Con una punta di maliziosa perfidia, il più famoso biografo di d’Annunzio, lo scrittore Piero Chiara, lega l’ispirazione di questa poesia all’incipiente calvizie del poeta (così andrebbe interpretata l’immagine iniziale della corona sfiorita sulla fronte, vv. 1-2). Riferimenti biografici a parte, la dimensione portante del sonetto* e di tutto il Poema paradisiaco è costituita dal mito della rinascita dell’anima, non più orgogliosa ed egocentrica, ma buona e misericordiosa. Il trentenne d’Annunzio ostenta qui, con la consueta abilità camaleontica, sentimenti languidi e pietosi, offrendo ai poeti futuri un ricco campionario di lacrime e stanchezze a cui attingere ampiamente: poesie come questa, e come
Hortus conclusus, Climene e La statua, saranno lette e assai apprezzate, dai Crepuscolari fino a Montale.