La scultura di Nicola e Giovanni Pisano

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La scultura di Nicola e Giovanni Pisano

È abbastanza raro che padre e figlio raggiungano lo stesso eccezionale livello nello stesso campo dell’arte. Questo avviene, nella seconda metà del Duecento, con Nicola e Giovanni Pisano, che possono essere annoverati tra i maggiori protagonisti della scultura italiana. Tuttavia, la differenza tra le due personalità è profonda: nelle opere di Nicola domina una misura classica, nutrita di esempi classici e federiciani; invece Giovanni, pur essendosi formato con il padre, introduce una visione più gotica ed espressiva.

Nicola Pisano

Lo scultore che si firma "Nicola Pisanus" e che con questo nome è passato alla storia era in realtà originario dell’Italia meridionale ed è citato in alcuni documenti come "Nichola de Apulia" (1225 ca.-prima del 1284). Le origini meridionali fanno ritenere che si fosse formato nell’ambiente di Federico II, e in effetti nella sua arte, come in quella federiciana, si fondono caratteri classici e spunti gotici. È possibile però che Nicola abbia trovato ulteriore ispirazione nelle sculture antiche conservate a Pisa nella piazza del Duomo. Giunto in Toscana forse già prima della metà del Duecento, si impegnò nella fabbrica del Duomo di Siena, dove eseguì alcune sculture decorative (teste umane e protomi di animali) e fu probabilmente coinvolto nel cantiere architettonico. La costruzione della chiesa era iniziata a metà del secolo precedente; nel periodo in cui Nicola giunse a Siena si stava innalzando la cupola, conclusa nel 1263. Nicola si stabilì poi a Pisa, ma tornò a lavorare a Siena, oltre che a Bologna e a Perugia. Il suo lascito artistico può essere paragonato a un’eredità spartita tra i suoi due maggiori seguaci, Giovanni Pisano e Arnolfo di Cambio, che sviluppano rispettivamente le caratteristiche gotiche e quelle classiche della sua scultura.

Pulpito del Duomo di Siena

Dopo aver eseguito un pulpito per il Battistero di Pisa (► p. 412), Nicola tornò a lavorare a Siena, dove eseguì un altro pulpito (48) tra il 1265 e il 1268. In questa occasione venne assistito da alcuni collaboratori, nominati espressamente dal contratto, tra cui il figlio Giovanni Pisano e Arnolfo di Cambio. Anche per il loro contributo sono qui accentuati i caratteri gotici, a cominciare dalla struttura: la pianta del pulpito è ottagonale e la divisione tra una faccia e l’altra è affidata a statue marmoree a tutto tondo, con un effetto di continuità particolarmente evidente. Le altre figure, scolpite ad altorilievo, si staccano dal fondo con netti contrasti chiaroscurali; il naturalismo nella raffigurazione degli animali, i panneggi a linee spezzate e le espressioni intense dei volti appartengono al repertorio gotico. Il rilievo con la Crocifissione (49) è caratterizzato da una grande intensità drammatica. Tra i personaggi che affollano la scena si notano i Giudei, a destra, che inveiscono contro il Cristo e la Vergine, che, a sinistra della croce, sviene ed è sorretta dalle pie donne. Come già nella scena corrispondente realizzata a Pisa, l’anatomia del Cristo è delineata senza schematizzazioni e il corpo assume una posizione naturale anche grazie alla sovrapposizione dei piedi, trafitti da un solo chiodo; il teschio di Adamo sotto la croce ricorda il legame tra peccato originale e redenzione. Le innovazioni iconografiche e stilistiche introdotte qui da Nicola saranno riprese in pittura da Giotto tre decenni più tardi.

Fontana maggiore di Perugia

Sita nella stessa piazza su cui si affacciano il duomo e il Palazzo dei Priori, la Fontana maggiore di Perugia fu costruita fra il 1277 e il 1278. Nicola ne decorò le vasche con l’assistenza della sua vasta bottega, nella quale ebbe un ruolo significativo il figlio Giovanni. All’impresa presero parte anche un ingegnere veneziano di nome Boninsegna e fra’ Bevignate, un monaco perugino appartenente all’Ordine silvestrino (di derivazione benedettina) attivo in parecchi cantieri umbri; anche le competenze di quest’ultimo erano prevalentemente di tipo tecnicoingegneristico, elemento indispensabile per l’obiettivo di garantire l’approvvigionamento idrico alla città. La fontana (50) è composta da due vasche poligonali (a venticinque lati quella inferiore, a ventitré quella superiore) in pietra di Assisi, sovrapposte e concentriche, e di una terza vasca in bronzo. I cinquanta rilievi della vasca inferiore compongono un programma iconografico articolato, illustrato da iscrizioni in latino, che attinge al repertorio della Bibbia ma anche a quello della mitologia e della letteratura classica. Sono presenti anche le personificazioni delle Arti liberali e le rappresentazioni delle attività dei Mesi (51). Le statue della vasca mediana raffigurano santi, personaggi biblici e storici e personificazioni di città: il filo che le unisce è la glorificazione di Perugia e della sua fedeltà alla Chiesa. La fontana è coronata da un gruppo bronzeo con tre cariatidi che sostengono il grifo, emblema della città, e il leone, che simboleggia la parte guelfa, alla quale Perugia aderiva. Padre e figlio agiscono qui in stretta collaborazione, assistiti da molti aiutanti; è praticamente impossibile distinguere le parti realizzate dall’uno e dall’altro. Nelle botteghe medievali, infatti, la distribuzione del lavoro prevedeva che persone diverse si avvicendassero su un singolo pezzo per garantire l’uniformità del complesso. Tuttavia l’accentuazione espressiva di alcuni volti fa pensare alla mano di Giovanni, che potrebbe aver inserito due rilievi con aquile come firma allusiva: l’animale è infatti simbolo dell’evangelista omonimo.

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Giovanni Pisano

Giovanni Pisano (Pisa 1245/1248 ca.-Siena 1318) è probabilmente il più antico artista occidentale del quale si conoscano, oltre ai dati biografici, alcuni tratti della personalità. Per esempio, si ha notizia di rapporti conflittuali con committenti e colleghi, mentre l’iscrizione in latino che correda il pulpito di Sant’Andrea a Pistoia (► p. 413) dimostra quanto egli fosse cosciente della propria grandezza, in confronto e perfino in contrasto con la memoria del padre con il quale si era formato e, come si è visto, aveva a lungo collaborato: «Sculpsit loh(ann)es qui res no(n) egit inanes / Nicol(a)i nat(us) sensia meliore beatus/que(m) genuit Pisa doctu(m) sup(er) omnia visa» ("Scolpì Giovanni, che non fece cose vane, figlio di Nicola ma lieto di una sapienza migliore, che Pisa generò dotto più di ogni cosa mai vista"). In un’altra opera (il pulpito del Duomo di Pisa) scrisse addirittura: «Sculpens in petra ligno auro splendida, tetra / sculpere nescisset vel turpia si voluisset» ("Scolpendo cose splendide in pietra, legno e oro, non avrebbe saputo scolpirne di brutte neppure se avesse voluto"). Giovanni Pisano fu attivo in varie città toscane (Pisa, Siena, Pistoia, Prato) e a Perugia (dove, come si è visto, lavorò a fianco del padre), Padova e Genova. Operò come scultore in vari materiali, dal marmo al legno, all’avorio, e come architetto.

Facciata del Duomo di Siena

Forse a causa delle dure condizioni in cui versava Pisa dopo la sconfitta della Meloria (1284) contro Genova, Giovanni si spostò a Siena, dove progettò la facciata del duomo (52), alla quale lavorò per circa dodici anni, realizzando il registro inferiore e un imponente ciclo di statue raffiguranti Filosofi e personaggi dell’Antico Testamento, oggi sostituite da copie (gli originali sono conservati al Museo dell’Opera del Duomo). La cattedrale senese è l’unica chiesa gotica italiana che presenti una decorazione di questo genere, paragonabile a quelle francesi, e Giovanni è lo scultore italiano che più si avvicina ai modelli d’Oltralpe. Per spiegare il suo stile, alcuni studiosi hanno ipotizzato un suo viaggio in Francia, dove si sarebbe documentato di persona sulla scultura gotica; ma non bisogna dimenticare che la circolazione internazionale di molte opere di piccolo formato (in particolare avori e oreficerie) rendeva possibile la conoscenza delle tendenze artistiche anche lontano dai centri di produzione. Le statue della facciata di Siena (53), pur concepite in stretta connessione con l’architettura, rivelano una piena riconquista della dimensione del tutto tondo anche su scala monumentale. Lo sbilanciamento del peso del corpo, tipico della scultura gotica, determina una posizione instabile e una forma ad arco della figura (hanchement). L’espressività dei volti raggiunge effetti di intenso pathos.

Margherita di Brabante

L’attività per il Duomo di Siena si interruppe bruscamente tra il 1296 e il 1297, per riprendere solo negli ultimi anni di vita dello scultore: egli tornò infatti nella città natale, dove assunse incarichi di grande prestigio. Prima di tornare a lavorare a Siena, dove morì, Giovanni lavorò per la cerchia dell’imperatore Enrico VII, sceso in Italia nel 1310 per consolidare la propria autorità. L’opera principale è la tomba dell’imperatrice Margherita di Brabante (54), morta a Genova nel dicembre 1311 in odore di santità. Del monumento, collocato in origine nella chiesa genovese di San Francesco di Castelletto, restano solo dei frammenti. Il gruppo dell’imperatrice portata in cielo da due angeli è costruito con grande tensione dinamica. Dal volto espressivo e concentrato della donna, non corrispondente ai suoi lineamenti reali, traspare un senso di profonda estasi religiosa. È probabile che le tre figure fossero originariamente addossate a una parete e racchiuse in una struttura architettonica di forme gotiche; ma, secondo la tecnica peculiare di Giovanni, sono scolpite a tutto tondo e perfettamente rifinite anche sul retro, tanto da poter essere apprezzate perfino nell’attuale collocazione museale.

Madonna col Bambino

Tra le sculture di Giovanni, sono numerosi i gruppi raffiguranti la Madonna col Bambino, nei quali egli inaugura il tema del colloquio di sguardi tra Madre e Figlio, che sarà spesso imitato da scultori e pittori nel corso del XIV secolo. Quella conservata nel Duomo di Prato (55), impropriamente definita "Madonna della cintola" (titolo che indicherebbe piuttosto una Vergine assunta, dal momento che la cintola, secondo la tradizione, era stata consegnata dalla Vergine a san Tommaso nel momento della sua assunzione in cielo), risale probabilmente agli ultimi anni di attività dello scultore. Conserva tracce di doratura in alcune parti decorative. La perfetta finitezza dell’esecuzione e la varietà della disposizione dei panneggi attorno al corpo suggeriscono che sia stata concepita per una visione isolata. Il peso del corpo della Madonna grava sulla gamba destra, controbilanciando quello del Bambino e determinando il caratteristico hanchement gotico. La scultura appare molto elegante, ma lo scultore non insiste sulla grazia delle figure e preferisce concentrarsi sull’intensità dello sguardo di Maria, che evoca il presagio della Passione di Cristo.

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico