Mark Rothko
Nell’ambito dell’Espressionismo astratto americano, accanto all’Action Painting di Jackson Pollock, si manifesta l’ulteriore tendenza della Color Field Painting (pittura per campi di colore), il cui carattere fondamentale non sta nel contenuto gestuale, ma nel prevalere del colore e nell’emozione che esso suscita nello spettatore. Il principale esponente di questa esperienza è Mark Rothko, pseudonimo di Marcus Rothkowitz (Daugavpils 1903- New York 1970) che nel 1913, ancora bambino, emigra con la famiglia, di origine ebraica, dalla nativa Lettonia (allora provincia dell’Impero russo) agli Stati Uniti. Dopo essersi dedicato a studi di matematica, letteratura e filosofia, frequenta la prestigiosa università di Yale, che tuttavia abbandona ben presto per dedicarsi completamente alla pittura, diventando uno dei più acclamati artisti statunitensi. Muore suicida nel 1970. Le sue prime realizzazioni, eseguite tra gli anni Trenta e i primi anni Quaranta, sono di matrice realista o surrealista, ma tra il 1946 e il 1949 egli inizia a elaborare progressivamente uno stile personalissimo nei cosiddetti multiforms: si tratta di quadri verticali di grande formato, in cui il colore è protagonista assoluto ed è steso in ampie macchie rettangolari dai contorni indefiniti; queste campiture, dapprima contrassegnate da gradi diversi di trasparenza, poi sempre più sature e intense, fluttuano su fondi monocromi che girano sui bordi della tela poiché per Rothko l’opera deve essere priva di cornice. L’autore desidera infatti che ogni elemento accessorio sia eliminato e che i suoi quadri siano esposti a poca distanza dal pavimento e in una luce soffusa; ciò per far sì che l’osservatore li veda in posizione di piena frontalità e non ne possa apprezzare immediatamente le dimensioni. Così chi guarda è coinvolto in un rapporto quasi “immersivo” con il linguaggio universale dei colori, che si libera dalla costrizione della forma per raggiungere un’intensità quasi sovrannaturale.