DOSSIER: Fregio di Beethoven

   dossier l'opera 

Gustav Klimt

FREGIO DI BEETHOVEN

L’anelito alla felicità (prima scena).

L’ostilità delle Forze avverse (seconda scena).

La Musica (terza scena).

L’Inno alla gioia (quarta scena).

Il tempo e il luogo

La XIV Esposizione della Secessione è dedicata alla celebrazione del compositore Ludwig van Beethoven (1770-1827), occasione nella quale Klimt realizza un fregio di 24 metri che occupa un’intera sala dell’edificio. L’allestimento della mostra è curato dall’architetto Josef Hoffmann con la volontà di creare un insieme coerente tra spazio e opere, in modo da immergere lo spettatore in un’atmosfera avvolgente e poetica; sensazione amplificata il giorno dell’inaugurazione – 15 aprile 1902 – con l’esecuzione dell’Inno alla Gioia di Beethoven diretto da un altro grande musicista, Gustav Mahler (1860-1911).

La descrizione e lo stile

Klimt propone una complessa lettura simbolica della IX Sinfonia di Beethoven che ha inizio dalla sinistra, con L’anelito alla Felicità (la prima scena) rappresentato da tre figure nude, che incarnano la debolezza del genere umano, supplicanti la Forza, impersonata da un cavaliere in armatura che ha accettato la sua missione e guarda avanti sostenuto dalla Compassione e dall’Ambizione, le figure alle sue spalle.
La seconda parete è occupata dall’Ostilità delle Forze avverse riassunte dal gigante Tifeo, reso come un enorme gorilla che – con l’aiuto delle tre Gorgoni, simboleggianti Malattia, Pazzia e Morte, e della Lussuria, l’Impudicizia e l’Incontinenza – tenta di ostacolare la missione del cavaliere. L’affollamento di demoni della parte sinistra si stempera col procedere della scena, dove le spire infinite di un serpente fanno da sfondo alla figura tetra dell’Angoscia: una donna scheletrica appena coperta da un velo nero.
I desideri dell’uomo fuggono di fronte a queste forze soverchianti e volano verso la scena successiva, la terza, costruita su quasi 14 metri di parete grigio chiaro sulla quale si staglia la figura dorata della Musica.
La quarta scena rappresenta la conquista della felicità: l’Inno alla gioia è uno stato dell’animo raggiungibile solo attraverso la musica e la poesia. Come cita il catalogo stesso della mostra: «Le arti ci conducono fino al regno dell’ideale, ove soltanto possiamo trovare pura gioia, pura felicità, puro amore». Quest’ultimo episodio è scandito dalla successione di tre gruppi: una schiera di donne stagliate contro una fiamma dorata, il coro degli angeli del paradiso e l’abbraccio dei due amanti.
Al pari dei cartoni per Casa Stoclet a Bruxelles, il Fregio è un’opera sperimentale anche dal punto di vista tecnico: Klimt vi alterna infatti pastelli colorati a tratti a carboncino, porzioni di intonaco liscio a parti granulose, con l’aggiunta di sabbia al rilievo in foglia d’oro.
Attraverso l’alternanza tra pieni e vuoti, ovvero tra spazi con figure e spazi astratti, Klimt ricostruisce una sequenza ritmica che ricorda quella della musica e al contempo avvolge lo spettatore in una successione di intervalli parlanti, fondendo musica e pittura. Il Fregio gioca su alternanze continue: da un lato la forza del cavaliere – che pare avere i tratti dell’amico Mahler – e sulla parete opposta la Musica, ripiegata sulla sua lira, in un atteggiamento più riflessivo. Simbolicamente il Fregio mostra l’eterna opposizione tra il Bene e il Male e l’aspirazione al riscatto ideale attraverso l’estasi dell’arte e dell’amore. Lo stesso cavaliere, ora spoglio della sua corazza, abbraccia l’amata in un giardino incantato cosparso di piccole rose stilizzate. La figura femminile, protagonista dell’intera produzione di Klimt, passa nel Fregio da elemento del maligno a essere angelicato e salvifico, mantenendo però sempre un forte aspetto decorativo. 

Klimt crea una nuova maniera di intendere il dipinto monumentale, polimaterico e ornamentale, nel quale il piano eroico coincide con quello estetico. Mescola fonti differenti e lontane: nell’elaborazione del Fregio egli recupera il segno incisivo della pittura vascolare greca, lo svolgimento narrativo a parete dell’arte egiziana, la piattezza delle stampe di Hokusai e Utamaro, nonché la scultura africana evidente nell’orrifica figura di Tifeo.
Quando nel 1902 Auguste Rodin visita la mostra, rimane stupefatto dal senso di sacralità sprigionato dal Fregio e dalla simbiosi con l’edificio che lo ospita: «Non ho mai provato tanta emozione». E alla domanda dello scultore francese: «Il suo Fregio di Beethoven così disperato e felice; la vostra indimenticabile mostra, dove sembra di essere in un tempio; e poi questo giardino, queste donne, questa musica! E tutta questa gioia fanciullesca. Ma che cos’è?», Klimt risponde: «Austria». A prova di come il Fregio incarnasse il linguaggio dell’arte viennese d’avanguardia.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri