Le figure femminili

Il secondo Novecento e gli anni Duemila – L'autore: Giorgio Caproni

Le figure femminili

Se Livorno è il primo luogo del poeta, quello della sua infanzia, la madre, Anna Picchi, è la prima figura della sua poesia. Nata nel 1894 e impiegata sin da ragazza nel magazzino Cigni (una rinomata casa di moda livornese), è una donna di grande vitalità: ama suonare la chitarra, frequentare i circoli cittadini e ballare. Muore nel 1950 a Palermo, dove viene sepolta, nel cimitero di Sant’Orsola, presso il fiume Oreto.
Nei Versi livornesi – una delle sezioni della raccolta Il seme del piangere – Anna (o Annina) viene ritratta come una creatura solare e piena di vita, capace di trasmettere la propria gioia di vivere a quelli che le sono accanto. «Passava odorando di mare» (Né ombra né sospetto), comunicando agli altri una spinta ad agire: «Che voglia di lavorare / nasceva al suo ancheggiare!» (Quando passava). Ma anche su di lei si stende l’ombra del dolore (legata al vissuto degli anni di guerra) e della morte, generando un sapore dolce-amaro che scongiura la caduta in una celebrazione retorica. Nella lirica Preghiera, per esempio, il poeta si rivolge alla propria anima, chiedendole di andare a Livorno, a cercare la madre scomparsa: «Anima mia, leggera / va’ a Livorno, ti prego […] / perlustra e scruta, e scrivi / se per caso Anna Picchi / è ancor viva tra i vivi».

Le due donne amate – Olga, morta prematuramente, e Rosa, indicata nelle poesie anche con il nome di Rina – si sovrappongono inizialmente nell’immaginario di Caproni, per divergere poi radicalmente, fino a incarnare i due poli opposti di un’antitesi.
Il fantasma della fidanzata defunta lo perseguita a lungo. Nei Sonetti dell’anniversario, confluiti in Cronistoria (1943), è rievocato nel ricordo di una stagione sensuale e illusoria, mentre nel poemetto Le biciclette, pubblicato dapprima nelle Stanze della funicolare (1952) e poi nella raccolta complessiva Il passaggio d’Enea (1956), è velato dal travestimento ariostesco di Alcina e diventa la perturbante icona delle sofferenze del tempo di guerra.

Al contrario, Rina, «dalle iridi grandi e azzurre e così delicatamente silenziose» (Alta Val Trebbia), incarna le gioie e le angustie dell’amore coniugale, sia in tempo di pace sia in guerra, e viene spesso celebrata come il tenace cardine della vita che continua: «Se il mondo prende colore / e vita, lo devo a te, amore» (A Rina, II). Ancora, in un componimento dell’ultima raccolta, Res amissa, così il poeta si rivolge alla moglie, giocando con i suoi due nomi: «Ah rosa sempre in cima / ai miei pensieri… / Mia Rina…» (Per l’onomastico di Rina, battezzata Rosa).

 T2 

La gente se l’additava

Il seme del piangere


Pubblicata nella sezione Versi livornesi della raccolta Il seme del piangere (1959), la lirica è una commossa rievocazione della figura materna: con pochi, efficacissimi tratti, la giovane Anna Picchi viene raffigurata nel contesto della sua città natale, Livorno.


METRO Canzonetta formata da 2 strofe (rispettivamente di 10 e 9 versi) seguite da un distico conclusivo.

Non c’era in tutta Livorno
un’altra di lei più brava

 >> pag. 1095 

        in bianco, o in orlo a giorno.
        La gente se l’additava
5     vedendola, e se si voltava
        anche lei a salutare,
        il petto le si gonfiava
        timido, e le si riabbassava,
        quieto nel suo tumultuare
10   come il sospiro del mare.

        Era una personcina schietta
        e un poco fiera (un poco
        magra), ma dolce e viva
        nei suoi slanci; e priva
15   com’era di vanagloria
        ma non di puntiglio, andava
        per la maggiore a Livorno
        come vorrei che intorno
        andassi tu, canzonetta:

20   che sembri scritta per gioco,
        e lo sei piangendo: e con fuoco.

      Dentro il testo

I contenuti tematici

La madre del poeta è qui rievocata nella sua giovinezza livornese. Prima del ritratto vero e proprio (contenuto nella seconda strofa), la donna è rappresentata in movimento, per le vie della città, attraverso alcune notazioni ossimoriche* (il petto le si gonfiava / timido, vv. 7–8; quieto nel suo tumultuare, v. 9), che esprimono il duplice aspetto del suo carattere: una timida modestia che frena un animo acceso e ardimentoso.
Dopo aver fatto cenno all’abilità di Anna nel ricamo (vv. 1–3), il poeta si focalizza sulle sue caratteristiche fisiche e morali: la schiettezza e la fierezza del temperamento (vv. 11–12), la figura esile (un poco / magra, vv. 12–13), ma anche la dolcezza e la vivacità ( dolce e viva / nei suoi slanci, vv. 13–14), che confermano una qualità – il carattere deciso – che compariva già nella prima strofa.

Il testo è stato scritto dopo la morte della donna, come se il poeta intendesse farla rivivere con i suoi versi. Lo stesso Caproni ha dichiarato, alcuni anni dopo: «Anna Picchi […] assume il volto che è stata capace di darle la leggenda ch’io m’ero formato di lei, udendo i discorsi in casa e guardando le fotografie. Tentar di far rivivere mia madre come ragazza, mi parve un modo, certo ingenuo, di risarcimento contro le molte sofferenze e contro la morte».

 >> pag. 1096 

Le scelte stilistiche

Il tono colloquiale e l’immediatezza dello stile non impediscono all’autore di strutturare il componimento su precisi riferimenti alla tradizione poetica, in particolare stilnovistica. Il ritratto in movimento di Anna ricorda da vicino quello di Beatrice nel sonetto di Dante Tanto gentile e tanto onesta pare, di cui vengono ripresi alcuni motivi ben identificabili, quali la stupita ammirazione della gente al passaggio della donna (La gente se l’additava, v. 4), il suo salutare (v. 6), l’umiltà priva / […] di vanagloria (vv. 14–15). Inoltre, l’apostrofe* alla propria canzonetta* (come vorrei che intorno / andassi tu, canzonetta, vv. 18–19), mediante la quale il poeta si rivolge al testo come se fosse una persona animata con cui instaurare un dialogo, ricalca un analogo artificio retorico presente in diversi testi stilnovistici, come la ballata* di Guido Cavalcanti Perch’i’ no spero di tornar giammai. Ciò testimonia che il carattere apparentemente spontaneo della poesia di Caproni è sostenuto, in realtà, da un ampio bagaglio di letture e di rimandi letterari, ma è anche la prova della sua «rara capacità di conciliare tradizione colta e quotidiana spontaneità del parlato» (Cucchi).

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 A partire dagli elementi forniti dal testo, traccia un ritratto fisico e morale della protagonista.


2 Spiega il significato della seguente espressione: priva / […] di vanagloria / ma non di puntiglio (vv. 14–16).


ANALIZZARE

3 Definisci la misura dei singoli versi del componimento.


4 Evidenzia le rime presenti e spiegane la funzione nella struttura della poesia.


5 Individua gli enjambement presenti nella lirica.


INTERPRETARE

6 Perché l’autore afferma che la sua canzonetta sembra essere stata composta per gioco (v. 20), ma che invece è stata scritta piangendo: e con fuoco (v. 21)?


Il viaggio

In una lettera del 1960 Caproni esprime al poeta Carlo Betocchi il desiderio di «una fede più solida, non poetica né intermittente». Sono i primi sintomi della crisi religiosa che si sarebbe manifestata nel tema della discesa al Limbo e dell’incontro con i morti, affrontato con lucido disincanto nei poemetti del Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee (1965).
Da questo punto in poi la poesia di Caproni si sviluppa sempre più nei termini di una profonda meditazione morale e di una serrata riflessione esistenziale. La vita appare al poeta come un viaggio, del quale è necessario individuare i punti di partenza e di arrivo, o meglio il loro significato. L’immagine del viaggio è una metafora quasi ossessiva nella produzione di Caproni, che si ritrova anche nei frequenti riferimenti a spazi tipicamente connessi al viaggiare, come scompartimenti di treno, stazioni ferroviarie, bar, luoghi di una socialità occasionale e precaria.

Ha spiegato il poeta: «Sono metafore, quelle ferroviarie, venutemi da sé. Forse il treno (che non può fermarsi né deviare quando vuole, come l’automobile) potrebbe darci il senso quasi dell’agostiniana predestinazione, in luogo del libero arbitrio». In altre parole, l’immagine del treno restituisce l’idea di un viaggio obbligato (“predestinato”, appunto, come nella visione dell’esistenza umana nel pensiero di sant’Agostino), di cui l’essere umano non è in grado di controllare l’itinerario o il percorso né di decidere le fermate. Ai mezzi di trasporto di cui ci si può servire liberamente (come la bicicletta, pure presente in Caproni) si contrappongono così quelli dal tragitto predeterminato (il treno, appunto, ma anche la funicolare e l’ascensore).

 >> pag. 1097 

Già nelle Stanze della funicolare (1952), del resto, era evidente il valore allegorico del viaggio sul piano esistenziale, come lo stesso Caproni avrà modo di spiegare anni dopo: le Stanze della funicolare «sono un poco il simbolo, o l’allegoria, della vita umana, vista come inarrestabile viaggio verso la morte. La funicolare del Righi, a Genova, esiste davvero. Il suo primo percorso avviene al buio, in galleria: un buio e una galleria che potrebbero essere interpretati come il ventre materno. Poi, la funicolare sbocca all’aperto (è la nascita), e prosegue sino alla meta, tirata dal suo “cavo inflessibile” (il tempo, il destino), senza potersi fermare. Ogni “stanza” è una stagione differente della nostra esistenza. E di stagione in stagione, il passeggero (l’“utente”) cerca l’attimo bello (ogni stagione ha il suo) dove potersi arrestare: dove poter chiedere un alt nel suo essere trascinato dal tempo (il cavo) inarrestabile, fino all’ultima stazione, che nel poemetto è avvolta nella nebbia (mistero e lenzuolo funebre insieme)».

 T3 

Congedo del viaggiatore cerimonioso

Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee


Il componimento, pubblicato per la prima volta in rivista nel 1960 e poi inserito nella raccolta Congedo del viaggiatore cerimonioso & altre prosopopee (1965), sembra quasi il monologo teatrale – questo il significato che l’autore attribuisce al termine “prosopopea” – di un attore prima dell’uscita di scena. Il poeta si accomiata dalla vita e dagli amici che hanno viaggiato con lui, tracciando indirettamente un bilancio della propria esistenza.


METRO 9 strofe di diversa lunghezza, più un verso isolato in chiusura.

        Amici, credo che sia
        meglio per me cominciare
        a tirar giù la valigia.
        Anche se non so bene l’ora
5     d’arrivo, e neppure
        conosca quali stazioni
        precedano la mia,
        sicuri segni mi dicono,
        da quanto m’è giunto all’orecchio
10   di questi luoghi, ch’io
        vi dovrò presto lasciare.

        Vogliatemi perdonare
        quel po’ di disturbo che reco.
        Con voi sono stato lieto
15   dalla partenza, e molto
        vi sono grato, credetemi,
        per l’ottima compagnia.

        Ancora vorrei conversare
        a lungo con voi. Ma sia.
20   Il luogo del trasferimento
        lo ignoro. Sento
        però che vi dovrò ricordare
        spesso, nella nuova sede,
        mentre il mio occhio già vede
25   dal finestrino, oltre il fumo
        umido del nebbione

 >> pag. 1098 

        che ci avvolge, rosso
        il disco della mia stazione.

        Chiedo congedo a voi
30   senza potervi nascondere,
        lieve, una costernazione.
        Era così bello parlare
        insieme, seduti di fronte:
        così bello confondere
35   i volti (fumare,
        scambiandoci le sigarette),
        e tutto quel raccontare
        di noi (quell’inventare
        facile, nel dire agli altri),
40   fino a poter confessare
        quanto, anche messi alle strette,
        mai avremmo osato un istante
        (per sbaglio) confidare.

        (Scusate. È una valigia pesante
45   anche se non contiene gran che:
        tanto ch’io mi domando perché
        l’ho recata, e quale
        aiuto mi potrà dare
        poi, quando l’avrò con me.
50   Ma pur la debbo portare,
        non fosse che per seguire l’uso.
        Lasciatemi, vi prego, passare.
        Ecco. Ora ch’essa è
        nel corridoio, mi sento
55   più sciolto. Vogliate scusare).
        Dicevo, ch’era bello stare
        insieme. Chiacchierare.
        Abbiamo avuto qualche
        diverbio, è naturale.
60   Ci siamo – ed è normale
        anche questo – odiati
        su più d’un punto, e frenati
        soltanto per cortesia.
        Ma, cos’importa. Sia
65   come sia, torno
        a dirvi, e di cuore, grazie
        per l’ottima compagnia.

        Congedo a lei, dottore,
        e alla sua faconda dottrina.
70   Congedo a te, ragazzina
        smilza, e al tuo lieve afrore
        di ricreatorio e di prato
        sul volto, la cui tinta
        mite è sì lieve spinta.
75   Congedo, o militare
        (o marinaio! In terra
        come in cielo ed in mare)
        alla pace e alla guerra.
        Ed anche a lei, sacerdote,
80   congedo, che m’ha chiesto s’io
        (scherzava!) ho avuto in dote
        di credere al vero Dio.

        Congedo alla sapienza
        e congedo all’amore.
85   Congedo anche alla religione.
        Ormai sono a destinazione.

        Ora che più forte sento
        stridere il freno, vi lascio
        davvero, amici. Addio.
90   Di questo, sono certo: io
        son giunto alla disperazione
        calma, senza sgomento.

        Scendo. Buon proseguimento.

Al cuore della letteratura - volume 6
Al cuore della letteratura - volume 6
Dal Novecento a oggi