Un uomo in cerca di sé stesso
Pavese appare come un uomo introverso ed estremamente sensibile. Assume per lui un ruolo fondamentale la letteratura che, almeno per qualche tempo, sembra dare un senso alla sua vita.
I fallimenti sentimentali
C’è tuttavia in lui un vuoto che i libri non possono colmare. Le numerose delusioni sentimentali rappresentano ripetute smentite alla sua sete di pienezza e di felicità. Si invaghisce di artiste di caffè concerto e giovani attrici, che non lo ricambiano. Nel 1932 si innamora di Tina Pizzardo, comunista, insegnante di matematica; quattro anni dopo, di ritorno dal confino a Brancaleone, viene a sapere che Tina si è fidanzata ed è prossima a sposarsi. Entra così in una cupa depressione, documentata nel diario con accenti di estrema violenza. Nella primavera del 1940 rivede Fernanda Pivano, che era stata sua allieva durante le supplenze al liceo D’Azeglio: si è iscritta all’università ed è anche lei un’americanista. Pavese se ne innamora e le chiede di sposarlo, ricevendo un rifiuto. La passione, anche questa non ricambiata, per Constance Dowling sarà l’ultima e quella più distruttiva.
Il pensiero della morte
Le ragioni che spingono un uomo a togliersi la vita sono sempre, almeno in parte, misteriose e insondabili, e bisogna accostarvisi con discrezione e delicatezza. Nel caso di Pavese, tuttavia, si può ritenere che abbia influito sulla decisione di porre fine alla propria esistenza il profondo turbamento da lui provato sul finire del 1926 in seguito al suicidio dell’amico Elico Baraldi: già allora il futuro scrittore confida la propria angoscia alle pagine di un diario. Ci sono poi, durante la Resistenza, le morti eroiche in giovane età di alcuni suoi compagni, come Leone Ginzburg, Giaime Pintor, Gaspare Pajetta, che infondono nel suo animo una sorta di “rimorso del sopravvissuto”. Neppure il temporaneo accostarsi alla fede religiosa riesce a dissuaderlo dal suo proposito.
L’immagine che resta di Pavese, al di là delle varie speculazioni sulla sua vita e sulla sua morte, è comunque quella di un uomo «vitale, complesso e drammaticamente lacerato ma sostanzialmente unitario nella tensione continua di conoscersi» (Venturi–Di Cicco).