L’architettura della seconda metà del Seicento

   3.  IL SEICENTO >> Arte e stupore: il Barocco

L’architettura della seconda metà del Seicento

Il Barocco nasce e si sviluppa a Roma all’inizio del Seicento ma conosce, nel corso del secolo, una diffusione italiana e poi europea e infinite e variegate declinazioni locali, che attingono ai modelli romani ma insieme li innovano profondamente. Nell’Italia meridionale, a Napoli ma soprattutto a Lecce e in Sicilia, nuove progettazioni urbanistiche dall’intento scenografico e architetture fastosamente decorate cambiano il volto delle città. Qualcosa di analogo accade anche nell’Italia settentrionale, a Torino e a Venezia, per opera di due architetti: Guarino Guarini e Baldassare Longhena.

Lecce

Nell’Italia meridionale Lecce rappresenta un caso peculiare poiché conosce, a partire dagli anni Cinquanta del Seicento, un eccezionale sviluppo architettonico, caratterizzato da una decorazione fiorita che dà al centro cittadino l’aspetto di uno scenario teatrale. Dal punto di vista tecnico l’architettura leccese utilizza una pietra calcarea locale, dal colore che va dal bianco al giallo paglierino, facilmente lavorabile perché contiene un’ampia percentuale di argilla: in questo modo le decorazioni, con il passare degli anni, sembrano quasi sfaldarsi sotto gli agenti atmosferici, con un effetto di grande suggestione.

Piazza Duomo

Una delle realizzazioni urbanistiche più interessanti del Seicento leccese è la monumentalizzazione di piazza Duomo (93), un vasto piazzale chiuso per tre lati, a cui si arriva da uno stretto ingresso a cannocchiale marcato dai propilei, pilastri sormontati da balaustre che reggono statue in varie posizioni come se fosse una sorta di grandiosa quinta teatrale, creando un vero e proprio effetto scenografico. Con lo stesso scopo fu profondamente ristrutturato l’aspetto del duomo (Cattedrale di Sant’Oronzo) per opera di Giuseppe Zimbalo (Lecce 1620 ca.-1710), il maggiore esponente dell’architettura barocca salentina. La chiesa infatti non aveva la facciata che dava sulla piazza e chi arrivava dai propilei si trovava davanti il fianco dell’edificio. Il problema fu risolto addossando una "finta" facciata al lato lungo della chiesa (1659-1670), ricoperta di bassorilievi a motivi vegetali e animali e decorata con statue di santi tra pinnacoli, fiori, frutti e stemmi.

Santa Croce

Rappresenta bene lo stile architettonico che si diffonde in città anche la Chiesa di Santa Croce (94), cinquecentesca, ma completata nella sua facciata solo nel 1695 con un intervento che vede ancora una volta il ruolo fondamentale di Giuseppe Zimbalo. Il fronte esterno, fastosamente decorato, è diviso nettamente in due parti da una balconata molto aggettante, sorretta da mensole in forme femminili. La struttura a piani sovrapposti marcati da colonne addossate alla facciata ricorda gli esempi romani, ma l’architettura sembra in parte oscurata da un trionfo decorativo che quasi cancella le strutture. Oltre alle quattro grandi statue del piano superiore, e agli angeli della balconata, ogni dettaglio, dal rosone alle finestre e alle cornici marcapiano presenta bassorilievi con figure fantastiche, animali ed elementi vegetali, tutti descritti con minuzia e virtuosismo.

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Noto

Nel 1693 un violento terremoto devastò tutta l’area orientale della Sicilia, distruggendo le città di Noto e Ragusa e danneggiando profondamente Catania, già segnata da un’eruzione vulcanica nel 1669. Noto fu riedificata in uno stile barocco che combina una vasta progettazione architettonica e un’elegante decorazione, utilizzando in gran parte il lessico dell’architettura barocca romana. Si tratta di un caso quasi unico in Italia, in cui si scelse di spostare il centro urbano a otto chilometri dall’insediamento originario e di ispirarsi a criteri di razionalità e simmetria. Il nuovo insediamento è diviso in modo chiaro in due parti, con un reticolo ordinato di strade e piazze per le sedi del potere amministrativo e religioso, nettamente distinto dai quartieri popolari. Palazzi, chiese e conventi utilizzano tufo e pietra calcarea locale dalle sfumature gialle e ambrate, un materiale che crea spettacolari effetti luministici al tramonto.

Cattedrale di San Nicola

Nel centro della città una scalinata a tre rampe nasconde un dislivello del terreno e conduce da piazza del Municipio alla Cattedrale di San Nicola (95), circondata da imponenti palazzi. La facciata della chiesa, in tenera pietra calcarea, iniziata immediatamente dopo il terremoto nel 1693 ma completata solo nel Settecento, è racchiusa da due alte torri che sembrano bloccare la dilatazione e il movimento orizzontale impresso dalla cornice fortemente aggettante, e movimentata dall’apertura di tre maestosi portali inquadrati da colonne corinzie. Nuovamente distrutta nel 1996, quando crollarono i pilastri della navata centrale, trascinando con loro la cupola e l’intera aula della chiesa, fu ricostruita e restaurata secondo il progetto della fine del Seicento, utilizzando sia i materiali originari sia le tecniche costruttive antiche.

Monastero di San Salvatore e Chiesa di San Francesco

L’architetto Rosario Gagliardi (Siracusa 1682 ca.-Noto 1762) ebbe un ruolo fondamentale nella ricostruzione di Noto e nella pianificazione in senso scenografico della nuova città barocca. Con caratteri analoghi alla piazza della Cattedrale, progettò la piazza dove si trovano, da un lato, il Monastero di San Salvatore, nel cui severo e massiccio fronte si aprono, tra la trabeazione dorica, eleganti finestre decorate, e al centro la movimentata scalinata a tre rampe che conduce alla Chiesa di San Francesco e dell’Immacolata (96), edificata a partire dal 1704 sempre a opera di Gagliardi. Al termine della scalinata la facciata della chiesa sembra una quinta scenica, armoniosa ed elegante, monumentalizzata dal portale inquadrato da colonne.

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Torino: Guarino Guarini

Guarino Guarini (Modena 1624-Milano 1683) fu teorico, docente e architetto, dotato di un’esperienza internazionale vastissima e profondamente legato all’Ordine dei teatini di cui è membro dal 1639: anche se molto della sua opera è andato perduto, con gravissimo danno per una piena ricostruzione dell’arte in età barocca, quel che resta attesta sufficientemente il livello raggiunto dal grande artista.
Nato a Modena ma educatosi a Roma, Guarini subisce certamente il durevole influsso di Borromini, di cui riprende molte idee e a cui si ispira da vicino in tante sue creazioni. Docente di filosofia, teologia e matematica, Guarini è un viaggiatore infaticabile e compie esperienze determinanti tra Messina, Praga, Lisbona e Parigi. Vive la stagione più feconda della sua carriera a Torino, dove la casa regnante dei Savoia sta riorganizzando l’assetto urbanistico e monumentale della città, divenuta nel 1563 capitale del Ducato di Savoia.

Chiesa di San Lorenzo

Per conto della famiglia regnante, che intende celebrare una vittoria militare conseguita proprio nel giorno della festa di san Lorenzo, Guarini progettò il completamento della chiesa omonima (97), tra il 1668 e 1680: l’edificio, che si presenta senza facciata, probabilmente per non spezzare la simmetria di piazza Castello, ha una pianta centrale in cui un quadrato racchiude al suo interno un ottagono. Spettacolare è la cupola (98), in cui la luce filtra da otto grandi finestre a illuminare un sistema di nervature intrecciate che disegnano, sulla superficie interna, una stella a otto punte di derivazione islamica e inquadrano, nella parte terminale, un ottagono su cui appoggia la lanterna.

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Cappella della Sindone

Per i Savoia Guarini progetta dal 1666 la Cappella della Sindone nel duomo. Quando mette mano al progetto, tra i più belli e spettacolari dell’intera cultura barocca europea, ha appena pubblicato a Parigi il trattatello Placita Philosophica, dove sviluppa non solo le sue teorie speculative inerenti all’architettura, ma più in generale una complessa concezione cosmologica, ancora fortemente geocentrica in opposizione ai progressi della moderna scienza galileiana. La Cappella della Sindone è, in contrasto con le sue idee teoriche, un capolavoro audace e straordinariamente moderno, che non trova confronti nemmeno nelle spericolate creazioni di Borromini. Se egli rappresenta l’ultimo esponente di generazioni di espertissimi costruttori, abituati a lavorare con le mani e a misurarsi con i più complessi problemi tecnici e strutturali, Guarini è una figura coerente con la nuova impostazione della cultura architettonica della seconda metà del Seicento che prevede una duplice competenza dell’architetto, esperto non solo nel disegno ma anche nella filosofia progettuale, come attesta anche il suo trattato Architettura civile, apparso postumo nel 1737, con riflessioni teoriche sul suo ruolo di costruttore, e soprattutto una ricca documentazione grafica sui progetti mai portati a termine o distrutti.
Nella cupola della Cappella della Sindone, rompendo una tradizione secolare di studio e riproposizione dei modelli classici e guardando sia alla tradizione del Gotico europeo, sia all’architettura araba e spagnola, che poteva aver conosciuto nel corso dei suoi viaggi in Sicilia e Andalusia, Guarini concepisce l’idea della scalata verso il cielo con mentalità del tutto analoga (persino in parziale anticipo) a quella di Pozzo nell’affresco della volta della Chiesa di Sant’Ignazio. Alla cappella si accede da due portali in marmo nero posti dietro l’altare maggiore del duomo: dai portali partono due scalinate sempre in marmo nero che introducono ad altrettanti vestiboli circolari. Il complicato sistema d’accesso crea attesa e stupore nello spettatore, preparandolo - anche attraverso il variare degli effetti luministici - allo spazio in cui sta per entrare. La cappella vera e propria è destinata a ospitare la Sindone, un lenzuolo di lino, la cui presenza a Torino è documentata dalla metà del Cinquecento, e sul quale è visibile l’immagine di un uomo: secondo la tradizione cristiana si tratta del lenzuolo usato per avvolgere il corpo di Cristo nel sepolcro. Sopra la base circolare della cappella si innalza un tamburo in mattoni a pianta poligonale con sei grandi finestroni. Al di sopra, la copertura è sorretta da costoloni, che si intrecciano frantumando la superficie della cupola in una vertiginosa salita verso l’alto che è stata definita una "pagoda di marmi neri" (99). La parte terminale contiene un traforo a stella (100) che lascia filtrare la luce e crea effetti di grande varietà, grazie anche ai diversi colori dei materiali utilizzati: il pavimento è di marmi bianchi e neri, nera è la parte più bassa del tamburo, mentre, via via che si procede verso l’alto, ad accentuare il verticalismo della struttura, l’architetto usa colori sempre più chiari .

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Palazzo Carignano

Duraturo fu l’influsso del Guarini nel campo dell’architettura civile, a partire dal torinese Palazzo Carignano (101), costruito per ordine di Emanuele Filiberto il Muto: i lavori iniziarono nel 1679 e si conclusero nel 1685. Guarini progettò un edificio dalla pianta a U (102) ed una singolare struttura architettonica: la facciata presenta una torre ellittica, maggiormente visibile dall’interno del cortile (103), ma distinguibile anche dal lato della piazza poiché si fa spazio sinuosamente nel paramento murario che alterna sezioni concave e convesse e richiama, anche nell’uso del laterizio a vista e delle spesse paraste, l’Oratorio dei Filippini di Borromini.
L’accelerazione impressa da Guarini alle forme architettoniche dà origine a una scuola degnissima che lo segue ben oltre i confini del secolo e si traduce nella grande architettura del Nord Italia della prima metà del Settecento: come emerge dai suoi scritti, il suo stile è un tentativo di recuperare, insieme, sia l’Antico sia il Gotico, per ricostruire un’idea compositiva e strutturale che da un lato è moderna e spericolata, ma dall’altro mostra i sedimenti di un passato glorioso e ancora attuale nel tessuto urbano delle città italiane: si tratta di uno stile personalissimo, che pare sfuggire alle classificazioni storico-artistiche.

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Venezia: Baldassare Longhena

Dopo la grande stagione artistica rinascimentale, nella prima metà del Seicento Venezia conosce un forte rallentamento delle commissioni architettoniche, pubbliche e private. La Basilica di Santa Maria della Salute, opera principale di Baldassare Longhena (Venezia 1596 ca.-1682), rappresenta, in questo contesto di stagnazione e ripiegamento, un’importante eccezione. L’originaria formazione di "tagliapietre", ossia di modesto carpentiere, di Longhena si arricchisce di contenuti grazie all’apprendistato presso l’architetto e trattatista Vincenzo Scamozzi, protagonista dei cantieri veneziani dopo Iacopo Sansovino e Andrea Palladio, per il quale segue la costruzione del Teatro Olimpico di Vicenza.

Santa Maria della Salute

La commissione della Basilica di Santa Maria della Salute (104) nasce direttamente dal governo cittadino come ringraziamento alla Vergine per la fine della pestilenza (1629-1630). Fra gli undici progetti presentati vince la proposta di Longhena che accoglie le indicazioni delle autorità veneziane, particolarmente attente al rispetto degli aspetti liturgici e cerimoniali, determinanti per la definizione dello spazio sacro: si tratta di una pianta che rende omaggio sia alla lontana tradizione bizantina della Basilica di San Marco sia alle architetture cinquecentesche di Andrea Palladio, secondo un linguaggio tipicamente veneziano e alternativo a quello romano. La chiesa, iniziata nel 1631, si innalza su un alto podio che ne aumenta la visibilità dal Canal Grande ed è un complesso organismo a pianta centrale (106). L’interno è dominato dalla vasta aula ottagonale coperta a cupola (105)   ,su cui si innesta uno spazio absidato che accoglie l’altare maggiore coperto da una cupola più piccola. A questo spazio si connette un ulteriore corpo di fabbrica a pianta rettangolare destinato a coro per i religiosi. I lati dell’ottagono centrale si dilatano in cappelle rettangolari che si affacciano su un ampio deambulatorio, scandito da setti (cioè elementi verticali) murari arricchiti da doppie paraste e semicolonne su cui si impostano ampie volte a crociera. Verso l’interno, otto colonne si innalzano su un alto piedistallo e sostengono la trabeazione che, anche visivamente, contribuisce a rafforzare il concetto di continuità spaziale espresso dalla pianta centrale dell’aula.
All’esterno, la composizione del fronte d’ingresso richiama l’arco di trionfo classico, con grande esuberanza decorativa. Gli altri fronti esterni, corrispondenti alle cappelle laterali, presentano paraste e nicchie, oltre a un’ampia finestra termale (apertura semicircolare divisa da elementi verticali), tema antiquario ampiamente valorizzato in area veneta da Palladio nella seconda metà del Cinquecento. Di grande originalità sono gli elementi di connessione fra il tamburo e il corpo dell'aula ottagonale, costituiti da ampie volute sormontate da statue, tutti elementi che enfatizzano il ruolo della chiesa come nodo visivo nel paesaggio lagunare di Venezia.

Ca' Pesaro

Pur in un contesto cittadino ormai lontano dai fasti cinquecenteschi, Longhena si trovò a lavorare anche per committenti privati: tra il 1652 e il 1682, anno in cui Longhena morì, realizzò per la famiglia Pesaro il grandioso palazzo affacciato sul Canal Grande (107), completato secondo il progetto originale dopo la morte dell'architetto. La residenza, una delle più grandiose tra quelle affacciate sulla principale via d'acqua cittadina, è imponente e riccamente decorata, con la facciata principale impreziosita da bassorilievi e statue dalla forte connotazione plastica, che creano notevoli chiaroscuri e ben si integrano con i riflessi lagunari. Il pianterreno ha una decorazione a bugnato a diamante, molto sporgente, mentre i piani superiori sono caratterizzati dalla presenza di sette archi a tutto sesto, separati da colonne sporgenti che si raddoppiano in corrispondenza dei muri portanti, con uno scenografico effetto di alternanza di pieni e di vuoti, che ritorna anche nella decorazione del cortile (108).  

Dossier Arte - volume 2
Dossier Arte - volume 2
Dal Quattrocento al Rococò