Il divo narcisista e il pubblico di massa
Gabriele d’Annunzio è il primo intellettuale, non solo in Italia, a intuire le potenzialità dei mezzi di comunicazione di massa e a percepire gli ingranaggi del sistema editoriale, cogliendo (e anzi spesso anticipando) le esigenze e le aspettative di un pubblico sempre più variegato. Egli costruisce per sé all’interno dell’industria culturale il ruolo di «sociologo empirico» (come lo ha definito il critico Ezio Raimondi), cioè di profondo conoscitore dei gusti e delle tendenze del mercato, e di abile persuasore, capace di insinuare presso i lettori emozioni, sentimenti e desideri grazie alla funzione seducente esercitata dal suo stile di vita e dalla sua parola. D’Annunzio lancia infatti ogni iniziativa con sfrenato esibizionismo e con uno spirito che oggi diremmo pubblicitario e imprenditoriale: combinando l’arte e la vita, attraverso scandali, gesti eclatanti e trasgressioni, egli promuove l’immagine del genio che si sente indifferente alla moralità comune e aspira a una «vita inimitabile», superiore a quella del «gregge» plebeo e piccolo-borghese.