nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito
molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché
appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento,
o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi
30 ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il
comico e l’umoristico. […]
Abbiamo detto che, ordinariamente, nella concezione d’un’opera d’arte, la riflessione
è quasi una forma del sentimento, quasi uno specchio in cui il sentimento
si rimira. Volendo seguitar quest’immagine, si potrebbe dire che, nella concezione
35 umoristica, la riflessione è, sì, come uno specchio, ma d’acqua diaccia,3 in cui
la fiamma del sentimento non si rimira soltanto, ma si tuffa e si smorza: il friggere
dell’acqua è il riso che suscita l’umorista; il vapore che n’esala è la fantasia spesso
un po’ fumosa dell’opera umoristica. […]
Nella sua anormalità, non può esser che amaramente comica la condizione
40 d’un uomo che si trova ad esser sempre quasi fuori di chiave, ad essere a un tempo
violino e contrabbasso, d’un uomo a cui un pensiero non può nascere, che subito
non gliene nasca un altro opposto, contrario; a cui per una ragione ch’egli abbia di
dir sì, subito un’altra e due e tre non ne sorgano che lo costringono a dir no; e tra il
sì e il no lo tengan sospeso, perplesso, per tutta la vita […].
45 E quest’appunto distingue nettamente l’umorista dal comico, dall’ironico, dal
satirico. Non nasce in questi altri il sentimento del contrario; se nascesse, sarebbe
reso amaro, cioè non più comico, il riso provocato nel primo dall’avvertimento di
una qualsiasi anormalità; la contradizione che nel secondo è soltanto verbale, tra
quel che si dice e quel che si vuole sia inteso, diventerebbe effettiva, sostanziale, e
50 dunque non più ironica; e cesserebbe lo sdegno o, comunque, l’avversione della
realtà che è ragione di ogni satira. […]
Ora la riflessione, sì, può scoprire tanto al comico e al satirico quanto all’umorista
questa costruzione illusoria. Ma il comico ne riderà solamente, contentandosi
di sgonfiar questa metafora di noi stessi messa su dall’illusione spontanea; il satirico
55 se ne sdegnerà; l’umorista, no: attraverso il ridicolo di questa scoperta vedrà
il lato serio e doloroso; smonterà questa costruzione ideale, ma non per riderne
solamente; e in luogo di sdegnarsene, magari, ridendo, compatirà. […]
L’arte in genere astrae e concentra, coglie cioè e rappresenta così degli individui
come delle cose, l’idealità essenziale e caratteristica. Ora pare all’umorista che tutto
60 ciò semplifichi troppo la natura e tenda a rendere troppo ragionevole o almeno
troppo coerente la vita. Gli pare che delle cause, delle cause vere che muovono spesso
questa povera anima umana agli atti più inconsulti, assolutamente imprevedibili,
l’arte in genere non tenga quel conto che secondo lui dovrebbe. Per l’umorista
le cause, nella vita, non sono mai così logiche, così ordinate, come nelle nostre
65 comuni opere d’arte, in cui tutto è, in fondo, combinato, congegnato, ordinato ai
fini che lo scrittore s’è proposto. L’ordine? la coerenza? Ma se noi abbiamo dentro
quattro, cinque anime in lotta fra loro: l’anima istintiva, l’anima morale, l’anima
affettiva, l’anima sociale? E secondo che domina questa o quella, s’atteggia la nostra
coscienza; e noi riteniamo valida e sincera quella interpretazione fittizia di noi
70 medesimi, del nostro essere interiore che ignoriamo, perché non si manifesta mai
tutt’intero, ma ora in un modo, ora in un altro, come volgano i casi della vita.