Documento 4
Il grande giornalista polacco Ryszard Kapuściński (1932-2007) si interroga sulla difficoltà di socializzare.
E ai nostri tempi? Arroganza degli uni verso le culture e le religioni degli altri, arcipelaghi
di ghetti e di lager sparsi su tutto il pianeta, muri, barriere, fossati, reticolati…
Quanti ce ne sono, in tutti i continenti! I progressi nelle comunicazioni verificatisi
in questi ultimi decenni sono diventati una specie di sfida: da un lato avvicinano gli
5 uomini tra di loro ma, dall’altro, siamo proprio certi che li avvicinino veramente? Tra
uomo e uomo, tra l’io e l’altro si è inserito un intermediario tecnico: una scintilla
elettrica, un impulso elettronico, una rete, un collegamento, un satellite. […] L’io comunicava
con l’altro non solo attraverso la parola, ma anche attraverso la vicinanza
diretta, attraverso lo stare insieme. Un’esperienza che niente è in grado di sostituire.
10 E il paradosso di questa situazione continua ad aumentare. Da un lato aumenta
la globalizzazione dei media, ma dall’altro ne aumentano anche la piattezza,
l’inadeguatezza, il caos. Più uno ha a che fare con i media, più si lamenta di sentirsi
solo e smarrito. Già agli inizi degli anni Settanta, quando la televisione era ancora
in fasce, Marshall McLuhan1 usò la definizione di “villaggio globale”. McLuhan,
15 che era un cattolico dotato di forte passione missionaria, immaginava che il nuovo
medium ci avrebbe resi tutti fratelli, accomunati da una medesima fede. La definizione
di McLuhan, oggi ripetuta senza riflettere, si è rivelata uno dei massimi
errori della cultura contemporanea. L’essenza del villaggio consiste nel fatto che i
suoi abitanti si conoscono intimamente, si frequentano e condividono un destino
20 comune. Cosa impossibile da dirsi della società del nostro pianeta, che fa piuttosto
pensare alla folla anonima di un grande aeroporto: una folla di persone frettolose,
sconosciute tra loro e perfettamente indifferenti le une alle altre.
Ryszard Kapuściński, L’altro, Feltrinelli, Milano 2007