I colori della letteratura - volume 3

Il secondo Ottocento – L'autore: Giovanni Verga

      Dentro il testo

I contenuti tematici

La storia di Malpelo è quella di uno sfruttato: nella sua breve vita ha conosciuto soltanto il disprezzo della madre e della sorella, le angherie del padrone e dei compagni della miniera e l’implacabilità della sorte che ha ucciso, nella stessa cava in cui lavora, il padre, Misciu Bestia, l’unico al mondo che gli voleva bene (r. 54). Dalle sue esperienze, il ragazzo ha tratto una concezione dei rapporti umani che li vuole dominati da una sorta di legge della giungla, quasi una selezione darwiniana nella quale a prevalere è sempre il più forte. Mentre gli altri subiscono questo spietato sistema senza esserne consapevoli, egli ha compreso la brutalità del mondo, accettando con lucida dignità l’ingiustizia come un’immodificabile legge di natura. A tale legge nessuno può sottrarsi: tanto vale adeguarsi, adottando gli stessi strumenti violenti dei carnefici per insegnare ai più deboli (in questo caso, al suo unico amico Ranocchio) come reagire all’ineluttabile prepotenza della vita.

La sorte di Malpelo non è individuale. Accanto a lui compaiono nella novella altri personaggi che condividono la stessa condizione di esclusione. Mastro Misciu, Ranocchio e l’asino grigio sono anch’essi dei reietti, destinati a trovare prevedibilmente la morte nell’indifferenza generale. Il narratore, che fa da portavoce della mentalità paesana, assegna loro, non a caso, lo stesso epiteto: sono, infatti, rispettivamente un povero diavolaccio (rr. 32-33), un povero ragazzetto (rr. 116-117) e una povera bestia (r. 98). Invece Rosso Malpelo non è gratificato dalla stessa compassione poiché egli ha l’orgoglio, la rabbia e la consapevolezza. Malpelo, brutto ceffo, torvo, ringhioso, e selvatico (r. 14), respinge la pietà del mondo (compresa la nostra), non intende suscitare compassione e non lancia patetici appelli ai buoni sentimenti.
Mai sfiorato dalla tentazione del vittimismo, Malpelo ha acquisito una visione disincantata e impietosa della realtà: animali, persone, perfino le cose (come la rena traditora, r. 144) combattono tra loro per esercitare la violenza del più forte. L’indifferenza che gli manifestano la madre e la sorella, le quali lo considerano come una bestia da fatica, e la perdita del padre, il solo che era capace di dedicargli attenzioni, lo hanno indotto a credere di non meritare l’amore degli altri. Egli si è perfino convinto di essere cattivo come tutti pensano e di dover ricoprire l’unico ruolo che il prossimo gli ha riservato, sia pure negativo (Sapendo che era malpelo, ei si acconciava ad esserlo il peggio che fosse possibile, rr. 102-103). Ciò spiega perché, nonostante la generosa protezione che cerca di garantire a Ranocchio (comportamento che il coro paesano interpreta come un malvagio esercizio di superiorità: le sue attenzioni sarebbero solo un modo per prendersi il gusto di tiranneggiarlo, rr. 122-123), sceglie di infierire sui più deboli con lo stesso spirito di sopraffazione che subisce lui stesso, in modo da insegnare le dure regole della vita (Se ti accade di dar delle busse, procura di darle più forte che puoi; così coloro su cui cadranno ti terranno per da più di loro, rr. 139-140).

Tale accettazione fatalistica dei rapporti umani si riverbera anche sulla percezione che Rosso Malpelo ha della morte. Le leggende sulla miniera, il ricordo di chi vi era entrato e spenta la torcia aveva invano gridato aiuto ma nessuno poteva udirlo (rr. 283-284) e il buio nelle viscere della terra fanno sedimentare nel suo animo un’angoscia incombente, che le morti del padre, dell’asino e di Ranocchio accrescono in modo sinistro. Né il ragazzo fa nulla per liberarsene, anzi: il compiacimento macabro che lo porta ripetutamente alle pendici della sciara a visitare il carcame del grigio in fondo al burrone (rr. 258-259) sembra assecondare un’inconsapevole vocazione alla morte. Non a caso l’immagine del minatore smarrito gli si riaffaccia alla mente come una sorta di presagio e allo stesso tempo come un invito a non sottrarsi al destino. Quando si tratta di avventurarsi in una difficile ispezione nella cava, egli non rifiuta l’incarico: obbedendo a un intimo desiderio di annullamento, si perde nei cunicoli di sabbia per fuggire lontano dalla violenza del mondo, lasciando di sé soltanto un inquietante e infausto alone di leggenda.

 >> pag. 156 

Le scelte stilistiche

Verga delinea la tragica visione del mondo del suo protagonista rinunciando a ogni interferenza personale. Per questo affida la rappresentazione emotiva e caratteriale di Rosso Malpelo alla comunità dei paesani, dei familiari e dei minatori, di cui assume il punto di vista, secondo quel procedimento di “delega” della narrazione a un soggetto rappresentativo dell’ambiente dei personaggi che è una delle principali innovazioni tecniche realizzate dal Verismo. Il narratore, cioè, regredisce al loro livello, assumendone acriticamente i pregiudizi e la mentalità. È proprio dal coro paesano che conosciamo il marchio negativo impresso sul ragazzo, di cui i capelli rossi sono, per così dire, il suggello superstizioso: Malpelo si chiamava così perché aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli rossi perché era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire un fior di birbone (rr. 1-2). In tal modo il carattere malvagio del protagonista viene legato al suo aspetto fisico. La voce narrante ci presenta dunque un personaggio cattivo e “comprensibilmente” emarginato.

Al tempo stesso, tuttavia, l’ostilità di tale giudizio viene introdotta per sviluppare un procedimento che lo mette in discussione e ne prende le distanze: ricorrendo a un processo di straniamento (che determina uno scarto tra l’opinione del narratore e quella, implicita, dell’autore), Verga non intende davvero accreditare la fondatezza del pregiudizio del popolo, ma al contrario mostrarne l’ottusità e l’ignoranza. Starà al lettore capovolgere il punto di vista del narratore e cogliere nei comportamenti di Malpelo non una cattiveria gratuita, ma la logica lucida e disperata con cui affronta la vita. L’eroe malvagio o il demone infernale che, secondo le fantasticherie dei ragazzi della cava, può ricomparire sottoterra con i suoi capelli rossi e gli occhiacci grigi (r. 402) si tramuta, nella coscienza di chi legge, in un personaggio dai gesti umanissimi e dal grande affetto filiale. Anzi, quanto più le parole del narratore esprimono una concezione del mondo rigida e rozza, che deforma la realtà e le motivazioni del comportamento di Rosso Malpelo, tanto più il personaggio si rivela nella sua acuta sensibilità e nel suo quasi eroico atteggiamento nei confronti della vita. Emblematica, per esempio, è la sua scelta di percorrere fino in fondo il proprio destino di morte piuttosto che continuare ad accettare un’esistenza invivibile, soggetta al bieco sfruttamento da parte del padrone.

Il linguaggio adottato da Verga nella novella rispecchia un canone a cui l’autore vincolerà tutta la produzione verista. Si tratta di una forma mista di italiano colto ed espressioni dialettali (nell’uso della sintassi più che del lessico): una commistione che vuole dare un “tono locale” alla narrazione evitando l’adozione del dialetto vero e proprio (non a caso, proverbi o termini che il pubblico nazionale non conosce vengono evidenziati con il corsivo). Per accentuare la verosimiglianza linguistica del testo e imitare il parlato popolare, Verga ricorre al “che” polivalente* (mastro Misciu raschiava ancora il suo pilastro che l’avemaria era suonata da un pezzo, rr. 42-43), al frequente uso di “gli” o “le” pleonastico (e cotesto al padrone gli seccava assai, r. 24; a mio padre gli dicevano Bestia, r. 112 ecc.), al discorso indiretto libero* e a un meccanismo molto efficace. Si tratta della “concatenazione”, grazie alla quale una delle ultime parole o espressioni del periodo precedente viene ripresa all’inizio di quello successivo (mastro Misciu, suo padre, era morto nella cava. Era morto così, rr. 25-26; «Va’ là, che tu non ci morrai nel tuo letto, come tuo padre». Invece nemmen suo padre ci morì nel suo letto, rr. 36-38; «… tu ci andrai e ci lascerai le ossa». Invece le ossa le lasciò nella cava, Malpelo, come suo padre, rr. 381-382 ecc.): un artificio che accentua la tendenza all’imitazione e permette di tornare ossessivamente sugli stessi vocaboli e sulle stesse frasi, sottolineando l’immutabilità di una condizione umana che si ripete sempre uguale, senza possibilità di riscatto.

 >> pag. 157 

Vicende come quelle di Rosso Malpelo erano all’ordine del giorno nella Sicilia del tempo. L’autore, oltre a conoscerle direttamente, ne aveva letto sulle pagine della famosa inchiesta parlamentare di Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino, pubblicata nel 1877, che dedicava ampio spazio alla piaga del lavoro minorile (► p. 158). L’attenzione alla cronaca e alla documentazione, tuttavia, non deve far passare in second’ordine la qualità letteraria del testo, ricco di echi e riferimenti intertestuali. Significativi, per esempio, sono i rimandi all’Inferno dantesco, che sottintendono la comunanza del destino dei minatori con quello dei dannati. Quando Malpelo descrive a Ranocchio il labirinto dei cunicoli della cava, fa riferimento ai lavoratori che prima o poi si perderanno in esso senza poter udire le strida disperate dei figli (rr. 214-215), con un’espressione che richiama le parole usate da Virgilio per descrivere a Dante l’oltretomba infernale («ove udirai le disperate strida», I, 115). Precedentemente, quando Malpelo racconta di avere sempre visto quel buco nero, che si sprofondava sotterra, dove il padre soleva condurlo per mano (rr. 208-209), la scena fa venire alla mente il paterno gesto di Virgilio che prende per mano Dante al momento del suo ingresso nell’Inferno («E poi che la sua mano a la mia puose», III, 19). Il buco nero della miniera può essere assimilato alla «valle d’abisso» che Dante definisce «oscura e profonda» (IV, 10). Quello dantesco, però, è un inferno dei morti e dei peccatori; Verga, invece, descrive un inferno dei vivi, dove la morte rappresenta al tempo stesso una condanna ma anche una liberazione.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Riassumi il contenuto della novella in circa 15 righe.


2 Prima di quella di Malpelo, la novella è scandita da tre morti: quali?


3 Concentrando la tua attenzione sulla “lezione” che Rosso Malpelo impartisce a Ranocchio, sintetizza la sua filosofia di vita.

ANALIZZARE

4 Nel primo periodo troviamo la presenza di due perché. Spiega il loro diverso significato logico.


5 Trova nel testo almeno due esempi di discorso indiretto libero e trasformali in discorso diretto.


6 Individua parole ed espressioni dialettali riconducibili all’ambiente siciliano.


7 Rintraccia nel testo i paragoni e le metafore che assimilano il protagonista a una bestia e al diavolo.


8 Secondo una consuetudine tipicamente popolare, le persone vengono chiamate con un soprannome, che ne fissa un carattere o una peculiarità. Individua i soprannomi dei personaggi e spiegane il possibile significato.

INTERPRETARE

9 Perché verso la fine del racconto viene inserito l’episodio dell’evaso? Che cosa intuisce Malpelo dalle parole di questo personaggio?


10 Nella novella Verga ricorre molte spesso all’uso dei colori. Quali sono quelli principali e quale valore simbolico è possibile attribuire loro?

PRODURRE

11 Capovolgendo l’opinione del coro paesano, sostieni in un testo argomentativo di circa 20 righe le ragioni per le quali Malpelo è anche capace di gesti di bontà e generosità.


I colori della letteratura - volume 3
I colori della letteratura - volume 3
Dal secondo Ottocento a oggi