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  I beni culturali >> PROFESSIONE ARCHEOLOGO

IL CASO DI POMPEI

La mattina del 24 agosto del 79 d.C. il vulcano Vesuvio esplose in modo violento e improvviso, proiettando a un'altezza impressionante una nube di gas e lava che oscurò il cielo su tutta la zona.
La pioggia di cenere durò fino al giorno dopo e ricoprì interamente Pompei, una popolosa città romana. I cittadini tentarono di ripararsi nelle case o di fuggire, ma il 25 agosto ci fu una nuova, violentissima scarica di gas tossico e cenere ardente che rese irrespirabile l'aria e si infiltrò ovunque, impedendo la salvezza. La cenere finissima, depositata per uno spessore di circa 6 metri, avvolse ogni cosa.
Quando dopo due giorni la furia degli elementi si placò, Pompei era completamente cancellata, e così rimase per diversi secoli.

DI NUOVO ALLA LUCE

Dalla metà del Settecento si fece strada l'idea di esplorare l'area, soprattutto con l'intento di recuperare i tesori che potevano trovarsi sepolti nelle ville romane. Inizialmente si procedette in modo discontinuo in punti diversi della zona, senza un piano sistematico, ma Carlo di Borbone, re delle Due Sicilie, dette impulso agli scavi e cercò di valorizzare i monumenti messi via via a vista.
L'esplorazione di Pompei continuò anche quando Napoli fu conquistata dai Francesi, suscitando l'interesse di Giuseppe Bonaparte e del suo successore Gioacchino Murat, marito di Carolina, sorella di Napoleone. Carolina soprattutto favorì l'avanzare dei lavori con cospicui fondi personali, dando incarico di restituire completezza all'urbanistica dell'abitato e individuarne con precisione l'estensione, allora ancora ignota.

I CALCHI IN GESSO

Il metodo di lavoro cambiò radicalmente dopo l'Unità d'Italia, quando, nel 1861, la direzione degli scavi venne affidata all'archeologo Giuseppe Fiorelli, che collegò i nuclei già messi in luce e tenne resoconti di scavo dettagliati, lasciando inoltre sul posto i dipinti murali che precedentemente venivano invece staccati e portati al museo di Napoli. A lui si deve anche il metodo dei calchi in gesso, che consentì di recuperare l'immagine delle vittime dell'eruzione.

"... mentre si sgombrava un vicolo, il Fiorelli venne avvertito dagli operai che avevano incontrato una cavità, in fondo alla quale si scorgevano delle ossa. Ispirato da un tratto di genio, Fiorelli ordinò che si arrestasse il lavoro, fece stemperare del gesso, che venne versato in quella cavità e in altre due vicine. Dopo aver atteso che fosse asciutto, venne tolta con precauzione la crosta di pomici e di cenere indurita e vennero fuori quattro cadaveri."
Amedeo Maiuri, archeologo che partecipò alla campagna di scavo diretta da Giuseppe Fiorelli.

All'inizio del XX secolo, l'attività di scavo di Pompei procedette con nuovo impulso. Negli ultimi decenni, invece, si è progressivamente ridotta a causa delle poche risorse disponibili, concentrate per lo più sul restauro e la manutenzione degli edifici già portati alla luce.
Con i suoi 44 ettari di area scavata e grazie all'ottimo stato di conservazione dei suoi edifici, dovuto al veloce seppellimento, Pompei può dirsi l'unico sito archeologico che ci restituisce l'immagine di una città dell'antico Impero romano nella sua interezza.

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