LA "PITTURA D'AZIONE"
Nel 1950 il giovane fotografo Hans Namuth realizzò un servizio che ritraeva Pollock all'opera. Questa la descrizione del momento in cui entrò nel laboratorio: "Una tela coperta di colore ancora fresco occupava tutto il pavimento... Il silenzio era assoluto... Pollock guardò il quadro, quindi, all'improvviso, prese un barattolo di colore e un pennello e iniziò a muoversi attorno al quadro stesso. Fu come se avesse realizzato di colpo che il lavoro non era ancora finito. I suoi movimenti, lenti all'inizio, diventarono via via più veloci e sempre più simili a una danza mentre gettava sulla tela i colori..."
Il racconto del fotografo rende bene il concetto di action painting, la "pittura d'azione". Per Pollock la tela non è più uno spazio in cui riprodurre soggetti reali o immaginari, ma un'arena in cui entrare per lasciare affiorare attraverso il gesto le proprie pulsioni interiori.
L'artista si muove velocemente sulla tela distesa per terra mentre il colore gocciola dal pennello e produce sulla superficie schizzi che formano un groviglio astratto, un'immagine imprevedibile che non dipende né da progetti né da scelte coscienti dell'autore, ma è frutto del caso e di gesti automatici. È questa la tecnica del dripping, che letteralmente significa "gocciolamento".
La tecnica di Pollock ha molto in comune con quella degli indiani Navajo, che realizzano "dipinti di sabbia" muovendosi attorno a una superficie e versandovi sopra sabbie colorate. Si tratta di una forma d'arte legata a finalità religiose o a cerimonie rituali.