Dossier Arte - volume 3 

   7.  LE AVANGUARDIE STORICHE >> Il Futurismo

Umberto Boccioni

Umberto Boccioni (Reggio Calabria 1882-Chievo 1916) è la figura di riferimento del gruppo. Teorico della pittura e della scultura futuriste, nel 1914 riunisce il suo pensiero in Pittura scultura futuriste: dinamismo plastico pubblicato nelle Edizioni futuriste di “Poesia”.
Nel 1901 è a Roma, dove avviene la sua formazione; conosce il giovane pittore toscano Gino Severini, e insieme frequentano lo studio di Giacomo Balla. A tal proposito, ricorderà qualche anno più tardi Severini, Boccioni «che sentiva a fiuto le persone di valore aveva scoperto Balla […] Fu Giacomo Balla divenuto nostro maestro, che ci iniziò alla nuova tecnica moderna del Divisionismo». Nel 1906, Boccioni e Severini compiono un viaggio a Parigi. Pur partendo da una formazione comune a quella di Severini, Boccioni si muove in tutt’altra direzione. Come Severini, tramite Balla, conosce la pittura postimpressionista e le coeve ricerche italiane divisioniste, ma dal maestro egualmente egli deriva un’attenzione verso tematiche sociali legate al lavoro.

Rissa in galleria

Dopo il viaggio a Parigi e un soggiorno a Venezia e a Padova, Boccioni si stabilisce a Milano dove, oltre ad approfondire lo studio della pittura divisionista, può immergersi nell’atmosfera di questa città moderna, in cui affiorano e convivono tutti gli aspetti sociali di una metropoli industriale in trasformazione. Ben presto l’artista si lascia coinvolgere dall’entusiasmo dirompente di Marinetti: lo conosce nel gennaio 1910, e subito aderisce al Futurismo. Il dipinto Rissa in galleria (52), realizzato proprio in quello stesso anno, sembra tradurre in pittura la foga, l’energia, il dinamismo declamati da Marinetti. «Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo – si legge nel Manifesto del Futurismo – l’insonnia febbrile, il passo da corsa, il salto mortale, lo schiaffo, il pugno… Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere e dalla sommossa; canteremo le maree multiformi e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne». In quest’opera Boccioni riflette sul dinamismo e sulla simultaneità della percezione tramite una scomposizione del colore che risente ancora della tecnica pointilliste. Una svolta sarà caratterizzata dall’opera La città che sale (► pp. 288-289), realizzata fra il 1910 e il 1911, che segna emblematicamente il passaggio verso una pittura futurista.

Gli stati d’animo

Un ulteriore passaggio nel percorso di Boccioni si evidenzia con Gli stati d’animo, trittico composto da Gli addii, Quelli che vanno e Quelli che restano ed elaborato in due versioni, fra il 1911 e il 1912. Questi dipinti non rappresentano una scena desunta dalla realtà esteriore, ma spostano l’attenzione sul piano delle sensazioni e delle emozioni, su qualcosa che non è fisicamente presente di fronte allo sguardo dello spettatore, ma che appartiene alla sfera immateriale, interiore. Gli stati d’animo declinano il tema della partenza in tre momenti e, attraverso tre punti di vista diversi, colgono i vari sentimenti e le sensazioni legati al commiato di coloro che partono e di quelli che restano.
Questo ciclo di lavori ha avuto una lunga gestazione, intervallata dal viaggio a Parigi che Boccioni compie con Carrà e Russolo per l’organizzazione della mostra futurista alla Galleria Bernheim-Jeune. Come osservato, durante questo soggiorno i futuristi entrano in contatto diretto con il Cubismo, ricerca pittorica conosciuta, sino ad allora, esclusivamente tramite le riproduzioni pubblicate sulla rivista “La Voce”. Per quanto Boccioni sia scettico verso questo movimento, di cui critica la staticità, ne rimane influenzato. Ad avvalorare questa constatazione, si possono confrontare le due tele de Gli addii, l’una precedente e l’altra successiva al viaggio nella capitale d’oltralpe. La prima (53) è ancora legata a influssi divisionisti, ma portati all’eccesso, fino a trasformare la struttura puntiforme in masse di colore pastoso e filamentoso, che contribuiscono a dare l’idea di angoscia derivante dalla separazione. Il dipinto, infatti, rappresenta delle persone che si abbracciano, salutandosi in una stazione ferroviaria. Nella seconda versione (54) si fanno evidenti le suggestioni cubiste, rielaborate da Boccioni in una dimensione di ricerca del tutto personale: la scomposizione dei piani e la moltiplicazione dei punti di vista desunte dal Cubismo vengono dinamizzate attraverso l’utilizzo delle linee-forza che accentuano il concetto di simultaneità. Da tutto ciò consegue un particolare rapporto di fusione tra la figura e l’ambiente.

La visione è frantumata dal moltiplicarsi dei punti di vista, presentandosi al nostro sguardo come attraverso un caleidoscopio. Il movimento degli abbracci convulsi della folla è risolto in un vorticare del colore, dove il tema dominante verde è percorso da scie fluttuanti di rosso, bianco e giallo. Sullo sfondo la città, al centro la locomotiva, perno visivo attorno a cui si costruisce la composizione, della quale si riconoscono il volume della caldaia e il fumo che si disperde. Essa è colta di profilo e di fronte insieme, con il numero identificativo del convoglio “6943” che rimane integro, come avviene nei dipinti cubisti, in cui lettere e numeri diventano cifra pittorica. Il tutto è innervato da sottili linee nere che trasformano il motivo della griglia cubista in un gioco dinamico di linee-forza.

Elasticità

Il secondo ciclo degli Stati d’animo è presentato alla mostra futurista tenutasi nel ridotto del Teatro Costanzi di Roma nel 1913, dove è altresì esposta Elasticità (55). Quest’opera raffigura un cavaliere al galoppo sullo sfondo di un paesaggio urbano. Qui luce, materia, colore e atmosfera si fondono in una sintesi di “dinamismo universale”, in cui si rappresentano allo stesso tempo i sobbalzi del fantino e il paesaggio che egli percepisce nella sua folle corsa: Boccioni mira a raffigurare il propagarsi del movimento nello spazio circostante. Come evidenzia il titolo, l’artista riflette sul concetto di elasticità, che definisce “legge di moto che caratterizza il corpo” e che, parallelamente, inizia a indagare nella dimensione scultorea. La realtà va afferrata nel suo infinito succedersi: proprio in questa ricerca l’oggetto si sdoppia, si moltiplica, in un costante, giustapposto rapporto oggettospazio, fatto di urti, incastri, “stati d’animo plastici” che interagiscono.

Dossier Arte - volume 3 
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Dal Neoclassicismo ai giorni nostri