3 - I grandi temi

Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'autore: Giorgio Caproni

La vita Le opere
• Nasce a Livorno 1912  
• La famiglia si trasferisce a Genova 1922  
• Comincia la carriera di insegnante di scuola elementare in Val Trebbia 1935  
• Muore la fidanzata Olga Franzoni 1936 Come un’allegoria
• Sposa Rosa Rettagliata e si trasferisce a Roma 1938 Ballo a Fontanigorda
• È richiamato alle armi e inviato prima sul fronte occidentale, poi su quello orientale 1940  
1941 Finzioni
• Entra nella Resistenza partigiana attiva in Val Trebbia 1943 Cronistoria
• Torna a Roma e affianca all’insegnamento il lavoro di traduttore e di giornalista letterario 1945
1952 Stanze della funicolare
1956 Il passaggio d’Enea
1959 Il seme del piangere
1965 Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee
1975 Il muro della terra
1982 Il franco cacciatore
1986 Il conte di Kevenhüller
• Muore a Roma 1990  
1991 Res amissa

3 I grandi temi

I luoghi

La poesia di Caproni è strettamente legata ai luoghi in cui egli ha vissuto e che di volta in volta hanno ispirato i suoi versi, come se il suo “canzoniere” fosse, anche in questo, una sorta di opera autobiografico–diaristica. I luoghi – ha confidato l’autore in uno scritto del 1981 – «hanno lasciato orme nel mio carattere e, qua e là, nei miei versi: e non davvero come elementi pittorici, ma anch’essi come laterizi (o metafore) di quell’umana condizione che ho sempre cercato di esprimere». Essi hanno plasmato il suo carattere e inciso profondamente sul suo modo di vedere e di rappresentare la realtà.

La prima raccolta, Come un’allegoria, è un libro di paesaggi. L’autore si pone come spettatore affascinato del mondo fisico, capace di percepirlo e di renderlo in termini molto concreti e sensoriali attraverso le sollecitazioni della vista, dell’udito, dell’olfatto. Un completo abbandono alla natura non è tuttavia possibile: la realtà appare infatti caduca, e i suoi singoli elementi si prestano ad assumere valori allegorici che denunciano la presenza di significati “altri”, nascosti sotto la superficie concretamente percepibile delle cose.

Un rilievo centrale nella poesia di Caproni hanno anche le città. Livorno, innanzitutto, la città dell’infanzia: il centro portuale toscano appartiene ai suoi ricordi più antichi, rievocati nella mitica luce delle origini e degli affetti primigeni, come quelli delle idealizzate figure dei genitori. Esemplari in questo senso sono i Versi livornesi, concepiti dopo la morte della madre e pubblicati nel suo libro più noto, Il seme del piangere (1959).

 >> pag. 1092 

Troviamo poi Genova, dove la famiglia si era trasferita nel 1922. Se Livorno è la simbolica città della madre, Genova rappresenta il luogo della formazione umana e culturale dell’autore: «Genova sono io. Sono io che sono “fatto” di Genova». Il capoluogo ligure segna anche l’inevitabile epilogo dell’infanzia: «Genova della Spezia. / Infanzia che si screzia. / Genova di Livorno, / partenza senza ritorno» (Litania). La natura di questa città è dunque bifronte, «come il Giano messo a guardia dei suoi giardini»: luogo della scoperta di sé ma anche città-mondo che apre all’altro da sé.
Livorno e Genova, città marinare, sono lo scenario prediletto per la rappresentazione di un’umanità quotidiana, per un’epica della gente comune che occupa gran parte della poesia di Caproni e che si svolge all’insegna di una notevole precisione di dettaglio, non rifuggendo dalla rappresentazione di oggetti concreti come tram, ascensori, funicolari.

Caproni approda infine a Roma, dove trascorrerà il resto della sua vita. La capitale subito lo attira e lo abbaglia con le vestigia del glorioso passato, ma nella sua vastità egli, da giovane provinciale, si aggira smarrito. Così, il poeta fugge idealmente da Roma per tornare alle sue amate città: nelle Stanze della funicolare (1952) crea il mito di una Genova sognata, che il confronto con Roma, città ormai quasi aborrita, arricchisce di nostalgici sensi riposti, mentre nel Seme del piangere il ricordo della madre Annina, riemerso sfogliando vecchie foto di famiglia, riporta in vita Livorno, restituita a un suo indelebile spazio ideale, fatto più per i morti che per i vivi.

 T1 

Su cartolina

Stanze della funicolare


Questo testo – risalente al 1948 ma compreso nella sezione In appendice della raccolta Stanze della funicolare, pubblicata nel 1952 – è una dichiarazione d’amore di Caproni a Genova, la seconda città della sua vita dopo la natia Livorno.

        Qui forse potrei vivere,
        potrei forse anche scrivere:
        potrei perfino dire:
        qui è gentile morire.

5     Genova mia città fina:
        ardesia e ghiaia marina.
        Mare e ragazze chiare
        con fresche collane di vetro
        (ragazze voltate indietro,

 >> pag. 1093 

10   col fiasco, sul portone
        prima di rincasare)
        ah perdere anche il nome
        di Roma, enfasi e orina.

        Qui forse potrei scrivere:
15   potrei forse anche vivere.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

Nel componimento, scritto quando Caproni vive ormai stabilmente a Roma, Genova è radicalmente contrapposta alla capitale. La città ligure è connotata dagli elementi tipici del suo paesaggio (l’ardesia e la ghiaia marina v. 6; il Mare, v. 7), ma anche attraverso una viva presenza femminile (le ragazze chiare del v. 7). Al contrario, Roma è caratterizzata per mezzo di due termini negativi (enfasi e orina, v. 13). A proposito della capitale, nel 1981 Caproni scrive: «Con Roma non sono mai riuscito a entrare in dimestichezza: non sono mai riuscito a sentirla, neppure in parte, mia. Forse perché Roma è una scarpa troppo grande – o “grandiosa” – per il mio piede».

Genova è il luogo migliore per vivere e per scrivere – in Caproni queste due componenti, vita e poesia, sono strettamente connesse – ma anche il più adatto all’esperienza difficile e spaventosa della morte, che solo in questo luogo, forse, potrebbe rappresentare un passaggio sereno: forse, ripete il poeta più volte (vv. 1, 2, 14, 15). La tendenza alla mitizzazione della città della giovinezza è corretta da un sottile velo di ironico disincanto.

Le scelte stilistiche

La semplicità del dettato poetico dà vita a un tono cantabile, quasi da canzonetta* o da ballata*, ottenuto anche grazie ad alcune specifiche scelte metriche: per esempio la riproposizione, negli ultimi due versi, del distico iniziale, come in una sorta di ripresa* o refrain (salvo che per l’inversione dei due termini chiave: vivere e scrivere), ma anche la brevità dei versi e la frequenza delle rime baciate. La lirica ha il tono lieve tipico della produzione del Caproni dei tardi anni Quaranta. Proprie dello stile del poeta sono anche le scelte lessicali, tutte nella direzione di una comunicazione di tipo colloquiale.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Che cosa apprezza, di Genova, il poeta?


2 Come vengono descritte le ragazze della città? Perché?


ANALIZZARE

3 Individua le rime presenti nel componimento.


4 Analizza e descrivi il rapporto tra piano metrico e piano sintattico.


5 Trova tutte le figure retoriche presenti nella lirica.


INTERPRETARE

6 Che cosa suggerisce, a proposito delle ragazze genovesi, l’immagine delle fresche collane di vetro (v. 8)?


Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi