Edvard Munch: la pittura come espressione della sofferenza interiore
Tanto l’opera di Ensor mette a nudo i mali della società quanto l’opera di Edvard Munch (Adalsbruk 1863-Oslo 1944) pare il riflesso delle tragiche vicende biografiche che lo affliggono fin dall’infanzia. Orfano di madre a soli cinque anni, durante l’adolescenza assiste alla lunga ed estenuante sofferenza della sorella, malata di tubercolosi. «Non ho mai superato l’infelicità di allora» ricorderà l’artista norvegese in età adulta. Nel 1881 si iscrive alla Regia Scuola di Arte e Design di Christiania, istituto fondato da un suo lontano parente. Due anni più tardi partecipa alla sua prima Esposizione collettiva e nel 1885 trascorre tre settimane a Parigi alla scoperta della pittura impressionista e soprattutto di Manet, la cui influenza è ravvisabile nelle sue prime prove. Ritorna a Parigi nel 1889, in occasione dei festeggiamenti per l’apertura dell’Esposizione Universale, dove può ammirare la pittura di Gauguin, Van Gogh e Toulouse-Lautrec, il cui uso spregiudicato e antinaturalistico del colore lo spingono a superare le posizioni impressioniste. Nel dicembre dello stesso anno la morte del padre lo getta in un profondo sconforto, fino a sfiorare il pensiero del suicidio. «Gli angeli della paura – dolore e morte – sono stati al mio fianco sin dal giorno in cui sono nato. Mi hanno seguito mentre giocavo – mi hanno seguito ovunque». Nel 1892 Adelsteen Normann (1848-1918), artista norvegese stabilitosi a Berlino, gli organizza la prima Esposizione personale nella capitale tedesca che viene però accolta come “un insulto all’arte” e chiusa dopo pochi giorni. Ciononostante, a Berlino Munch trova un ambiente amicale, internazionale e colto: decide perciò di stabilirsi in Germania fino al 1908, dando un apporto capitale allo sviluppo della Secessione berlinese (► p. 229).