La scelta del volgare e la forma del dialogo

Il Seicento – L'autore: Galileo Galilei

La scelta del volgare e la forma del dialogo

Lo stile di Galileo non segue le consuetudini espressive proprie del suo tempo: mentre la letteratura barocca ama la bizzarria, l’esagerazione e l’astrusità formale, la prosa dello scienziato pisano è un modello di ordine, di elegante chiarezza e di cristallina perfezione. La ricerca della concretezza non va confusa però con la banalità formale: l’entusiasmo dello scopritore e la combattività del pensatore in lotta con le convenzioni del suo tempo si accompagnano spesso a un’aggettivazione ricca ed efficace, a un’eloquenza polemica e a un’ironia alimentata da metafore e immagini curiose.

D’altra parte, non dobbiamo dimenticare che, oltre che scienziato, Galileo è anche un letterato: un letterato raffinatissimo, profondo conoscitore della poesia e della prosa cinquecentesca, protagonista in prima persona delle discussioni linguistiche e retoriche che animano la scena culturale coeva. Il suo ideale di comunicazione si rifà al modello di Ariosto, capace di adattarsi con grande varietà ed eleganza allo spirito della civiltà rinascimentale, anche sul difficile piano dei rapporti con il potere; viceversa la scrittura di Tasso gli appare incerta, oscura e artificiosa, emblema di un gusto prebarocco alla vacua ricerca del meraviglioso.

La letteratura rappresenta infatti per Galileo lo specchio di una precisa mentalità e di un determinato orientamento ideologico. La scelta di scrivere in volgare, soprattutto, non rimanda a una semplice opzione estetica, ma piuttosto a un aspetto decisivo della sua “politica culturale”. Mentre, nella sua epoca, i testi scientifici continuano a essere redatti in latino, egli decide di adottare prevalentemente il volgare perché ritiene che la scienza debba essere alla portata di tutti, secondo una prospettiva fortemente anticlassista. Fare uscire la scienza dalla ristretta cerchia degli specialisti significa assicurare a essa un legame più stretto con il mondo della tecnica e dei mestieri, composto da persone spesso poco colte, ma esperte nella soluzione dei problemi pratici. Per esempio, nella prefazione al manuale intitolato Le operazioni del compasso geometrico et militare (pubblicato nel 1606) scrive: «Finalmente essendo mia intenzione di esplicare al presente operazioni per lo più attinenti al soldato, ho giudicato esser bene scrivere in favella [lingua] toscana, acciò che, venendo talora il libro in mano di persone più intendenti della milizia [esperte di cose militari] che della lingua latina, possa da loro esser comodamente inteso».

Il messaggio delle grandi scoperte deve, insomma, essere divulgato in forme “democratiche” e giungere con chiarezza agli aristocratici illuminati, ma anche ai borghesi e agli esponenti delle categorie produttive, destinati a uscire dai cantieri e dalle botteghe per acquistare onori, ricchezze e privilegi sulla scena delle società moderne. Non deve sorprendere, dunque, che anche gli avversari di Galileo colgano l’efficacia di tale operazione culturale: i giudici che lo accusano dinanzi al tribunale dell’Inquisizione sottolineano che lo scienziato «non solo arma l’opinione copernicana di argomenti nuovi […], ma lo fa in italiano, lingua […] la più indicata per trascinare dalla sua il volgo ignorante fra cui l’errore fa più facilmente presa».

Alla volontà di far circolare il più possibile le idee e metterle a confronto tra loro si deve, infine, il rinnovamento che Galileo realizza di due generi letterari congeniali alla promozione intellettuale, la lettera e il dialogo. L’epistola, rivolgendosi a destinatari lontani, permette di superare barriere e confini e, allo stesso tempo, di presupporre la presenza di un interlocutore da sollecitare e convincere, anche in modo fittizio, o comunque ben sapendo che si tratta di una comunicazione solo formalmente privata, destinata in ultima istanza alla pubblicazione. Il dialogo consente di sottolineare invece, nel confrontoscontro degli argomenti, il conflitto tra il vecchio e il nuovo: si presta, insomma, a diventare un valido strumento di polemica metodologica, affidando al lettore il compito di riflettere, senza pregiudizi, sulla costante e faticosa ricerca della verità.

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Un mondo di carta

Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano, Seconda giornata


Nella prima giornata del Dialogo Simplicio, il testardo difensore delle teorie aristoteliche, ha respinto tutte le fondate argomentazioni propostegli dai suoi due interlocutori, i copernicani Salviati e Sagredo. Ora, in apertura della seconda giornata, ribadisce la sua fede incrollabile nella visione imposta dalla tradizione, rivendicando la propria cieca devozione al “principio di autorità”.

SIMPLICIO Io vi confesso che tutta questa notte sono andato ruminando le cose di
ieri,1 e veramente trovo di molte belle nuove e gagliarde considerazioni; con
tutto ciò mi sento stringer assai più dall’autorità di tanti grandi scrittori, ed in
particolare…2 Voi scotete la testa, signor Sagredo, e sogghignate, come se io dicessi
5 qualche grande esorbitanza.3
SAGREDO Io sogghigno solamente, ma crediatemi4 ch’io scoppio nel voler far forza di
ritener5 le risa maggiori, perché mi avete fatto sovvenire6 di un bellissimo caso,
al quale io mi trovai presente non sono molti anni, insieme con alcuni altri
nobili amici miei, i quali vi potrei ancora nominare.
10 SALVIATI Sarà ben che voi ce lo raccontiate, acciò forse il signor Simplicio non continuasse
di creder d’avervi esso mosse le risa.7
SAGREDO Son contento. Mi trovai un giorno in casa8 un medico molto stimato in
Venezia, dove alcuni per loro studio, ed altri per curiosità, convenivano9 tal volta
a veder qualche taglio10 di notomia11 per mano di uno veramente non men
15 dotto che diligente e pratico notomista. Ed accadde quel giorno, che si andava
ricercando l’origine e nascimento de i nervi, sopra di che è famosa controversia
tra i medici galenisti ed i peripatetici,12 e mostrando il notomista come, partendosi13
dal cervello e passando per la nuca, il grandissimo ceppo14 de i nervi si
andava poi distendendo per la spinale15 e diramandosi per tutto il corpo, e che
20 solo un filo sottilissimo come il refe16 arrivava al cuore, voltosi17 ad un gentil

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uomo ch’egli conosceva per filosofo peripatetico, e per la presenza del quale
egli aveva con estraordinaria diligenza scoperto e mostrato il tutto, gli domandò
s’ei restava ben pago e sicuro, l’origine de i nervi venir dal cervello e non dal
cuore;18 al quale il filosofo, doppo essere stato alquanto sopra di sé,19 rispose:
25 «Voi mi avete fatto veder questa cosa talmente aperta e sensata, che quando il
testo d’Aristotile non fusse in contrario, che apertamente dice, i nervi nascer dal
cuore, bisognerebbe per forza confessarla per vera».20
SIMPLICIO Signori, io voglio che voi sappiate che questa disputa dell’origine de i nervi
non è miga21 così smaltita22 e decisa come forse alcuno si persuade.
30 SAGREDO Né sarà mai al sicuro, come si abbiano di simili contradittori,23 ma questo
che voi dite non diminuisce punto24 la stravaganza della risposta del Peripatetico,
il quale contro a così sensata esperienza non produsse altre esperienze o
ragioni d’Aristotile, ma la sola autorità ed il puro ipse dixit.25
SIMPLICIO Aristotile non si è acquistata sì grande autorità se non per la forza delle
35 sue dimostrazioni e della profondità de i suoi discorsi: ma bisogna intenderlo,
e non solamente intenderlo, ma aver tanta gran pratica ne’ suoi libri, che se ne
sia formata un’idea perfettissima,26 in modo che ogni suo detto vi sia sempre
innanzi alla mente; perché e’27 non ha scritto per il volgo, né si è obligato a
infilzare i suoi silogismi28 col metodo triviale ordinato,29 anzi, servendosi del
40 perturbato,30 ha messo talvolta la prova di una proposizione fra testi che par
che trattino di ogni altra cosa: e però bisogna aver tutta quella grande idea,31 e
saper combinar questo passo con quello, accozzar32 questo testo con un altro
remotissimo; ch’e’ non è dubbio che chi averà questa pratica,33 saprà cavar da’
suoi libri le dimostrazioni di ogni scibile, perché in essi è ogni cosa.
45 SAGREDO Ma, signor Simplicio mio, come l’esser le cose disseminate in qua e in là
non vi dà fastidio, e che voi crediate con l’accozzamento e con la combinazione
di varie particelle trarne il sugo, questo che voi e gli altri filosofi bravi farete con
i testi d’Aristotile, farò io con i versi di Virgilio o di Ovidio, formandone centoni34
ed esplicando con quelli tutti gli affari de gli uomini e i segreti della natura.
50 Ma che dico io di Virgilio o di altro poeta? io ho un libretto assai più breve
d’Aristotile e d’Ovidio, nel quale si contengono tutte le scienze, e con pochissimo
studio altri se ne può formare una perfettissima idea: e questo è l’alfabeto;
e non è dubbio che quello che saprà ben accoppiare e ordinare questa e quella
vocale con quelle consonanti o con quell’altre, ne caverà35 le risposte verissime

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55 a tutti i dubbi e ne trarrà gli insegnamenti di tutte le scienze e di tutte le arti, in
quella maniera appunto che il pittore da i semplici colori diversi, separatamente
posti sopra la tavolozza, va, con l’accozzare un poco di questo con un poco
di quello e di quell’altro, figurando36 uomini, piante, fabbriche, uccelli, pesci,
ed in somma imitando tutti gli oggetti visibili, senza che su la tavolozza sieno
60 né occhi né penne né squamme37 né foglie né sassi: anzi pure è necessario che
nessuna delle cose da imitarsi, o parte alcuna di quelle, sieno attualmente38 tra
i colori, volendo39 che con essi si possano rappresentare tutte le cose; ché40 se
vi fussero, verbigrazia,41 penne, queste non servirebbero per dipignere altro che
uccelli o pennacchi.
65 SALVIATI E’ son vivi e sani alcuni gentil uomini che furon presenti quando un dottor
leggente42 in uno Studio famoso, nel sentir circoscrivere il telescopio,43 da sé
non ancor veduto, disse che l’invenzione era presa da Aristotile; e fattosi portare
un testo,44 trovò certo luogo dove si rende la ragione onde avvenga che dal fondo
d’un pozzo molto cupo si possano di giorno veder le stelle in cielo; e disse a
70 i circostanti: «Eccovi il pozzo, che denota il cannone; eccovi i vapori grossi, da
i quali è tolta l’invenzione de i cristalli; ed eccovi finalmente fortificata la vista
nel passare i raggi per il diafano più denso e oscuro».45
SAGREDO Questo è un modo di contener tutti gli scibili46 assai simile a quello col
quale un marmo contiene in sé una bellissima, anzi mille bellissime statue; ma
75 il punto sta a saperle scoprire: o vogliam dire che e’ sia simile alle profezie di
Giovacchino47 o a’ responsi degli oracoli de’ gentili,48 che non s’intendono se
non doppo gli eventi delle cose profetizate. […]
SIMPLICIO Io credo, e in parte so, che non mancano al mondo de’ cervelli molto
stravaganti, le vanità de’ quali non dovrebbero ridondare in pregiudizio d’Aristotile,49
80 del quale mi par che voi parliate talvolta con troppo poco rispetto; e
la sola antichità, e ’l gran nome che si è acquistato nelle menti di tanti uomini
segnalati, dovrebbe bastar a renderlo riguardevole appresso di tutti i letterati.
SALVIATI Il fatto non cammina50 così, signor Simplicio: sono51 alcuni suoi seguaci
troppo pusillanimi, che danno occasione, o, per dir meglio, che darebbero
85 occasione, di stimarlo meno, quando noi volessimo applaudere alle loro leggereze.52
E voi, ditemi in grazia, sete53 così semplice che non intendiate54 che
quando Aristotile fusse stato presente a sentir il dottor che lo voleva far autor
del telescopio, si sarebbe molto più alterato contro di lui che contro quelli che
del dottore e delle sue interpretazioni si ridevano? Avete voi forse dubbio che
90 quando55 Aristotile vedesse le novità scoperte in cielo, e’ non fusse per mutar

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opinione e per emendar i suoi libri e per accostarsi alle più sensate dottrine,56
discacciando da sé quei così poveretti di cervello che troppo pusillanimamente57
s’inducono a voler sostenere ogni suo detto, senza intendere che quando
Aristotile fusse tale quale essi se lo figurano, sarebbe un cervello indocile,58 una
95 mente ostinata, un animo pieno di barbarie, un voler tirannico, che, reputando
tutti gli altri come pecore stolide,59 volesse che i suoi decreti60 fussero anteposti
a i sensi, alle esperienze, alla natura istessa? Sono i suoi seguaci che hanno
data l’autorità ad Aristotile, e non esso che se la sia usurpata o presa; e perché
è più facile il coprirsi sotto lo scudo d’un altro che ’l comparire a faccia aperta,
100 temono né61 si ardiscono d’allontanarsi un sol passo, e più tosto62 che mettere
qualche alterazione nel cielo di Aristotile, vogliono impertinentemente63 negar
quelle che veggono nel cielo della natura. […]
SIMPLICIO Ma quando si lasci Aristotile, chi ne ha da essere scorta nella filosofia?64
nominate voi qualche autore.
105 SALVIATI Ci è bisogno di scorta ne i paesi incogniti e selvaggi, ma ne i luoghi aperti e
piani i ciechi solamente hanno bisogno di guida; e chi è tale, è ben che si resti in
casa, ma chi ha gli occhi nella fronte e nella mente, di quelli si ha da servire per
iscorta.65 Né perciò dico io che non si deva ascoltare Aristotile, anzi laudo66 il
vederlo e diligentemente studiarlo, e solo biasimo il darsegli in preda in maniera
110 che alla cieca si sottoscriva a ogni suo detto67 e, senza cercarne altra ragione, si
debba avere per decreto inviolabile; il che è un abuso che si tira dietro un altro
disordine estremo, ed è che altri non si applica più a cercar d’intender la forza
delle sue dimostrazioni.68 E qual cosa è più vergognosa che ’l sentir nelle publiche
dispute, mentre si tratta di conclusioni dimostrabili uscir un di traverso
115 con un testo, e bene spesso scritto in ogni altro proposito, e con esso serrar
la bocca all’avversario? Ma quando pure69 voi vogliate continuare in questo modo
di studiare, deponete70 il nome di filosofi, e chiamatevi o istorici o dottori di
memoria; ché non conviene che quelli che non filosofano mai, si usurpino l’onorato
titolo di filosofo. Ma è ben ritornare a riva, per non entrare in un pelago
120 infinito,71 del quale in tutt’oggi non si uscirebbe. Però,72 signor Simplicio, venite
pure con le ragioni e con le dimostrazioni, vostre o di Aristotile, e non con
testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo
sensibile, 73 e non sopra un mondo di carta.74

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      Dentro il testo

I contenuti tematici

Il brano si apre con un aneddoto riguardante un anatomista. Sagredo afferma che le parole di Simplicio, il quale si sforza di conciliare le nuove acquisizioni scientifiche con le teorie filosofiche del passato, lo fanno sorridere perché gli ricordano un bellissimo caso (r. 7) occorso durante una lezione di anatomia. In quell’occasione un peripatetico, cioè un seguace della dottrina aristotelica, davanti all’evidente smentita di una teoria relativa al sistema nervoso, affermò che avrebbe creduto a quella evidenza se solo Aristotele non avesse detto il contrario.
All’aneddoto Simplicio replica affermando che i testi di Aristotele dicono sempre la verità, ma sono difficili da interpretare, perché il filosofo greco nelle sue opere ricorre anche ad artifici logici molto complessi e articolati come l’ordine perturbato (r. 40), usato dagli antichi geometri greci. Tramite questo procedimento logico, Aristotele ha messo talvolta la prova di una proposizione fra testi che par che trattino di ogni altra cosa (rr. 40-41); perciò, per comprenderne gli scritti è necessario saper combinare insieme brani di varie sue opere, anche se trattano di argomenti diversi.
Tuttavia, nota Sagredo, un procedimento siffatto è decisamente privo di fondamento logico, e seguendolo chiunque può far dire qualsiasi cosa a qualsiasi testo, compresi i libri dei poeti e l’alfabeto stesso. Il passo citato si chiude con un invito a non studiare il mondo sui libri, ma direttamente, osservando la natura e i suoi fenomeni.

Il riferimento all’anatomista è probabilmente ispirato dalla forte influenza che esercitò Andrea Vesalio (forma italianizzata del nome del medico fiammingo André Vésale, 1514-1564) sull’ambiente culturale padovano e veneziano frequentato da Galilei. Vesalio è considerato il fondatore dell’anatomia, e proprio a Padova iniziò la carriera. Qui l’aneddoto è introdotto da Galileo per mostrare quanto siano forti le convinzioni degli aristotelici i quali, anche davanti all’evidenza del contrario, continuano a sostenere le posizioni del loro maestro. Qualcosa di simile era accaduto allo stesso Galileo quando, volendo illustrare a filosofi e accademici le prodigiose scoperte del cannocchiale, si era trovato spesso di fronte al loro rifiuto di accettare la realtà dei fatti.

Sebbene sappia che Aristotele ha torto in diverse sue conclusioni, Galileo ne stima comunque la statura intellettuale. Infatti per la comune propensione all’indagine diretta della realtà, egli si sente in qualche modo simile al filosofo greco, ma al tempo stesso lontanissimo dai suoi seguaci, in quanto, secondo lo scienziato pisano, questi ultimi non seguono affatto l’esempio del loro maestro, non essendo interessati a investigare la natura, ma soltanto a ripetere pedissequamente gli scritti aristotelici. In una lettera al suo amico Fortunio Liceti, Galileo scrive: «Io mi rendo sicuro che se Aristotele tornasse al mondo, egli riceverebbe me tra i suoi seguaci».

Le scelte stilistiche

Fin dalla prima battuta di questo passo si può notare quanto la forma dialogica sia per Galileo funzionale a drammatizzare l’esposizione dei contenuti. L’intervento di Simplicio, infatti, presenta un’interruzione brusca, nel momento in cui l’aristotelico si accorge che, mentre sta parlando, Sagredo sogghigna, trattenendo a stento le risa: Voi scotete la testa, signor Sagredo – esclama Simplicio –, e sogghignate, come se io dicessi qualche grande esorbitanza (rr. 4-5). Questa battuta porta il lettore a immaginare il vivace contesto in cui le parole vengono pronunciate.

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È infatti un dialogo avvincente, ricco di momenti ironici e di occasioni di scontro acceso, che fanno emergere la personalità degli interlocutori: l’ironia polemica e canzonatoria di Sagredo (io ho un libretto assai più breve d’Aristotile e d’Ovidio, nel quale si contengono tutte le scienze, e con pochissimo studio altri se ne può formare una perfettissima idea: e questo è l’alfabeto; non è dubbio che quello che saprà ben accoppiare e ordinare questa e quella vocale con quelle consonanti o con quell’altre, ne caverà le risposte verissime a tutti i dubbi e ne trarrà gli insegnamenti di tutte le scienze e di tutte le arti, rr. 50-55); la pacatezza ammonitrice di Salviati, che non rinuncia alla mordace sferzata finale (i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta, rr. 122-123); lo stolido dogmatismo di Simplicio, che non riesce a opporre che inconsistenti preconcetti formalistici.

      Verso le competenze

COMPRENDERE

1 Perché all’inizio del brano Simplicio è confuso? Quali pensieri lo assillano?


2 A quale scopo Salviati racconta l’aneddoto del cannocchiale?

ANALIZZARE

3 Oltre a quanto già indicato nell’analisi, individua altre parole ed espressioni di registro ironico.

INTERPRETARE

4 Inserisci nella seguente tabella le argomentazioni di Simplicio e quelle dei suoi due interlocutori.


Simplicio
Sagredo e Salviati
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

5 Per quale motivo certi aristotelici più tosto che mettere qualche alterazione nel cielo di Aristotile, vogliono impertinentemente negar quelle che veggono nel cielo della natura (rr. 100-102)?

PRODURRE

6 Immagina di intervistare i tre personaggi sugli argomenti affrontati nel loro dialogo, in modo da far risaltare i loro diversi punti di vista. Prepara al riguardo un testo espositivo di circa 30 righe.


Al cuore della letteratura - volume 3
Al cuore della letteratura - volume 3
Il Seicento e il Settecento