DOSSIER: Apollo di Veio

   dossier l'opera 

APOLLO DI VEIO

  • 510 a.C.
  • terracotta dipinta, h 181 cm
  • Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia (dal Tempio di Menerva a Portonaccio)

    Il tempo e il luogo 

    L'Apollo di Veio, rinvenuto agli inizi del Novecento nella località di Portonaccio, presso l'antica Veio, è considerato uno dei massimi capolavori dell'arte etrusca. Si tratta di una statua acroteriale in terracotta policroma, datata alla fine del VI secolo a.C. Essa era posta sulla trave di colmo del Tempio di Menerva e faceva parte di un gruppo scultoreo che raffigurava il mito della contesa tra Apollo ed Eracle per catturare la cerva di Cerinea, animale sacro alla dea. Le altre statue del gruppo ci sono giunte frammentarie.

    Al restauro della fine del secolo scorso, a cui la statua è stata sottoposta e che ne ha messo in evidenza la policromia, è seguito un lavoro di ricostruzione dell'intero gruppo acroteriale, che permette oggi di cogliere la maestosità del tempio veiense. 

    Secondo gli studiosi, il maestro che plasmò la statua era sicuramente di formazione ionica. Potrebbe essere Vulca, il famoso coroplasta al quale il primo etrusco di Roma, Tarquinio Prisco, commissionò la statua di culto del dio del Tempio di Giove Capitolino, oppure un artista della bottega veiente da lui fondata. 

    La descrizione e lo stile 

    La statua di Apollo, di grandezza pari a una figura umana, era alloggiata su un'alta base a zoccolo in funzione di acroterio, a circa 12 metri di altezza. La divinità, che indossa una tunica e un corto mantello, avanza tenendo il braccio destro proteso in avanti, leggermente piegato; il braccio sinistro, andato perduto, correva lungo il corpo, mentre la mano forse impugnava l'arco. Nella resa del panneggio, le linee marcate producono un effetto elegante ma allo stesso tempo innaturale. I particolari del volto e della capigliatura sono resi con attenzione calligrafica, ossia con una cura formale che porta a esiti antinaturalistici; nella resa della muscolatura delle gambe, invece, si percepisce maggiore attenzione per i dettagli anatomici. La presenza di lievi asimmetrie e rigonfiamenti (per esempio nel volto e nella cassa toracica), l'uso di profonde incisioni (che evidenziano i particolari rendendoli visibili da lontano) e gli elementi in rilievo servivano a correggere le deformazioni ottiche che si creavano guardando la statua da grande distanza e dal basso verso l'alto. I recenti restauri hanno permesso di analizzare le tecniche impiegate nell'applicazione del colore: la policromia era ottenuta calibrando le percentuali di ossido di ferro e manganese che, variate, davano il rosso, il giallo, il grigio e il nero con tonalità chiare e scure all'interno della stessa gamma di colore. 

    Dossier Arte plus - volume 1
    Dossier Arte plus - volume 1
    Dalla Preistoria all'arte romana