Tra arte e artigianato

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Tra arte e artigianato

Il corredo funerario

Per gli Egizi la morte non costituiva la fine della vita, ma un momento di passaggio verso un’altra forma di esistenza, che continuava nell’aldilà. Come abbiamo in parte già visto a proposito della statuaria, i corredi funerari erano ricchi di oggetti, molti dei quali erano destinati esclusivamente all’uso che il defunto ne avrebbe fatto dopo la morte. Questo tipo di produzione, a cavallo tra arte e artigianato, testimonia la grande abilità degli Egizi nella realizzazione di manufatti di uso quotidiano.
Per continuare a vivere, una volta nell’aldilà, l’anima doveva reincarnarsi nel proprio corpo, che per questo veniva imbalsamato. Le viscere erano trattate a parte e collocate dentro quattro vasi, chiamati canòpi, i cui coperchi riproducevano talvolta le fattezze del defunto, come nel caso dei canopi in alabastro del faraone Tutankhamon, disposti in un pregiato cofanetto diviso in quattro scomparti (33).
Il corpo del defunto veniva poi deposto in un sarcofago, a forma di parallelepipedo nelle epoche più antiche, antropoide (cioè di una forma simile a quella del corpo umano) dal Medio Regno in poi.
Secondo le possibilità economiche della famiglia, la salma poteva avere più di un sarcofago, uno all’interno dell’altro, per proteggere meglio la mummia. In pietra o in legno, i sarcofagi erano di solito riccamente decorati con iscrizioni e immagini di divinità, oltre a iconografie che variavano a seconda dell’epoca (34).
Gli Egizi credevano che, una volta arrivata nell’aldilà, l’anima fosse tenuta a eseguire i lavori nei campi. Per evitare che ciò accadesse, si deponevano nelle tombe piccole statuette chiamate ushabti (35), destinate a lavorare al posto del defunto. Le statuette si presentano come piccole mummie, con le braccia incrociate sul petto a reggere gli attrezzi agricoli. Sul corpo è di solito presente un’iscrizione con il nome e i titoli del defunto, oppure un capitolo del Libro dei Morti in cui si esorta l’ushabti a rispondere alla chiamata ai lavori.
Nelle tombe, infine, era fondamentale la presenza della stele funeraria (36), in pietra o in legno, che mostrava l’immagine del defunto, spesso accompagnato dalla famiglia. La stele aveva la funzione di assicurare le offerte funerarie da parte dei parenti attraverso la cosiddetta "formula dell’offerta" incisa o dipinta su di essa insieme a preghiere di vario tipo.

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Le arti minori

Le cosiddette arti minori, nell’antico Egitto, sono permeate dal gusto del "bello" e dall’interesse per la natura, che portano gli artigiani a sviluppare numerosi motivi decorativi tratti dall’osservazione del mondo animale e vegetale per impreziosire gli oggetti di vita quotidiana. Grazie alle materie prime offerte fin dall’epoca preistorica dalla vegetazione fluviale, dalla terra della valle del Nilo e dalla sabbia del deserto, gli artigiani egizi erano in grado di produrre veri e propri capolavori.
L’arredamento delle case egizie è a lungo costituito essenzialmente da semplici sedili o sgabelli e da tavolini. Con il Nuovo Regno, i mobili si arricchiscono di motivi ornamentali: compaiono sgabelli pieghevoli riccamente intarsiati con legni pregiati o addirittura con lamina d’oro (37) e letti (38) dotati di reti di corda e testata rialzata, con gambe a forma di zampa di toro o di leone e poggiatesta accuratamente imbottiti e decorati con figure (soprattutto il dio Bes, che si credeva proteggesse il sonno).
I contenitori per cibi e bevande erano in fibre vegetali, terracotta, legno, pasta vitrea e fayence (un amalgama vetrificato di colore azzurro). Vasetti e piccole ciotole di forme disparate contenevano prodotti per la cosmesi, come il kohl (39), sostanza nera utilizzata per truccare il contorno degli occhi. Fra gli oggetti da toilette finemente decorati spiccano i pettini, spesso a doppia dentatura, e gli specchi, che per la loro lucentezza alludevano al culto del dio sole Ra. Questi ultimi, in alcuni casi, erano vere opere d’arte, come lo specchio in oro e pietre dure con impugnatura a forma di papiro terminante con la testa della dea Hathor (40)
Gli Egizi utilizzavano la fayence, le pietre semipreziose (corniola, turchese e lapislazzuli) e l’oro soprattutto per realizzare gioielli. Fra i monili più caratteristici va ricordato l’ampio collare chiamato usekh (41), di uso sia femminile sia maschile, formato da numerosi giri di perline, cilindretti o altri elementi, spesso floreali. Diffusi erano anche bracciali, orecchini e anelli, nei quali erano spesso incastonate pietre a forma di scarabeo.

Dossier Arte plus - volume 1
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Dalla Preistoria all'arte romana