Cimabue

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Cimabue

Cenni di Pepo o Pepe (Firenze 1240 ca.-Pisa o Firenze 1302), detto Cimabue, è considerato il fondatore della tradizione pittorica di Firenze. La sua fama è legata anche ai noti versi che Dante (Purgatorio, XI, 91-96) fa pronunciare al miniatore Oderisi da Gubbio e che registrano il passaggio di testimone tra lui e Giotto: «Oh vana gloria de l’umane posse! / Com’ poco verde in su la cima dura, / se non è giunta da l’etati grosse! / Credette Cimabue ne la pittura / tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, / sì che la fama di colui è scura». Pur essendo ancora legato alla tradizione bizantina, Cimabue seppe introdurre importanti innovazioni e varianti.

Tra Pisa e Roma

A metà del Duecento Pisa era il principale centro della Toscana, sia dal punto di vista politico-economico sia da quello artistico. Cimabue, quindi, guardò fin dall’inizio ai pittori di quella città, per la quale lavorò almeno in due occasioni. Egli soggiornò anche a Roma, dove si trovò, secondo una delle poche notizie biografiche certe, nel 1272; qui però non restano sue opere. Nello stesso periodo si trovava a Roma anche Arnolfo di Cambio: è possibile che la visione diretta delle rovine antiche e la conoscenza del grande scultore, così interessato all’arte classica, abbiano contribuito a far maturare l’arte del pittore fiorentino, che aggiunge nuovi stimoli alla radice bizantina.

Madonna in maestà e sei angeli

Al ritorno da Roma, Cimabue dipinse una grande pala con la Madonna in maestà e sei angeli (63) per la Chiesa di San Francesco a Pisa, giunta al Museo del Louvre a Parigi nel periodo napoleonico. Nella tavola, che conserva la cornice dipinta con piccoli busti di santi, la Vergine siede su un trono ligneo posto obliquamente, per rendere la profondità spaziale. Le convenzioni rappresentative bizantine sono addolcite da un tono classico che si avvicina alla scultura del tempo, non solo quella di Arnolfo, ma anche di Nicola Pisano. Un altro indizio di parziale allontanamento dalla tradizione è la resa del panneggio degli abiti tramite il chiaroscuro anziché con le lumeggiature dorate (effetti di luce resi con tocchi di oro), ancora presenti nel Crocifisso di Arezzo (► p. 424).

Gli affreschi di Assisi

L’opera più vasta e impegnativa di Cimabue sono gli affreschi del transetto e del coro della Basilica superiore di Assisi. In quest’area della chiesa solo pochi dipinti precedono il suo intervento e sono attribuiti a un artista di cultura gotica, probabilmente inglese. Gli affreschi di Cimabue, eseguiti durante il pontificato di Niccolò IV, il primo papa francescano (1288-1292), raffigurano Storie degli apostoli, Storie della Vergine e, nel transetto sinistro, scene relative agli angeli (spesso indicate come Scene dell’Apocalisse); nella volta all’incrocio fra transetto e navata sono dipinti i quattro Evangelisti; inoltre compare due volte la Crocifissione. Gli affreschi sono mal conservati e non completamente leggibili: a causa di un’ossidazione della biacca (il composto del piombo utilizzato per preparare il bianco) le zone chiare sono annerite e i colori risultano in gran parte deteriorati, gli sfondi sono perduti o ridotti allo strato di preparazione.

Crocifissione

Nel transetto sinistro si trova la scena più conosciuta dell’intero ciclo, la Crocifissione (64). Il tono drammatico della rappresentazione, in cui un forte vento sembra agitare il perizoma (il panno che copre i fianchi) del Cristo e gli angeli volano disperati attorno alla croce, è quello dei testi religiosi del tempo, come le Laude di Jacopone da Todi. Tra i personaggi della zona inferiore del dipinto, alcuni compiono gesti altamente espressivi, come la Maddalena che protende le braccia verso l’alto o gli Ebrei che additano Cristo. La raffigurazione dei gruppi, e in particolare di quello di destra, segue ancora i canoni bizantini, per cui a molte teste corrispondono poche gambe, soltanto quelle dei personaggi in primissimo piano. Anche la posizione del Crocifisso, con il corpo molto arcuato e i piedi separati, corrisponde a schemi tradizionali che molti scultori avevano già abbandonato, ma che restavano validi in pittura. La figura di Francesco ai piedi della croce, in scala ridotta, ricorda la particolare devozione del santo per il Crocifisso.

Cristo e la Vergine in trono

Tra gli affreschi dell’abside, quello con Cristo e la Vergine in trono (65) celebra l’esaltazione della Madre di Cristo, che intercede presso il Figlio in favore dell’umanità. Il grandioso trono, collocato frontalmente, anticipa le soluzioni che saranno adottate da Giotto e dai pittori del Trecento.

Volta degli Evangelisti

Nella volta all’incrocio fra transetto e navata, Cimabue dipinge i quattro Evangelisti, ciascuno dei quali accompagnato da una regione del mondo. Una parte della volta è stata gravemente danneggiata dal terremoto del 1997. Nella vela con San Marco (66) si vede l’Italia (con la scritta "Ytalia") rappresentata da una veduta di Roma nella quale sono riconoscibili i principali monumenti della città, tra i quali il Palazzo senatorio, il Pantheon e il mausoleo di Adriano.

La partecipazione al mosaico di Pisa

L’unica opera documentata di Cimabue risale ai suoi ultimi anni di attività, quando il pittore fornì il cartone del San Giovanni evangelista (67) che fa parte del mosaico absidale del Duomo di Pisa insieme ad altri personaggi eseguiti da autori differenti. Nonostante gli estesi rifacimenti di epoche successive, la figura dell’evangelista si impone per il suo aspetto monumentale e per la gravità classica dell’atteggiamento.

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico