita da Dionigi il Piccolo, un monaco medievale (che la calcolò in realtà con un errore di 4 o 6 anni). Per chi utilizza la nascita di Cristo come data fondamentale dell’immaginaria linea del tempo che rappresenta il passato, tutti gli avvenimenti accaduti prima di tale data sono accompagnati dalla dicitura “avanti Cristo” (a.C.), mentre quelli accaduti in seguito dalla formula “dopo Cristo” (d.C.). La numerazione delle date successive alla nascita di Cristo aumenta dalla più antica alla più recente (300 d.C., 400 d.C., 500 d.C. ecc.), mentre per le date precedenti la nascita di Cristo accade il contrario: l’aumento della numerazione indica una progressione dalla data più recente alla più antica (300 a.C., 400 a.C., 500 a.C. ecc.).
Il primo secolo dopo Cristo va dall’anno 1 al 100 d.C.; il secondo secolo dall’anno 101 al 200 d.C. La stessa suddivisione, invertendo la successione, si applica ai secoli e ai millenni avanti Cristo (il V secolo a.C. corrisponde al periodo 500- 401 a.C.). Non esiste un anno “zero”: come per il conteggio degli anni della nostra vita, anche per le date della storia il tempo immediatamente precedente e successivo alla nascita di Cristo rientra già nell’anno 1 (avanti o dopo Cristo).
Il punto di partenza per il calcolo degli anni, in realtà, è il frutto di una convenzione. La nascita di Cristo è utilizzata in Occidente in ragione dell’importanza che la religione cristiana ha avuto nella storia europea, ma altre civiltà usano altri riferimenti. Prima di Dionigi il Piccolo, nell’area mediterranea si calcolava il tempo a partire dalla data di fondazione di Roma (corrispondente all’anno 753 prima della nascita di Cristo); nell’antica Grecia ci si basava sul succedersi dei giochi olimpici. Nel mondo attuale, tra coloro che usano un sistema di datazione diverso vi sono i Paesi musulmani, che contano gli anni a partire dall’Egira, il trasferimento del profeta Maometto dalla Mecca a Medina, corrispondente al 622 dopo la nascita di Cristo.

L’immenso e complesso mondo delle fonti

Se la storia è ricerca e indagine sul passato dell’umanità, dove trovare le tracce di questo passato? Il lavoro dello storico prende sempre le mosse da testimonianze materiali o scritte sopravvissute al trascorrere del tempo: le fonti (dal latino fons, “sorgente”), cioè documenti che testimoniano che un fatto è realmente accaduto. Qualsiasi ricostruzione storiografica si basa sulle fonti, la materia prima indispensabile senza la quale il passato rimane completamente muto.
Le fonti sono distinte e classificate in primo luogo in base alle loro caratteristiche materiali.

  • Le fonti scritte sono i documenti che è possibile leggere: testi scritti di vario tipo, papiri, documenti cartacei, lettere, inventari di beni e censimenti, registri di nascita e di morte, atti notarili, testamenti, scritture private che testimoniano transazioni economiche.
    Questo tipo di fonti è conservato in genere negli archivi dello Stato, dei Comuni, della Chiesa e delle parrocchie, di enti pubblici e privati e anche di singoli individui. Molto importanti per la storia antica sono i testi scritti su supporti non cartacei, per esempio sull’argilla o sulla pietra: le iscrizioni su tavolette, monumenti, tombe. Questi documenti sono spesso costituiti dagli stessi monumenti sui quali sono stati prodotti (per esempio l’epigrafe su una tomba o l’iscrizione sulla facciata di un tempio), oppure sono conservati nei musei.
  • Le fonti orali sono invece testimonianze registrate di persone che hanno vissuto i fatti narrati o che ne sono state in qualche modo partecipi. Le fonti orali sono ovviamente limitate alle epoche in cui è stato possibile registrare la voce umana e sono perciò impiegate soprattutto dagli storici dell’età contemporanea.
  • Molto utilizzate in epoca recente sono anche le fonti audiovisive e multimediali: fotografie, filmati storici, registrazioni musicali o testimonianze sonore di avvenimenti. Alle fonti audiovisive tradizionali si sono affiancate le fonti registrate su supporti informatici moderni e Internet, che oltre a raccogliere una grande quantità di informazioni costituisce di per sé una fonte molto importante (per esempio per la storia delle comunicazioni moderne).
  • Se le fonti scritte sono le testimonianze che è possibile leggere e le fonti orali quelle che è possibile ascoltare, si potrebbe dire che le fonti materiali sono i documenti che è possibile toccare: manufatti, strumenti di uso quotidiano, attrezzi per il lavoro manuale, statue, monumenti ed edifici pubblici e privati, ma anche affreschi, quadri o altre opere d’arte. Le fonti materiali sono molto utili soprattutto per i periodi per i quali non esistono altri tipi di fonti, perché andate perdute o perché gli esseri umani non utilizzavano ancora la scrittura. La storia antica fa ampio ricorso a questo tipo di fonti, raccolte e studiate dagli archeologi; lo studio dell’età preistorica, cioè del periodo della storia umana precedente all’invenzione della scrittura, fa addirittura affidamento esclusivo su di esse.

Le fonti possono essere classificate non solo in base alle loro caratteristiche materiali, ma anche in relazione al soggetto che le ha prodotte (il loro autore), al motivo per cui l’ha fatto e all’attendibilità del loro contenuto.

  • Le fonti primarie sono le testimonianze dirette (scritte, orali o di altra natura) di un fatto o di un avvenimento del passato. Per esempio, una norma di legge incisa su una tavola di bronzo, un atto notarile, il registro delle proprietà di un’abbazia.
  • Sono invece fonti secondarie o indirette le testimonianze mediate da un soggetto che, a sua volta, disponeva di fonti primarie: il resoconto di un avvenimento prodotto da chi non vi ha partecipato personalmente, la cronaca di un periodo storico svolta da un contemporaneo ai fatti narrati, le opere storiografiche moderne.

In base all’intenzione con cui una fonte è stata prodotta si distinguono inoltre:

  • le fonti volontarie, create consapevolmente dal loro autore: per esempio una fotografia scattata con lo scopo di fissare nel tempo il ricordo di un evento importante;
  • le fonti involontarie, prodotte per un fine diverso da quello per cui le impiega lo storico; per riprendere il nostro esempio, se nella fotografia rientrasse accidentalmente un particolare del tutto slegato dal soggetto scelto dal fotografo ma utile per ricostruire un altro aspetto del passato, l’immagine costituirebbe una fonte involontaria.
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L’importanza di saper “leggere” le fonti

Davanti a un documento lo storico si pone numerose e fondamentali domande: chi è l’autore materiale del documento? Per quali ragioni ha deciso di produrre una documentazione? Qualcuno ne è stato l’ispiratore? Quando è stato prodotto e in quale circostanza? A chi era indirizzato? Ha un destinatario implicito? Si tratta di domande di buon senso che hanno l’obiettivo di scoprire l’attendibilità del documento, cioè se esso può essere affidabile oppure no. Il termine “documento” deriva infatti dal latino docere, “insegnare”, “dimostrare”: per gli storici i documenti dimostrano che un fatto, un evento è realmente accaduto. È dunque operazione preliminare determinare l’autenticità del documento: dimostrare cioè che il documento è genuino, che è “autorevole” (cioè ha un “autore”, è prodotto da una fonte riconoscibile), non è falso e non è stato prodotto per ingannare l’eventuale destinatario o per attestare eventi mai accaduti, che non è stato costruito o manipolato per influire sull’interpretazione di un avvenimento.
Tali operazioni preliminari e indispensabili vengono definite dagli storici critica delle fonti: lo storico cioè sottopone il documento e la fonte da cui proviene a un serrato esame analitico della sua natura anche attraverso il confronto tra documenti e fonti diverse. L’analisi del documento è un lavoro necessario: ogni documento deve essere interrogato, sollecitato, interpretato. Anche perché un documento scritto, orale, materiale di per sé non è mai “oggettivo”, capace cioè di assegnare a se stesso un valore inoppugnabile: un documento non parla da solo, per diventare utile deve sempre essere interrogato e comparato con altro (neppure una fotografia, senza una didascalia che la spiega e l’accompagna, è un documento sempre eloquente: potrebbe essere equivocato, il soggetto potrebbe essere scambiato per un altro, il luogo “assomigliare” e trarre in inganno l’osservatore).
In questa operazione lo storico può utilizzare metodi elaborati da altre discipline: nel caso per esempio di testi scritti, i metodi di analisi e decodifica di un testo messi a punto dalla filologia (lo studio della parola) sono estremamente utili (e applicabili anche a documenti non scritti). Il filologo esamina infatti lingua, grafia, coerenza delle informazioni rispetto al periodo di produzione.

Scrivere la storia: tanti punti di vista per capire i processi

Scrivere la storia è solo il momento finale del lungo e affascinante lavoro di indagine. Raccolti i documenti e compresi i fatti, lo storico si accinge a tradurre in racconto la vicenda che ha ricostruito. Raccontare una vicenda ricostruita significa scegliere un percorso tra i documenti, il più efficace. Non si tratta di un percorso casuale: esso risponde in primo luogo a precise domande, che lo storico si è posto, alle curiosità che lo hanno spinto alla ricerca. Sono domande che spesso scaturiscono dall’esperienza, dal vissuto, dalla soggettività dello storico stesso, partono cioè dal suo presente.

Il senso del presente
Che cosa significa il presente? Significa che ognuno di noi, storico compreso, è immerso in un sistema di concetti, categorie, idee, parole, sentimenti, prospettive, punti di vista, interessi, valori che orientano le scelte, consapevoli e inconsapevoli, le decisioni, le domande. In qualche modo cioè siamo, anche da storici, parte in causa. Se non altro perché partecipiamo a un sistema di ideologie, di interpretazioni condivise dei fatti, di visioni del mondo spesso inconsapevoli. Essere coinvolti non è uno svantaggio. Occorre però tenere presente il ruolo che la contemporaneità ha nella ricerca, poiché l’interpretazione dei fatti parte dai documenti e dal confronto tra i documenti, ma anche da quel sistema di concetti che possono rendere difficile la lettura del passato.
Possiamo avere una più distaccata percezione del nostro (a volte ingombrante) presente? Anche sotto questo profilo la comparazione ci torna utile: così come mettiamo a confronto testi diversi con punti di vista diversi e opinioni contrastanti, possiamo ricorrere al confronto tra sistemi, misure, popoli, eventi, soluzioni.

Fare ipotesi alternative
Sulla base dei confronti si possono formulare altre ipotesi, domande nuove, nuove consapevolezze. Implicitamente facciamo sempre riferimento a ipotesi alternative. E possibili. Queste comparazioni ipotetiche in storia sono indicate come la storia dei se, che negli ultimi decenni ha preso il nome di storia controfattuale. Lo scopo della storia controfattuale è anche quello di invitarci, quando necessario, a cambiare le domande.

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La storia e le altre discipline

La storia si serve anche di conoscenze e tecniche proprie di altri campi d’indagine. Per lo studio della storia antica, in particolare, sono fondamentali i risultati di alcune discipline scientifiche come l’archeologia, la paleografia e molte altre ancora. Senza dimenticare la geografia, che intrattiene un legame fondamentale con la storia dell’umanità.

PALEONTOLOGIA
Analizza i resti fossili delle piante e degli animali preistorici

ARCHEOLOGIA
Studia i resti monumentali o i materiali reperiti attraverso l’attività di scavo nel terreno

ETNOLOGIA
Studia i comportamenti e le usanze dei popoli primitivi attuali per ricostruire le caratteristiche delle prime società umane

NUMISMATICA
Esamina le monete dal punto di vista storico e artistico

PALEOGRAFIA, EPIGRAFIA E PAPIROLOGIA
Interpretano le iscrizioni e i testi antichi

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana