Dossier Arte - volume 3 

   7.  LE AVANGUARDIE STORICHE >> Astrattismi

“De Stijl”

Nel 1917 il pittore, architetto e teorico Theo van Doesburg (Utrecht 1883-Davos 1931) pubblica il primo numero di “De Stijl”, rivista che esce sino al 1931 e attorno alla quale gravitano pittori, scultori e architetti; fra il 1917 e il 1921 sono pubblicati tre manifesti programmatici del gruppo.
Non si può individuare una vera unità di intenti fra gli artisti di “De Stijl”: un tratto comune è tuttavia riconoscibile nel tentativo di far sì che l’arte abbandoni la dimensione individuale per rivolgersi all’universale. Oltrepassando i vincoli della tradizione, essa deve dar vita a una “Nieuwe Beelding” (Nuova arte plastica o Neoplasticismo), approfondendo dunque il rapporto con la realtà in una dimensione di impegno: occorre dunque confrontarsi con la nuova società di massa e quella industriale sviluppatesi nel dopoguerra. Dalle forme d’arte tradizionali (pittura, scultura, architettura), la riflessione si dilata verso la progettazione degli oggetti d’uso, in una chiave di relazione tra arte e industria, e verso una dimensione interdisciplinare che crea un terreno di incontro e condivisione tra arte e architettura, arte e artigianato. Van Doesburg desidera applicare i principi dell’arte neoplastica all’architettura, seppure i risultati raggiunti siano spesso rimasti a una dimensione progettuale. L’occasione si presenta nel 1922, a Weimar, dove incontra l’architetto olandese Cornelis van Eesteren (Kinderdijk 1897-Amsterdam 1988) con il quale progetta la Maison particulière (91), presentata alla mostra di “De Stijl” a Parigi nel 1923. L’architettura «è anticubica, cioè non si sforza di contenere le diverse cellule-spazio in un unico cubo chiuso, ma le spinge fuori dal centro del cubo, così che altezza, larghezza e profondità, più il tempo, diventano espressione completamente neoplastica in spazi aperti».
Nel 1919 si avvicina al gruppo Gerrit Rietveld (Utrecht 1888-1964). Già nel 1917 aveva creato la famosa Sedia rosso-blu (92), traduzione plastica e funzionale dell’estetica neoplastica. Nel 1924 egli porta a termine una delle costruzioni più rappresentative dell’architettura neoplastica: la Casa Schröder a Utrecht (93). Se il piano terreno è ancora tradizionalmente concepito attraverso una serie di stanze divise – cucina e tre camere da letto attorno a una scala centrale – il primo piano è invece una sorta di open space, uno spazio fluido e flessibile creato attraverso l’intersezione dinamica degli spazi che possono essere modulati e separati attraverso una serie di pannelli di legno scorrevoli. L’esterno si presenta come un ritmo di linee e forme e colori; le facciate sono bianche e grigie, gli infissi neri e altri elementi fanno ricorso all’utilizzo di colori primari che aumentano l’effetto di “plasticità” della costruzione.

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Dal Neoclassicismo ai giorni nostri