STRUMENTI E METODI PER ESPLORARE LA GEOGRAFIA

1. Il rapporto uomo-ambiente

L’importanza della dimensione temporale non esaurisce il discorso sulla natura della storia. Gli avvenimenti sono infatti condizionati anche dai luoghi in cui si verificano, dalle caratteristiche dell’ambiente e dalle diverse consuetudini che contraddistinguono i popoli della Terra. Di tutti questi aspetti si occupa, fin dall’antichità, la geografia.

Oriente e Occidente: il Giro della Terra di Ecateo

Della stretta interazione tra la storia e la geografia erano assai consapevoli gli antichi: non a caso i primi storici, nell’età greca, furono contemporaneamente anche geografi.
Ecateo (560-490 a.C. ca.) aveva compiuto numerosi viaggi e trovava «molti racconti greci ridicoli»: la sua ambizione era invece quella di raccontare, come lui stesso affermava, «cose che credo vere» circa le differenze tra Greci e Persiani. Così scrisse un Giro della Terra (Periègesis) e disegnò una mappa del mondo allora conosciuto. Lo rappresentò come un disco rotondo circondato da quello che iniziò a chiamare “Oceano” (che significa “massa d’acqua che trascina”) e lo divise in due parti uguali, “Europa” e “Asia”, separate dal Mediterraneo e dal mar Nero: egli disegnò cioè un “noi”, che cominciò a chiamarsi Occidente (dove muore il Sole), e un “loro”, un Oriente (dove nasce il Sole), la terra lontana delle genti che non parlavano greco, dunque “barbari”, secondo la definizione data proprio dai Greci agli stranieri.
Secondo Erodoto tutti i popoli erano condizionati dall’ambiente nel quale vivevano e proprio per questo dei molti popoli incontrati si soffermò a contestualizzare costumi, lingua, abitudini quotidiane e alimentari, credenze, curiosità. Lo storico descrisse anche gli animali e le caratteristiche del territorio, fino ad arrivare al dettaglio dei regimi delle piogge.

L’importanza del rapporto tra individui, ambiente e territorio: la geostoria

Di questo noi oggi siamo consapevoli: sappiamo quanto le condizioni ambientali influiscono sui comportamenti umani, sugli eventi storici e sull’evoluzione delle civiltà e, dall’altro lato, quanto gli esseri viventi in genere modificano in continuazione l’ambiente, lo sfruttano, lo valorizzano e talvolta lo impoveriscono, fino a doverlo abbandonare per costruire altri habitat. Questa dimensione costituisce una parte essenziale dell’attività umana e della sua storia: l’ambiente e le risorse disponibili non sono solo la cornice entro la quale si esercita la condizione umana, sono parte fondamentale del quadro. La stretta interazione tra uomini, ambiente e territorio è chiamata geostoria, con un termine coniato dallo storico francese Fernand Braudel (1902-1985), studioso della storia delle civiltà. Nel definire i caratteri di questa disciplina, egli si soffermò su un aspetto fondamentale, oggi molto sentito dagli storici e dagli studiosi del pianeta contemporanei: il rapporto tra esseri umani e ambiente. Le caratteristiche geografiche (come il clima, la morfologia dei territori, i regimi delle piogge) hanno infatti sempre influito sul corso degli eventi storici e sull’evoluzione delle civiltà. Allo stesso modo, gli esseri umani hanno in molte circostanze modificato le condizioni dei territori da loro abitati, in un reciproco rapporto di causa-effetto.

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La geografia come studio, anche strategico, dello spazio

La geografia (cioè “descrizione della Terra”, dal greco , “Terra”, e graphía, “descrizione”) considera lo spazio come territorio (fisico) e come ambiente (relazionale). Studia e spiega come è composto, distribuito, differenziato lo spazio, ma anche come si modifica in autonomia. Il pianeta Terra, infatti, diversamente da tutti gli altri pianeti che conosciamo, è un sistema vivente, che si adatta e si autoregola, e che ingloba e interagisce con tutte le forme organiche e inorganiche di cui è composto. Oggi alcuni scienziati preferiscono al vocabolo Terra il termine Gea, quasi a indicare un organismo che respira: non ne avevano una visione molto diversa gli antichi, che erano giunti a personificare la Terra e a divinizzarla.
La geografia descrive il territorio nei suoi elementi fisici costitutivi: gli agenti atmosferici, tra cui il clima; le terre emerse e la loro morfologia (pianure, colline, montagne, natura dei suoli, deserti); con la geofisica i fenomeni profondi (terremoti, vulcani); le acque (oceani, mari, laghi, fiumi, ghiacciai) e il loro ciclo di vita.
Come si può osservare, la complessità dei fenomeni ha spinto i geografi – com’è avvenuto per la disciplina storica – a individuare specializzazioni particolari, superando le partizioni tradizionali di geografia fisica, economica, politica e istituzionale (confini, Stati, regioni, città). In questo modo il legame tra storia e geografia si è fatto ancora più stretto e indispensabile, ma sia l’una sia l’altra hanno in qualche misura cambiato la loro stessa tradizionale natura, non solo per rispondere a nuove esigenze ma anche perché sollecitate da nuove sensibilità ambientali e culturali.
Per secoli la geografia è servita a rispondere a tre esigenze. La prima nasceva dalla necessità di conoscere e orientarsi in uno spazio che andava sempre più allargando i confini conosciuti. La seconda scaturiva dal bisogno di conoscere il proprio territorio e le sue risorse. La terza dal desiderio di controllare il territorio dei “vicini”, spesso nemici, di valutarne il peso politico e quello ambientale, di “spiarne” le potenzialità. Possiamo leggere queste esigenze nell’aspirazione a disegnare mappe del mondo conosciuto, a dargli un perimetro, una forma e uno sguardo consapevole.

2. Disegnare la Terra

Mappe per rappresentare il mondo

Con le mappe si tenta una rappresentazione più o meno dettagliata delle caratteristiche del territorio. Le prime mappe geografiche, realizzate nel Vicino Oriente, risalgono alla seconda metà del II millennio a.C. Le carte si fanno più frequenti a partire poi da Anassimandro ed Ecateo (VI secolo a.C.); con Dicearco da Messina (IV secolo a.C.) che mise a frutto le conoscenze di Egizi e Fenici; Eratostene di Cirene (275-192 a.C. ca.) che introdusse l’uso di coordinate sferiche (longitudine e latitudine), uso poi perfezionato da Ipparco di Nicea (vissuto nel II secolo a.C.); e infine si arriva a Strabone (60 a.C.-20 d.C. ca.), al quale dobbiamo l’intuizione dell’esistenza di un continente a metà tra l’oceano Indiano e l’oceano Atlantico. Nella cartografia gli antichi arrivarono a un notevole grado di precisione, come mostra la carta attribuita a Tolomeo di Alessandria (II secolo a.C.), anche se non sempre era la rappresentazione realistica a interessare l’autore di una carta, come nel caso della Tabula Peutingeriana, utilizzata per guidare i viaggiatori attraverso l’Europa e il Mediterraneo: qui venivano mostrate soprattutto le strade e le città, mentre i mari erano disegnati come specchi d’acqua orizzontali.

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L’evoluzione della cartografia: i planisferi

A partire dal XVI secolo d.C., in seguito alle grandi esplorazioni marittime e alla scoperta delle Americhe (1492), l’elaborazione delle carte geografiche conobbe un intenso sviluppo, stimolato dalla necessità di disporre di strumenti accurati per esplorare territori fino a poco tempo prima sconosciuti. Fondamentale fu il contributo di Gerhard Kremer, fiammingo-tedesco, noto come Mercatore, che nel XVI secolo realizzò, con metodi scientifici, la carta che tuttora porta il suo nome. Per riprodurre su una superficie piana la tridimensionalità del globo terrestre, egli utilizzò il sistema della proiezione, immaginando di proiettare i confini delle terre emerse su un cilindro tangente all’Equatore, l’asse che taglia a metà la Terra in senso orizzontale. In tal modo, però, mentre le proporzioni restavano fedeli nella parte centrale del planisfero, nella parte alta e bassa della carta (quelle vicine ai Poli) si deformavano in modo progressivo, con il risultato di raffigurare l’Europa, l’Asia e l’America settentrionali molto più grandi rispetto all’Africa, all’Asia e all’America meridionali.
Quel planisfero, utilissimo per la navigazione perché le rotte tracciate su di esso sono proporzionali alle distanze reali, era però anche la spia di un punto di vista eurocentrico, che sottostimava le dimensioni delle terre del Sud del pianeta. Un tentativo di rimediare alla deformazione fu elaborato da Arthur Robinson nel 1963. Nel 1977, Arno Peters propose una proiezione che rispettasse la proporzione tra l’estensione del Nord e del Sud del mondo, pur con qualche deformazione: questo planisfero è stato poi adottato dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu). Di norma noi invece impieghiamo, più dei planisferi, carte che disegnano porzioni della superficie terrestre molto più piccole: le carte geografiche.

Il reticolato geografico

Alla base delle proiezioni di Mercatore, Robinson e Peters vi è il reticolato geografico, cioè una gabbia geometrica costituita da linee immaginarie, orizzontali e verticali, che si intersecano su tutta la superficie terrestre, che riprende le coordinate geografiche di Eratostene. Le linee che intersecano la superficie terrestre si dividono in meridiani e paralleli, alcuni dei quali hanno nomi specifici per indicare particolari proprietà. I paralleli sono le circonferenze che si ottengono immaginando di tagliare la sfera terrestre con un piano perpendicolare al suo asse di rotazione. La loro circonferenza diminuisce a mano a mano che ci si avvicina ai Poli, dove sono rappresentati da un punto. I meridiani sono invece le circonferenze (in realtà si tratta per convenzione di semicirconferenze) ottenute immaginando di intersecare il globo con un piano che passa per il suo asse di rotazione.
I paralleli corrono a distanza fissa a partire dall’Equatore, circonferenza massima di oltre 40 000 km, che divide la Terra in due emisferi: boreale a nord, australe a sud. La distanza di un luogo dall’Equatore, espressa in gradi e misurata lungo il meridiano passante per quel punto, si chiama latitudine. La distanza tra un meridiano e l’altro, anch’essa espressa in gradi, si chiama longitudine. Oltre all’Equatore, altri paralleli hanno un nome proprio: i Tropici del Cancro e del Capricorno, che dividono a metà ciascun emisfero e si trovano a circa 23° dall’Equatore, e i Circoli polari, artico a nord, antartico a sud, rispettivamente a circa 66° dall’Equatore. Fra l’Equatore e i Poli ci sono esattamente 90° di distanza.
La suddivisione del globo terrestre in meridiani viene impiegata anche per il calcolo delle ore del giorno e per determinare il sistema orario internazionale, in base al quale la Terra è stata suddivisa in 24 fasce verticali, chiamate fusi orari, corrispondenti alle ore del giorno. Fra i meridiani, al meridiano di Greenwich, che passa nei pressi di Londra, è stato assegnato il ruolo di punto di riferimento.

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Il rilevamento topografico

Le rappresentazioni del territorio maggiormente utilizzate raffigurano porzioni della superficie terrestre molto più piccole di quelle considerate dal reticolato geografico e dai planisferi. Stiamo parlando delle comuni carte geografiche che riportano la posizione di elementi geografici naturali (fiumi, montagne e altri) e artificiali (strade, centri urbani, infrastrutture), alla cui elaborazione si dedica la parte della geografia chiamata topografia (dal greco tópos, “luogo”, e graphía, “descrizione”). Per tracciare una carta geografica fedele è necessario conoscere posizioni e distanze di tutti gli elementi geografici rappresentati; un’impresa difficile, se consideriamo le distanze in gioco e gli ostacoli che si possono frapporre tra i vari punti di riferimento, come fiumi e montagne.
Nel XVI secolo si trovò un modo per calcolare le distanze tra punti geografici senza dover ricorrere a difficili misure dirette. Tale metodo, chiamato rilevamento topografico, si basa sulla trigonometria, la disciplina matematica che studia alcune proprietà dei triangoli. Lo strumento principale è la triangolazione, così chiamata perché considera i punti da misurare come vertici di immaginari triangoli. In passato i topografi hanno tracciato con questo metodo carte di interi Paesi, collegando tutti i punti di riferimento in un reticolo di triangoli esteso anche per migliaia di chilometri quadrati. Per misurare gli angoli dei triangoli immaginari si usava il teodolite, strumento composto da un cannocchiale montato su un cavalletto dotato di goniometro. Oggi la triangolazione non è più usata per tracciare carte geografiche di grandi regioni, ma capita ancora di vedere i geometri utilizzare il teodolite per calcolare angoli e distanze sul sito di un cantiere edile o stradale.
A partire dal XX secolo innovazioni tecnologiche significative hanno portato nuove tecniche, per esempio la fotografia aerea. Una fotografia aerea non è una rappresentazione del territorio fedele quanto una carta geografica, ma attraverso una serie di calcoli è possibile “trasferire” su una carta tutti gli elementi geografici presenti nella foto, ottenendo risultati più precisi (e in minor tempo) rispetto a quelli garantiti dai vecchi metodi di rilevamento.
Una vera e propria rivoluzione nelle tecniche per osservare e rappresentare il mondo, invece, è stata resa possibile dai dati dei satelliti artificiali messi in orbita intorno alla Terra. Quelli destinati all’osservazione della superficie terrestre sono essenzialmente grandi “occhi” sempre puntati sul nostro pianeta, i cui obiettivi permettono di scattare immagini del territorio di interi Paesi o continenti. Questa prospettiva così ampia consente non solo di effettuare rilevamenti topografici, ma anche di osservare fenomeni prima impossibili da visualizzare nella loro interezza e che avvengono su grande scala e in un lungo arco di tempo (come lo scioglimento delle calotte polari, la riduzione della superficie boschiva dovuta alla deforestazione, la desertificazione dei terreni coltivabili, l’erosione delle coste e così via). I satelliti sono anche la componente chiave dei sistemi satellitari globali di navigazione, che permettono a chiunque sia dotato di un apposito ricevitore di conoscere le coordinate geografiche del punto in cui si trova. Attualmente esistono diversi sistemi di questo tipo, ma il più diffuso è l’americano Gps (Global Positioning System, “Sistema di posizionamento globale”). Entrato in funzione nel 1994, è dotato di 31 satelliti che orbitano intorno alla Terra a un’altezza di oltre 20 000 km.
Alla stessa stregua siamo passati dai rilevamenti topografici riportati pazientemente su carta a sistemi di rilevamento elaborati da programmi informatici. I Gis (Geographic Information System, “Sistema di informazione geografica”) sono un insieme di sofisticati software che permettono l’acquisizione, l’elaborazione e l’analisi di enormi quantità di dati, ricavati anche dai “vecchi” metodi topografici e messi in relazione con il territorio a cui si riferiscono. Il database (l’archivio dei dati) dei Gis si arricchisce poi con una gran quantità di informazioni sul territorio ricavate da molte altre banche dati: è così possibile effettuare analisi statistiche delle informazioni e metterle in relazione con il territorio. I Gis sono l’ossatura dei diversi sistemi di mappe digitali consultabili su Internet.

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Leggere le carte geografiche

Le carte geografiche rappresentano una “traduzione” su superficie piana della realtà complessa e multidimensionale. Significa che sono approssimate, cioè suggeriscono una “idea” della realtà; sono simboliche, poiché impiegano simboli convenzionali (i pallini indicano le città, le linee di diverso colore le strade o le ferrovie); sono ridotte: devono tutte adottare la riduzione in scala, cioè venir rimpicciolite in base a rapporti precisi tra la dimensione reale dell’area raffigurata e quella della sua rappresentazione sulla carta. Il rapporto può essere espresso su scala numerica (per esempio, la scala 1:100 000 indica che 1 cm della carta corrisponde a 1 km) o su scala geometrica, con una linea suddivisa in segmenti.
Per convenzione, le carte geografiche sono chiamate in modo diverso a seconda della scala che utilizzano: planisferi, che raffigurano tutto il globo terrestre e hanno una scala superiore a 1:50 000 000 (in cui cioè 1 cm corrisponde a ben 500 km); carte geografiche (scala tra 1:1 000 000 e 1:50 000 000); carte corografiche (tra 1:150 000 e 1:1 000 000); carte topografiche (tra 1:10 000 e 1:150 000 e disegnano spesso il territorio di un Comune, del centro abitato e delle aree circostanti); piante e mappe molto particolareggiate (tra 1:10 e 1:10 000).
Nella lettura di una qualsiasi carta, per comprendere la simbologia è necessario prestare attenzione alla legenda (che significa “cosa da leggere”), la quale riassume e spiega i simboli e i colori usati. Spesso i differenti colori indicano, nel caso dei rilievi, l’altitudine sul livello del mare o, nel caso delle distese d’acqua, la loro profondità. In alcune carte, soprattutto quelle riprodotte in bianco e nero, spesso l’altitudine e la profondità sono invece espresse dalle curve di livello, linee che uniscono i punti della carta che hanno la stessa altitudine o profondità. Quelle che indicano i rilievi sono chiamate isoìpse (dal greco “di uguale altitudine”); quelle relative alla profondità isòbate (“di uguale profondità”).

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La dimensione umana nelle carte

Delle tre esigenze che abbiamo indicato per spiegare la nascita della geografia, quella di segnalare la presenza e l’azione degli uomini sul territorio è stata la prevalente: la prima vera e propria carta, ancora oggi assai diffusa, può essere considerata la carta politica, concepita per rappresentare i confini e le differenze tra gli “imperi”. A questo tipo di carta e per rispondere a esigenze non diverse, si aggiunsero le carte fisiche che “fotografavano” il territorio nella sua sostanziale “immutabilità”.
Questi tipi di carte possono essere in qualche misura definite carte tematiche. Oggi si sono diffuse per la loro utilità carte che isolano un “tema” e lo enfatizzano, trascurano gli elementi geomorfologici del territorio e danno rilievo ad aspetti particolari della realtà. Per evidenziare i diversi elementi si usano vari espedienti grafici, come i colori e i tratteggi, che servono a indicare le variazioni del parametro preso in considerazione (per esempio la densità di popolazione o la piovosità media) nelle varie parti del territorio rappresentato. Un tipo particolare di carta tematica è la metacarta, strumento che consente un approccio immediato, di impatto, alla rappresentazione quantitativa di un fenomeno (per esempio, la stessa superficie può essere “gonfiata” o “ristretta” a seconda delle rispettive differenze del parametro preso in esame).
Qualcosa di molto diverso dalle carte tematiche sono le carte geopolitiche. Nell’intento di meglio cogliere le strette relazioni tra uomini, comunità umane, ambiente e territorio, esse introducono un’innovazione rilevante: mostrano che il disegno geografico dipende anche dalla percezione che i popoli insediati hanno delle loro terre. Segnalano cioè che le carte politiche (e non solo queste) sono per così dire “viziate” fin dall’origine: secondo i geopolitici, per esempio, i planisferi tradizionali, dando rilievo ai continenti, trascurano quelle aree (come i Poli) apparentemente “inutili” o minimizzano il ruolo importantissimo degli oceani. Non solo. Nascosto nella raffigurazione tradizionale vi è un punto di vista implicito destinato a deformare o comunque a condizionare la nostra visione del mondo. La carta geopolitica perciò, non essendo possibile eliminare il punto di vista, lo sceglie come punto privilegiato e per così dire valorizza la sua stessa parzialità. Adottando i diversi punti di vista si svela altresì l’uso “politico” che spesso ha presieduto alla costruzione, prima che alla lettura, delle carte.

Terre, mari, idee - volume 1
Terre, mari, idee - volume 1
Dalla preistoria alla crisi di Roma repubblicana