L’urbanistica e l'architettura civile

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L’urbanistica e l'architettura civile

La città

Non è sempre facile individuare l’impianto urbanistico originario delle città etrusche, a causa delle trasformazioni subite dopo la conquista romana e spesso anche in seguito, in epoca medievale e fino ai nostri giorni.

La fondazione era regolata da una serie di riti, in cui avevano un ruolo essenziale gli aruspici, indovini in grado di interpretare la volontà divina attraverso le viscere degli animali sacrificati, i fulmini e vari prodigi. Si iniziava tracciando il sulcus primigenius, il primo solco di vomere tirato da una coppia di buoi bianchi, lungo il futuro perimetro delle mura. Dal rituale dipendevano anche l’edificazione della cinta muraria, il numero di porte della città, l’ubicazione e l’orientamento dei templi e la dislocazione delle necropoli all’esterno dell’abitato.

Spesso gli insediamenti si adattavano alla natura irregolare dei colli su cui sorgevano, anche grazie alla realizzazione di terrazze artificiali. Le città dei territori meridionali di origine vulcanica (Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vulci, Orvieto) sorgono su pianori tufacei difesi naturalmente da scarpate incise dai corsi d’acqua, che venivano utilizzati per l’approvvigionamento idrico o come vie di comunicazione.

Nella zona settentrionale, per lo più collinare, le città si trovano sempre in posizione strategica su alture (Chiusi, Cortona, Roselle, Vetulonia, Volterra, Arezzo, Perugia). L’unico caso di affaccio diretto sul mare è il promontorio su cui sorge Populonia.

A partire dal VI secolo a.C. si afferma un impianto basato sull’incrocio di due assi viari perpendicolari: questa struttura urbanistica è applicata rigorosamente solo nel caso di fondazioni ex novo nelle quali la morfologia del terreno non è di impedimento.

Marzabotto (Bologna) (16-17), fondata alla fine del VI secolo a.C. nel territorio dell’Etruria padana, era un punto di snodo per i traffici commerciali attraverso l’Appennino. Sorge sulla base di un impianto ortogonale, mentre l’area sacra si trova sull’unica altura esistente. La zona residenziale e quella manifatturiera si organizzano per isolati regolari intorno a una grande arteria principale orientata da nord a sud e larga ben 15 metri, con carreggiata centrale, marciapiedi laterali e canaletti di scolo delle acque. Almeno tre strade laterali la incrociano ogni 165 metri. Il rinvenimento, all’incrocio di due strade principali, di un cippo con una croce graffita che indica i punti cardinali, mostra che l’impianto è il risultato di una precisa volontà di pianificazione.

Una struttura simile è stata scoperta a Gonfienti (Prato), sul versante opposto dell’Appennino Tosco-Emiliano: gli edifici sono disposti in lotti separati da strade larghe 10 metri e profondi canali separano le abitazioni per la regimazione delle acque del torrente Marinella e del Bisenzio, affluente dell’Arno.

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Le tecniche costruttive 

Lo sviluppo delle città comportò il perfezionamento delle tecniche di costruzione delle mura. Le due tecniche più usate erano quella isodoma (18), che utilizzava blocchi di pietra regolari, e quella poligonale (19), che impiegava pietre irregolari ma ben connesse tra loro. Tra le mura di cinta più imponenti ancora parzialmente conservate vi sono quelle di Fiesole, Cortona, Roselle e Vetulonia. Le porte di ingresso alle città erano in origine architravate, cioè realizzate con una trave orizzontale che univa gli elementi portanti. Dal IV secolo a.C. gli ingressi assunsero un aspetto monumentale, con strutture ad arco semicircolare (a tutto sesto). Un esempio noto e significativo di arco etrusco è la Porta all’Arco di Volterra (III-II secolo a.C.) (20), ben conservata e poco trasformata nei secoli. La Porta bifora di Cortona (21) è invece un esempio di porta monumentale a due fornici, cioè con due aperture semicircolari.



FOCUS

LE ORIGINI DELL’ARCO

La tecnica dell’arco è antichissima ed è difficile stabilire quale civiltà l’abbia introdotta; è corretto dire che si è sviluppata in varie zone senza l’influsso di un popolo sull’altro. Gli Egizi la impiegarono in alcune occasioni ma preferirono il sistema trilitico, probabilmente perché non compresero le possibilità tecniche e statiche offerte dall’arco. Ebbe invece importanza in Mesopotamia, dove furono costruite anche coperture a volta (come la Porta di Ishtar, ► p. 28). Mentre nei monumenti micenei si trovano pseudo-archi, pseudo-volte e pseudo-cupole, l’architettura greca ricorre quasi esclusivamente al sistema trilitico. Solo un monumento della Magna Grecia, la cosiddetta Porta Rosa di Elea (oggi Velia), presenta un arco a tutto sesto (IV secolo a.C.).

In Etruria le porte più antiche sono architravate ma si nota un’evoluzione che conduce alla costruzione di archi come quello della Porta di Volterra.
Furono però i Romani a cogliere tutte le potenzialità tecniche dell’arco e della volta e a ottenere grazie a questa tecnica costruttiva risultati originali dal punto di vista estetico e funzionale.



Porta Rosa, IV secolo a.C. Velia (Salerno).

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Le case e i palazzi

Le prime abitazioni etrusche risalgono all’Età del ferro ed erano semplici capanne di forma variabile (ellittica, circolare o rettangolare). Realizzate con materiali deperibili (legno e mattoni cotti al sole), non si sono conservate: possiamo farcene un’idea sia attraverso le urne cinerarie a capanna (22) che ne riproducono in scala ridotta la struttura, sia a partire dai fori per i pali di sostegno che si possono ancora oggi individuare sul terreno.

Le prime case costruite su basamenti in pietra risalgono al VII secolo a.C. e sono testimoniate dai rinvenimenti di Acquarossa, presso Viterbo (23). Il tetto, coperto da tegole in terracotta, poggiava su una trabeazione, retta nel senso della larghezza dalla muratura e, nel senso della lunghezza, da una lunga trave centrale. Sulla sommità si trovavano figure di terracotta, gocciolatoi a testa di animale e antefisse. Più tardi compaiono abitazioni dette case ad atrio, perché dotate di ambienti disposti attorno a un cortile interno, dove in una vasca che comunicava con il pozzo veniva raccolta l’acqua piovana. Gli scavi di Marzabotto e Gonfienti hanno dimostrato l’esistenza di abitazioni a due piani, con magazzini e vani di servizio al piano terra e la dimora privata al piano superiore.

Le decorazioni parietali di alcune tombe documentano le fogge dell’arredamento, degli utensili e del mobilio delle case etrusche: una delle più significative è quella della Tomba dei Rilievi di Cerveteri, della seconda metà del IV secolo a.C. (24), dove gli stucchi sulle pareti raffigurano arredi e utensili di ogni genere, dipinti con l’idea che il defunto potesse usarli nella sua vita ultraterrena.

Al periodo compreso tra il 630 e il 530 a.C. risalgono alcuni palazzi appartenenti ai principes etruschi, come quello di Murlo presso Siena. La pianta è quadrata, con ambienti che si affacciano su un ampio cortile interno circondato da porticati con colonne. Sul tetto del Palazzo di Murlo (25) erano poste delle statue acroteriali; terracotte architettoniche, in origine dipinte, decoravano l’esterno dei porticati con i temi cari alle classi d’élite: secondo un’ipotesi interpretativa rappresenterebbero l’assemblea di dèi e antenati, processioni matrimoniali, cavalieri e banchetti. La più nota è il cosiddetto “Cow-boy” dal caratteristico copricapo (26), risalente al VI secolo a.C.

Dossier Arte plus - volume 1
Dossier Arte plus - volume 1
Dalla Preistoria all'arte romana