I macchiaioli

   3.  L’ETÀ DEL REALISMO >> Dall’Accademia al Realismo

I macchiaioli

Il termine “macchiaiolo” venne impiegato per la prima volta nel 1862 da un critico della “Gazzetta del Popolo” per individuare un gruppo di artisti, attivi a Firenze, che attorno al 1855 avevano iniziato un percorso di rinnovamento della pittura in senso verista. Per quanto sottendesse un giudizio dispregiativo, Telemaco Signorini comprese la potenzialità di tale epiteto e lo adottò per se stesso e per quel gruppo d’artisti che, attraverso una pittura “di macchia”, inseguivano un’alternativa alla norma accademica lanciandosi in appassionate discussioni ai tavolini del centrale Caffè Michelangelo.
Pur nelle differenti declinazioni personali, si possono individuare alcuni caratteri comuni nella ricerca pittorica dei macchiaioli: sulla scorta della rivoluzione realista di Courbet, anche gli italiani s’interessano a soggetti non convenzionali, come i paesaggi urbani, i momenti di vita borghese o contadina resi con effetti veristici, attraverso la diretta contrapposizione chiaroscurale. Le forme sono definite da ampie campiture, ottenute da una stesura uniforme del colore senza passaggi cromatici intermedi. La ricerca d’immediatezza porta questi artisti a scegliere situazioni di vita vissuta che conoscono per esperienza diretta e che immortalano dopo un lungo studio all’aria aperta, senza timore di lasciare alcune parti non finite. La pittura macchiaiola è fatta di luce e colore, combinati in un impianto prospettico rigoroso, e relega il disegno a un ruolo secondario. L’impostazione compositiva è dunque necessaria alla resa armonica del dipinto, basato unicamente sul contrasto cromatico: è infatti nell’uso in contrapposizione delle macchie che si definiscono i contorni.
Nel facile parallelismo con gli impressionisti, che contemporaneamente stavano portando avanti un percorso similare (► p. 122), è importante tenere conto dell’evidente presenza fisica della macchia che, grazie alla sua definizione, si differenzia dal tocco etereo della pittura impressionista.
Altro elemento di coesione del gruppo del Caffè Michelangelo è l’acceso patriottismo dei suoi membri: Giovanni Fattori partecipa ai moti rivoluzionari del 1848, nel 1849 Nino Costa difende Roma sul Gianicolo. Silvestro Lega combatte nella Seconda guerra d’indipendenza (1859), mentre Raffaello Sernesi viene ferito a morte nella Terza guerra d’indipendenza (1866). Giuseppe Abbati perde un occhio nella battaglia del Volturno (1860) e infine Telemaco Signorini è un volontario garibaldino.

Nino Costa

Giovanni Costa, detto “Nino” (Roma 1826-Marina di Pisa 1903), si avvicina alla pittura di paesaggio negli anni Cinquanta e, nonostante una formazione neoclassica, riesce a rendere i soggetti più umili della campagna romana con un lirismo profondamente realistico, fattore ancora piuttosto inedito nella pittura italiana. Nel 1859 si trasferisce a Firenze divenendo un supporto concreto nella ricerca linguistica dei macchiaioli, in particolare per Fattori, che ammise: «Se io sono divenuto artista con qualche poco di merito lo devo a Nino Costa».

Donne che imbarcano legna ad Anzio

Un dipinto come Donne che imbarcano legna ad Anzio (15), del 1852, anticipa già alcuni risultati della ricerca macchiaiola. In particolare sono evidenti la scelta di un formato allungato che permette alla veduta di dilatarsi nello spazio e l’osservazione diretta del paesaggio con una spiccata attenzione al dato atmosferico, evidente nel cielo percorso da nubi che occupa la metà della tela.

Dossier Arte - volume 3 
Dossier Arte - volume 3 
Dal Neoclassicismo ai giorni nostri