La Secessione viennese

   6.  LA BELLE ÉPOQUE >> L’Art Nouveau

La Secessione viennese

Il termine “secessione” significa scissione, distacco e, in ambito artistico, indica una presa di distanza dalle direttive dell’arte ufficiale da parte di gruppi di artisti intenzionati a rinnovare il gusto della propria epoca. Il panorama europeo di fine Ottocento è caratterizzato da numerosi episodi secessionisti, conseguenza della necessità di cambiamento avvertita su larga scala dagli artisti più progressisti: la prima in ordine tempo si manifesta il 26 novembre 1892 a Monaco di Baviera dove i secessionisti, capeggiati dal simbolista Franz von Stuck, si uniscono come associazione indipendente. Sul modello dell’iniziativa monacense, nel 1893 anche Berlino organizza la propria Secessione i cui protagonisti sono Max Liebermann (Berlino 1847-1935), Lovis Corinth (Tapiau 1854-Zandvoort 1925) ed Edvard Munch. Benché si manifesti più tardi, nella primavera del 1897, la Secessione viennese è però la più incisiva e strutturata, e dunque la più nota, perché scuote culturalmente la capitale dell’Impero austro-ungarico (15). Tra i fondatori della Secessione, oltre a Gustav Klimt (► p. 230), vanno ricordati Koloman Moser (Vienna 1868-1918), gli architetti Otto Wagner (Vienna 1841-1918) e Joseph Maria Olbrich (Troppau 1867-Düsseldorf 1908).

Palazzo della Secessione

Quest’ultimo è anche l’artefice del Palazzo della Secessione (16), destinato ad accogliere le mostre del gruppo. Seguendo le indicazioni dello stesso Klimt, Olbrich immagina un padiglione di forma cubica, sormontato da plinti che tengono una cupola a foglie d’alloro in rame dorato, in evidente rimando ad Apollo, dio delle arti. Il fogliame dorato è ripreso anche nella decorazione del fregio che corre attorno all’edificio. Lo spazio interno è altrettanto spoglio, suddiviso in tre ampie navate, e illuminato sia da finestre sia da ampi lucernari che costituiscono un’illuminazione ideale per l’esposizione delle opere. Il progetto risulta un compromesso tra le formule semplici della moderna funzionalità e alcune inflessioni decorative di duplice provenienza: da un lato la tradizione architettonica mitteleuropea vicina a forme egeo-cretesi, dall’altra un gusto floreale tipico dell’Art Nouveau internazionale. Olbrich progetta in realtà un tempio dedicato a una nuova divinità, l’arte. Non a caso sulla porta d’entrata campeggia la scritta “Al tempo la sua arte, all’arte la sua libertà”, suggerita dallo scrittore d’origine ungherese Ludwig Hevesi (1843-1910).

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri