Leon Battista Alberti

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Leon Battista Alberti

Leon Battista Alberti (Genova 1406-Roma 1472), nato da una ricca e potente famiglia fiorentina esiliata in Liguria per motivi politici, incarna ai livelli più alti la figura dell’intellettuale umanista, e con la sua attività teorica influisce sugli sviluppi del Rinascimento in Italia e in Europa. I suoi interessi spaziano infatti dalle ricerche astronomiche e matematiche allo studio della lingua latina, in cui raggiunge una padronanza tale da consentirgli di pubblicare commedie e dialoghi che erano persino scambiati per testi antichi. 
Alberti è una figura chiave anche nel campo delle arti, sia come teorico sia nella veste di artista vero e proprio, attivo in pittura, scultura, architettura e musica.
Il padre muore prematuramente nel 1421, lasciando Leon Battista e il fratello, entrambi figli naturali, in ristrettezze economiche: sono probabilmente queste vicende relativamente travagliate a indurlo a vestire l’abito religioso e a iniziare la carriera ecclesiastica. Nel corso della sua esistenza soggiorna per lunghi periodi a Roma e a Firenze, nonché in alcune delle più importanti corti signorili del tempo: Ferrara, Rimini, Mantova.

I trattati teorici

Dal 1434 al 1443 vive per lo più a Firenze; sono questi gli anni in cui Alberti, che si sentiva profondamente legato alle origini fiorentine della propria famiglia, ha qui la possibilità di conoscere direttamente i protagonisti del primo Rinascimento, stringendo con alcuni di essi - in particolare con Filippo Brunelleschi - rapporti di duratura amicizia.
Non a caso proprio a Brunelleschi («il gran Pippo», come lui lo chiama) dedica il trattato De pictura, pubblicato in latino nel 1435, ma tradotto in lingua volgare l’anno seguente. Nella dedica, Alberti esalta la grande impresa brunelleschiana della cupola di Santa Maria del Fiore, descritta come grande e magnifica, «eretta sopra i cieli». Se spetta a Brunelleschi, come abbiamo visto e come Alberti giustamente sottolinea, l’invenzione della prospettiva lineare, è solo con il De pictura che gli esperimenti brunelleschiani raggiungono una perfetta codificazione formale (59). Così il testo di Alberti resterà per tutto il secolo un testo fondamentale di riferimento per gli artisti, non solo fiorentini, e soprattutto per i pittori, che vi troveranno, per esempio, le regole per costruire lo spazio prospettico, impostare le scene narrate, combinare tra loro le figure di un quadro. Nel trattato, inoltre, la pittura compare non più come un’attività eminentemente manuale, secondo la tradizione medievale, bensì analoga e assimilabile alle altre discipline letterario-filosofiche, strumento anch’essa di ricerca intellettuale.
La fama di trattatista rinascimentale di Alberti è affidata anche al De re aedificatoria, portato a termine in dieci libri nel 1450, ma stampato solo molti anni dopo la sua morte, nel 1485, a cura del poeta Agnolo Poliziano e su iniziativa di Lorenzo il Magnifico: si tratta del primo trattato teorico dedicato all’architettura dopo gli scritti classici dell’architetto romano Vitruvio, il più celebre teorico dell’architettura dei tempi antichi, vissuto nel I secolo a.C.
Se Alberti fu scrittore e teorico molto prolifico, il numero delle opere architettoniche che realizzò direttamente, senza ricorrere all’intervento di collaboratori, è relativamente ristretto; ciononostante, esse sono fra i capisaldi dell’architettura di questo periodo.

A Firenze architetto per i Rucellai

A Firenze, a partire dal 1439, Alberti lavora soprattutto per la raffinata famiglia mercantile dei Rucellai, la più potente del quartiere che gravitava intorno al convento domenicano di Santa Maria Novella.

Facciata di Santa Maria Novella 

Fu Giovanni di Paolo Rucellai a commissionare il completamento della facciata gotico-trecentesca della Basilica di Santa Maria Novella (60), che fino a quel momento risultava compiuta all’esterno solo nella fascia inferiore. In questa occasione l’Alberti dimostra un’eccezionale capacità nell’integrare i moduli rinascimentali all’interno della tradizione romanico-gotica fiorentina. Un aneddoto riferito dalle fonti racconta che l’architetto, ogni mattina, con il sole o con la pioggia, si recasse a piedi sulla collina a sud di Firenze dove sorge la Basilica di San Miniato al Monte (62), capolavoro del Romanico fiorentino, per studiare l’armonia e la simmetria delle tarsie marmoree a disegni geometrici della facciata; questo è significativo dell’ispirazione che gli artisti rinascimentali ancora potevano trovare in questo monumento esemplare dell’architettura fiorentina dell’XI secolo. Al tempo stesso, però, l’opera ideata da Leon Battista Alberti per Santa Maria Novella costituisce la prima facciata autenticamente rinascimentale di un edificio religioso, poiché risponde a un preciso ordine geometrico fondato sulla forma quadrata (61). Nello schema rigorosamente matematico della facciata il modulo quadrato risulta infatti suddiviso in ulteriori quadrati, secondo un principio che diverrà tipico dell’architettura rinascimentale. La parte inferiore della facciata gotica preesistente, che presentava un rivestimento a tarsie marmoree bianche e nere, appare oggi integrata da una fascia con gli stemmi dei Rucellai intarsiati nel marmo, poi da un altro registro a disegni geometrici, e ancora da un piano affiancato da due raffinati elementi architettonici a volute, e infine, alla sommità, da un timpano classicheggiante, coronato da un sole.

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Tempietto del Santo Sepolcro 

Nel 1447 Alberti riceve, sempre da Giovanni Rucellai, la commissione per progettare il nuovo palazzo fiorentino di via della Vigna, nel cuore del quartiere di Santa Maria Novella, che sarà portato a compimento nel decennio 1450-1460, con la collaborazione del giovane architetto e scultore Bernardo Rossellino. Per i Rucellai Alberti progetta anche la loggia che fronteggia il palazzo, e disegna un raffinato tempietto a tarsie marmoree, dedicato al Santo Sepolcro di Gerusalemme, nella vicina Chiesa di San Pancrazio (63).
L’originale struttura, destinata ad accogliere le spoglie di Giovanni Rucellai, ha pianta rettangolare, impostata sul rapporto aureo, ossia una relazione numerica tra altezza e larghezza nota e apprezzata fin dall’antichità per i rapporti di equilibrio che permette di creare tra le varie parti di un edificio.
Le pareti sono scandite da paraste (pilastri con funzione portante) corinzie scanalate e rivestite da pannelli quadrati decorati da tarsie marmoree. Come già nella facciata di Santa Maria Novella, le tarsie marmoree della decorazione si rifanno alla tradizione romanica fiorentina, regolarizzata e modernizzata: le formelle sono sobrie ed eleganti, con motivi decorativi in marmo bianco e verde ispirati al cerchio e ad altre figure geometriche, ripetuti in schemi simmetrici e regolari e intervallati da emblemi araldici.
Sulla cornice superiore corre un’iscrizione in eleganti caratteri classici, mutuati direttamente dalle iscrizioni romane, nella forma e nelle proporzioni.

Palazzo Rucellai 

Analoga ispirazione classica si ritrova nella residenza della famiglia. La facciata di Palazzo Rucellai (64), fra le realizzazioni più esemplari e imitate del Rinascimento fiorentino, trasmette un immediato senso di armonia, nonostante la notevole varietà data dagli elementi architettonici tratti dal passato, anche molto diversi tra loro. I tre piani sono separati da robuste cornici, mentre in verticale si susseguono varie lesene di ordine diverso: al piano terreno lesene doriche, al primo piano ioniche e corinzie al secondo. Questa sovrapposizione degli ordini classici deriva dagli edifici dell’antichità e si ispira al paramento esterno del Colosseo, ma anche agli esempi di architettura romanica fiorentina, come il Battistero, che presenta un’analoga combinazione di ordini architettonici. Le diverse partizioni mostrano una grande varietà nel trattamento delle superfici. Alla base dell’edificio è proposta una rievocazione dell’opus reticulatum di epoca romana, che qui è imitato nel suo effetto di decorazione a losanghe. Al piano terra il muro appare realizzato a conci levigati (cioè pietre lavorate, "acconciate") appena rilevati e irregolari nelle dimensioni, che ai piani superiori diventano più piccoli e di forma regolare. Le alte, severe finestre quadrate con inferriata del piano terra sono sostituite ai piani superiori da elegantissime bifore.

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A Rimini architetto per i Malatesta

Nel 1447 il signore di Rimini, Sigismondo Malatesta, invita Leon Battista Alberti a lavorare per la corte.

Tempio Malatestiano 

Secondo l'intenzione del committente, Sigismondo Malatesta, Alberti riceve il compito di trasformare una tipica chiesa gotica francescana, a navata unica, in un grandioso monumento che evochi la magnificenza di Roma antica e insieme celebri il suo patrono. Inizialmente il progetto prevedeva di modificare solo la prima cappella a destra della chiesa, dedicata a san Sigismondo, ma poi il disegno si estese fino alla trasformazione totale dell'edificio, che pur rimase incompiuto. Nella facciata (65) Alberti si ispira da una parte, ancora una volta, a San Miniato al Monte di Firenze, e dall'altra all'Arco di Augusto della Rimini antica, che segnava la fine, nella città romagnola, della via Flaminia, proveniente da Roma (66). Dalla chiesa romanica fiorentina il Tempio Malatestiano deriva i due ordini sovrapposti di grandezza diversa, raccordati da linee inclinate, secondo proporzioni che sono ormai radicalmente diverse in senso rinascimentale da quelle della facciata romanica. Più evidente, invece, il rapporto con l’Arco di Augusto: per l'uso della colonna che affonda per metà nel paramento murario, per l’evidenza data alla cornice in corrispondenza delle colonne, e per le incorniciature circolari. In questa sintesi di elementi classici e romanici, Alberti è però un architetto profondamente rinascimentale: si preoccupa infatti di stabilire una profondità prospettica che riesce a realizzare, a differenza dei monumenti antichi, differenziando lo spazio degli arconi. 
A seguito del declino politico dei Malatesta e di una rottura con Matteo de' Pasti, l'architetto e scultore (documentato dal 1444, morto a Rimini intorno al 1467) che si stava occupando dell'interno dell'edificio, Alberti lascerà incompiuta la facciata, che tuttavia ancora testimonia, nella ricchezza dei suoi motivi ispiratori, la profondità e la complessità della cultura del suo artefice. Una traccia di come avrebbe dovuto essere il progetto, se ultimato, si legge nella medaglia commemorativa eseguita proprio da Matteo de' Pasti (67), dove una grande cupola emisferica completa l'edificio. 

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A Mantova architetto per i Gonzaga

Alberti giunge a Mantova nel 1459, invitato dal marchese Ludovico III Gonzaga che intendeva abbellire la città in vista del Concilio: il signore chiama appositamente alla sua corte un artista, inaugurando, per la città di Mantova, una lunga stagione di rinnovamento in senso rinascimentale.

Chiesa di San Sebastiano 

Tra le rare realizzazioni architettoniche portate almeno in parte a compimento dall’Alberti stesso - o comunque più rispettose del suo progetto originale - spicca la Chiesa di San Sebastiano a Mantova (68), una delle realizzazioni del Rinascimento italiano più evocative del mondo antico, i cui lavori iniziano nel 1460. La chiesa, concepita come cappella privata dei signori di Mantova, ha una facciata singolare. La parte inferiore della facciata si articola su ampie aperture, per lo più ad arco, che trasmettono all’insieme un forte senso di leggerezza. La parte superiore rispecchia fedelmente l’originario progetto architettonico dell’Alberti, ed è inquadrata da due lesene di ordine gigante che si estendono per tutta l’altezza dell’edificio. La facciata è conclusa da un timpano poggiante sull’architrave spezzata. Come molti progetti albertiani, l’edificio fu lasciato incompiuto: consacrata solo nel 1529, la chiesa fu oggetto di un primo restauro già agli inizi del Seicento, e poi ancora nel 1926, quando furono arbitrariamente aggiunte le due scalinate, assenti nel disegno originale che prevedeva invece una scala sul lato sinistro. 
L’interno è un chiaro esempio di edificio religioso rinascimentale a croce greca (69) che diverrà per gli architetti successivi normativo: si articola intorno a un vano centrale, pressoché cubico e coperto da volta a crociera, da cui si dipartono tre corti bracci absidati di uguale misura.

Basilica di Sant'Andrea 

A Mantova l’Alberti progetta per i Gonzaga anche la Basilica di Sant’Andrea (70), edificata a partire dal 1472, anno della sua morte, in forme non sempre conformi al disegno originale. La famiglia desiderava costruire una nuova chiesa per il vicino convento benedettino, dove conservare la preziosa reliquia del sangue di Cristo: la costruzione doveva sia essere in grado di accogliere vaste folle di pellegrini, sia adattarsi agli edifici preesistenti nella zona, fortemente abitata.
La grandiosa facciata con l’altissimo arco centrale (fornice) richiama immediatamente sia i frontoni classici dei templi sia gli archi trionfali romani e ricorda in maniera particolare l’Arco di Traiano ad Ancona (71): esprime a pieno la concezione architettonica dell’Alberti, in cui il legame con la classicità rende l’edificio monumentale ed eroico. Come accadeva già per la facciata di Santa Maria Novella a Firenze, anche questa si può inscrivere all’interno di un quadrato e si conforma a precisi moduli geometrici. I vari elementi si raccordano tra loro in modo perfettamente armonico: l’arcata e l’intera facciata sono inquadrate da quattro lesene corinzie di ordine gigante, particolarmente gradito all’architetto toscano, che cioè si estendono per i due piani della facciata. Il profondo nicchione, che crea raffinati giochi di chiaroscuro, corrisponde all'altezza della navata e ancora non è chiara la sua funzione strutturale e decorativa, forse legata all'illuminazione interna della chiesa o anche al rituale di esposizione della reliquia del sangue di Cristo portato a Mantova, secondo la tradizione, dal centurione Longino. 
All'interno (72), la basilica a croce latina è costituita da un'unica grande aula ispirata alle basiliche romane, sui cui fianchi si alternano con ritmo regolare cappelle aperte da grandi archi e piccoli sacelli a cui si accede da porte rettangolari. La navata è coperta da un'unica, vastissima volta a botte, la più ampia struttura di questo tipo dall'antichità classica. 

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SCULTURA E ARCHITETTURA DEL PRIMO QUATTROCENTO

  • Luca della Robbia (1400 ca.-1482), pur avendo lavorato tutti i materiali, è noto soprattutto per le sue sculture in terracotta invetriata
  • Luca della Robbia e Donatello eseguirono le cantorie per il Duomo di Firenze, terminate nel 1438 e ispirate al Salmo 150: quella di Luca si distingue per la classica compostezza, quella di Donatello per il dinamismo e per le decorazioni policrome e polimateriche. 
  • Nanni di Banco (1380 ca. -1421) dimostra un interesse per l'arte classica paragonabile alle ricerche filologiche degli umanisti. 
  • Lo scultore senese Jacopo della Quercia (1371 ca.-1438) lavora anche a Lucca e in Emilia, unendo ricordi tardogotici a spunti classici.
  • Durante la prima metà del Quattrocento si sviluppa un modello di monumento funebre di ispirazione umanistica, con le opere di Donatello e Michelozzo, Bernardo Rossellino e Desiderio da Settignano. 
  • Leon Battista Alberti (1406-1472) fu un umanista di vasti interessi; autore di  trattati d'arte, si dedicò anche a progetti di architettura.
  • A Firenze, Alberti completa la facciata di Santa Maria Novella (1470) per i Rucellai, che gli commissionano anche il Tempietto del Santo Sepolcro e la facciata del palazzo di famiglia.
  • Alberti è attivo anche a Rimini (Tempio Malatestiano) e a Mantova (San Sebastiano e Sant'Andrea).

  DOMANDE GUIDA
1. Quali materiali furono utilizzati da Luca della Robbia?
2. Qual è l'atteggiamento di Nanni di Banco nei confronti dell'antichità classica?
3. Quali sono gli aspetti tardogotici e quali quelli classici nella scultura di Jacopo della Quercia?
4. Qual è la struttura tipica del monumento funebre quattrocentesco?
5. Per quali famiglie e corti lavorò Leon Battista Alberti come architetto?

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò