DOSSIER: Le ninfee (Riflessi verdi)

   dossier l'opera 

Claude Monet

LE NINFEE (RIFLESSI VERDI)

Su un fondale verde violaceo – che rende la profondità e la densità dell’acqua – Monet lascia emergere le ninfee ormai sintetizzate per rapidi turbini azzurri appena riscaldati dal giallo e dal rosa.

Il tempo e il luogo

Nel 1890 Monet prende casa a Giverny, un tranquillo villaggio tra Parigi e la Normandia. L’abitazione è piuttosto modesta ma è circondata da un ampio terreno che Monet stesso trasforma in un magnifico giardino, tanto da affermare che «il mio capolavoro meglio riuscito è il mio giardino».
Nel 1893 fa costruire uno stagno che riempie di ninfee, fiore che diviene l’oggetto prediletto della sua speculazione pittorica, focalizzata esclusivamente sui mutamenti della luce e sull’effetto emotivo della pennellata, a dimostrazione ancora una volta che, agli occhi dell’artista impressionista, il soggetto è spesso pretestuoso rispetto al vero interesse: lo studio delle variazioni luministiche.
Al termine della Prima guerra mondiale la devastazione della Francia è tale da indurlo, nel novembre del 1918, a scrivere una lettera a Georges Clémenceau (1841-1929), amico ma soprattutto uomo di Stato che aveva portato la Francia fuori dal conflitto, per informarlo dell’intenzione di realizzare un grande monumento alla pace da offrire all’umanità. Nasce così la serie delle Ninfee, che saranno collocate negli spazi dell’Orangerie a Parigi nel 1927.

La descrizione e lo stile

Il processo verso l’astrazione delle Ninfee è lento, graduale: ne Lo stagno delle ninfee, armonia verde (1899) si riconosce ancora una tecnica canonicamente impressionista che, pur tenendo conto della presa diretta dal vero e del contrasto tra luci e ombre, definisce sia il folto giardino di salici e piante d’acqua sia il ponte giapponese, mentre le ninfee emergono attraverso rapidi tocchi di rosa. 

Con gli anni la speculazione di Monet si focalizza solo sullo stagno, eludendo il contesto, tanto da licenziare tele come Riflessi verdi (1914-1926), che sintetizzano la forma del fiore attraverso il solo colore. Nell’elaborazione finale delle Ninfee non vi è più alcuna traccia di disegno e prospettiva, né tanto meno di un bordo del dipinto: Monet azzera il limite fisico della tela. Rompe definitivamente con le regole della pittura di paesaggio quando rinuncia all’orizzonte, sovrappone i piani e disorienta l’osservatore con una soluzione cromatica di puro colore che sfiora l’astrazione.
L’altezza della tela – due metri – gioca un ruolo importante poiché lo spettatore viene inevitabilmente coinvolto dallo spettacolo di riflessi e vibrazioni tonali.
Negli ultimi anni, Monet dipinge pressoché nella cecità: ciò che riporta sulla tela, dunque, è probabilmente piuttosto fedele alla reale percezione che aveva del proprio giardino. Al di là comunque del rimando a una situazione fisica contingente, la serie delle Ninfee va contestualizzata in una Francia che usciva da una profonda industrializzazione e da una guerra giocata per la prima volta sul piano mondiale, due eventi che sconvolsero e mutarono profondamente la società. Le Ninfee divengono quindi in quest’ottica la metafora del frantumarsi delle certezze ottocentesche.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri