Se verso il 1978 ho cominciato a parlare di “geopoetica” è, da una parte, perché
la terra (la biosfera) era, chiaramente, minacciata sempre di più, ed era necessario
occuparsene in maniera seria ed efficace; dall’altra parte, perché avevo sempre pensato
che la poetica più ricca venisse da un contatto con la terra, da un’immersione
5 nello spazio della biosfera, da un tentativo di leggere le linee del mondo. […] Il
progetto geopoetico non è una varietà culturale in più, né una scuola letteraria,
né una forma di poesia considerata come arte intima. Si tratta di un movimento
che riguarda le fondamenta stesse dell’esistenza dell’uomo sulla terra. Nel campo
geopoetico si incontrano pensatori e poeti di ogni tempo e nazionalità. Per citare
10 qualche esempio, si può pensare, in Occidente, a Eraclito1 («L’uomo è separato da
ciò che gli è più vicino»), a Hölderlin2 («L’uomo vive poeticamente sulla terra»),
a Heidegger3 («Topologia dell’essere»), a Wallace Stevens4 («I grandi poemi del
cielo e dell’inferno sono stati scritti, rimane da scrivere il poema della terra»). […]
La geopoetica offre un terreno di incontro e di stimoli reciproci, non soltanto, ed
15 è sempre più necessario, tra poesia, pensiero e scienza, ma tra le discipline più
diverse, dal momento che sono pronte a uscire da quadri spesso troppo stretti e a
entrare in uno spazio globale (cosmologico, cosmopoetico) ponendosi la domanda
fondamentale: che ne è della vita sulla terra, che ne è del mondo?
Kenneth White, www.geopoetique.net, 1989