Antonio Sant’Elia e il Manifesto
dell’architettura futurista
La città moderna è al centro degli interessi dei futuristi, che narrano, sognano e auspicano una metropoli
pulsante, in continua trasformazione, un paesaggio tecnologico solcato da automobili, illuminato
dalla “luce moderna” delle lampade elettriche e percorso da cantieri e stazioni “ingorde divoratrici
di serpi che fumano”.
Non poteva certo mancare un manifesto futurista dedicato all’architettura. Fondamentale, in tal
senso, l’incontro di Marinetti con Antonio Sant’Elia (Como 1888-Monfalcone 1916).
Sant’Elia è influenzato dalla scuola viennese di Otto Wagner, architetto della Secessione. Nel 1907
si trasferisce a Milano, impiegato come disegnatore tecnico negli uffici del comune. In questi anni
inizia a realizzare tavole architettoniche caratterizzate da un’audace e insolita fantasia, per mezzo
delle quali sembra tradurre in immagine il mito della città futurista.
La città nuova
Nel 1913 elabora una serie di tavole che fanno parte del ciclo La città nuova(64),
dedicate allo studio di una città del futuro, con centrali elettriche, chiese (65),
palazzi a gradoni svettanti verso il cielo e ritmati da ascensori esterni a vista (66) e da scale mobili che creano tutta una serie di collegamenti nella città, non soltanto in superficie
ma anche in verticale
(67). Probabilmente è suggestionato dalle immagini dei grattacieli
di New York, che proprio allora iniziano a circolare sulle riviste illustrate.
Nel 1914 Sant’Elia firma il Manifesto dell’architettura futurista, dove la sua fantasia
e la sua utopia trovano una sistematizzazione scritta. Questo documento si articola in otto punti,
in cui, fra le altre cose, viene esaltato il ricorso in architettura a linee oblique
ed ellittiche per accentuare il dinamismo della costruzione, come pure l’utilizzo di materiali moderni – cemento
armato, ferro, vetro, cartone, fibra tessile, pietra e mattoni – che permettono di ottenere il massimo
dell’elasticità e della leggerezza nella costruzione. Un ulteriore punto del manifesto da evidenziare
è quello in cui viene esaltata la caducità e la transitorietà dell’architettura per permettere «un costante rinnovamento dell’ambiente architettonico».
La personalissima e mirabolante ricerca di Sant’Elia subisce purtroppo una precoce interruzione.
Convinto interventista, anch’egli si arruola, morendo in guerra nel 1916. Dei suoi progetti solo
uno verrà concretizzato. Si tratta del Monumento ai
caduti di Como realizzato postumo dall’architetto comasco Giuseppe Terragni (1931-1933). Tuttavia, i suoi progetti e
le sue idee imprimeranno un forte e indelebile impatto alle generazioni future di architetti.