Il superomismo
L’approdo superomistico di d’Annunzio è visibile compiutamente a partire dalla stesura dei romanzi pubblicati dopo Il piacere, negli anni Novanta. Tuttavia estetismo e superomismo sono, tanto nella sua poetica quanto nella sua ideologia, strettamente connessi tra loro: facce della stessa medaglia, aspetti complementari dell’ispirazione sensuale e dell’affermazione della vitalità pura come norma suprema che non deve obbedire a niente e a nessuno.
Per d’Annunzio il superuomo è infatti una creatura di sensibilità superiore, un individuo eccezionale al quale spettano il diritto e il dovere di opporsi all’insulsa realtà borghese, per realizzare senza incertezze il proprio dominio sulla realtà. «Il mondo», scrive nelle Vergini delle rocce, «è un dono magnifico largito dai pochi ai molti, dai liberi agli schiavi, da coloro che pensano e sentono a coloro che debbono lavorare»: i pochi, i liberi, coloro che pensano e sentono rappresentano una nuova aristocrazia dello spirito che, attraverso il culto del bello e un’anima risoluta, potrà (e dovrà) imporsi sulla massa, in spregio alle comuni leggi del bene e del male.