San Giorgio Maggiore
Lungo l’arco degli anni Sessanta l’architetto si dedica anche alla progettazione di alcuni edifici religiosi. Così, dopo un primo incarico per la realizzazione del refettorio del Monastero di San Giorgio Maggiore a Venezia, riceve anche il compito, a partire dal 1565, di costruire la chiesa per gli stessi padri benedettini (145-146).
Andrea progetta una basilica a croce latina a tre navate (147), con quella centrale coperta da una magniloquente volta a botte lunet-tata che prende luce da ampie finestre termali (cioè aperture semicircolari tripartite verticalmente, come nelle strutture termali romane), ripetute in quelle laterali. Di grande interesse è la soluzione del centro croce, coperto da una cupola innalzata su un alto tamburo: si tratta di un assetto in pianta che sembra tradurre su scala ridotta alcune delle riflessioni messe a punto in ambiente romano per la progettazione della Basilica di San Pietro. La composizione dell’area presbiteriale vede l’unione della parte destinata all’altare maggiore, a pianta quadrata su un ampio podio, con un profondo coro riservato alla comunità religiosa, a creare corpo a sé stante. Questa parte della chiesa presenta anche una diversa qualificazione degli alzati: se nelle navate lo spazio è scandito da un ordine gigante di semicolonne, nel coro, più basso rispetto alla chiesa, si hanno edicole contenenti alternativamente nicchie e finestre.
La facciata - realizzata solo dopo la morte di Palladio dal già ricordato Vincenzo Scamozzi nel sostanziale rispetto dei disegni del maestro - ne accentua il richiamo alle forme di un tempio antico; il tetrastilo di ordine composito, con piedritti impostati su piedistalli, sostiene a sua volta un timpano coronato da statue: questa struttura aggettante, corrispondente di fatto alla navata centrale, sembra interrompere la continuità di un’altra cornice, più estesa, che si costituisce come un secondo frontone, destinato a coprire le navate laterali.
Nel magniloquente impaginato del fronte rimangono problemi di organicità e integrazione fra i due ordini, soprattutto nel passaggio fra le semicolonne giganti più esterne e le paraste dell’ordine minore.
Andrea progetta una basilica a croce latina a tre navate (147), con quella centrale coperta da una magniloquente volta a botte lunet-tata che prende luce da ampie finestre termali (cioè aperture semicircolari tripartite verticalmente, come nelle strutture termali romane), ripetute in quelle laterali. Di grande interesse è la soluzione del centro croce, coperto da una cupola innalzata su un alto tamburo: si tratta di un assetto in pianta che sembra tradurre su scala ridotta alcune delle riflessioni messe a punto in ambiente romano per la progettazione della Basilica di San Pietro. La composizione dell’area presbiteriale vede l’unione della parte destinata all’altare maggiore, a pianta quadrata su un ampio podio, con un profondo coro riservato alla comunità religiosa, a creare corpo a sé stante. Questa parte della chiesa presenta anche una diversa qualificazione degli alzati: se nelle navate lo spazio è scandito da un ordine gigante di semicolonne, nel coro, più basso rispetto alla chiesa, si hanno edicole contenenti alternativamente nicchie e finestre.
La facciata - realizzata solo dopo la morte di Palladio dal già ricordato Vincenzo Scamozzi nel sostanziale rispetto dei disegni del maestro - ne accentua il richiamo alle forme di un tempio antico; il tetrastilo di ordine composito, con piedritti impostati su piedistalli, sostiene a sua volta un timpano coronato da statue: questa struttura aggettante, corrispondente di fatto alla navata centrale, sembra interrompere la continuità di un’altra cornice, più estesa, che si costituisce come un secondo frontone, destinato a coprire le navate laterali.
Nel magniloquente impaginato del fronte rimangono problemi di organicità e integrazione fra i due ordini, soprattutto nel passaggio fra le semicolonne giganti più esterne e le paraste dell’ordine minore.