Dossier Arte - volume 1 

   13.  IL ROMANICO >> L’arte romanica

I mosaici

Nel XII secolo l'arte del mosaico – ereditata dalla tradizione romana e tardoantica e sperimentata in particolare nell'Italia bizantina in epoca altomedievale – è impiegata soprattutto per la decorazione pavimentale in Francia, Inghilterra, Germania, Spagna e anche in Italia. In genere i pavimenti ornati, che potevano coprire vaste zone delle chiese, completavano il programma iconografico di affreschi e decorazioni scultoree, anche se oggi questo rapporto non è più facilmente ricostruibile per la mancanza di opere conservate in modo completo. Si sa, per esempio, che nell'Abbazia di Montecassino l'abate Desiderio aveva chiamato a lavorare maestri bizantini, che avevano realizzato i mosaici pavimentali e parietali, tutti andati distrutti. Le tecniche impiegate erano varie: potevano riprendere il metodo ellenistico dell'opus Alexandrinum (intarsio di pietre preziose), oppure quelli romani dell'opus tessellatum (a piccole tessere) e dell'opus sectile (intarsio di lastre di marmo), o perfino utilizzare semplici ciottoli.
In Italia è forte l'influenza della tradizione bizantina dei mosaici murali, ed è noto che a Venezia e nella Palermo normanna sono attivi anche mosaicisti provenienti dall'Oriente, che, con le loro botteghe itineranti, si affiancano alle maestranze locali apportando preziosi aggiornamenti tecnici. La lezione di questi maestri, venuti forse da Costantinopoli, permette di istruire mosaicisti locali. Purtroppo in Italia i mosaici di epoca romanica in buono stato di conservazione sono pochi; tra questi vanno ricordati, oltre a quelli della Basilica di San Marco a Venezia, i mosaici del Duomo di Otranto, della Cappella Palatina a Palermo e del Duomo di Cefalù.

Pavimento musivo della Cattedrale di Otranto

Il pavimento della cattedrale pugliese (85), che spicca per vivacità e varietà delle scene rappresentate, fu commissionato dall'arcivescovo Gionata ed eseguito dal presbitero Pantaleone (forse di origine greca), come indicano le iscrizioni. Si tratta di un vasto mosaico che copre le tre navate e dispiega un complesso ciclo iconografico, con scene bibliche, episodi cavallereschi della leggenda di re Artù, immagini tratte dai bestiari (repertori di animali reali e fantastici), e figurazioni del calendario. Come nelle miniature dell'epoca, sono presenti anche i tondi con i mesi e i segni zodiacali a formare il cosiddetto Albero della vita, seguendo il principio secondo cui ciascun mese simboleggia un lavoro, ovvero la fatica dell'uomo, espiazione del peccato originale.
Lo stile semplificato delle centinaia di figure presenti nel mosaico pavimentale di Otranto si differenzia da quello dei mosaici realizzati nella stessa epoca nella Sicilia normanna, certo frutto di altre maestranze, che tra l'altro fanno largo uso di tessere d'oro.

Mosaici della Cappella Palatina a Palermo

A Palermo, Ruggero II d'Altavilla promuove l'edificazione della Cappella Palatina all'interno del palazzo fortificato cittadino. Consacrata nel 1140, dieci anni dopo l'inizio dei lavori, la cappella, a pianta basilicale con tre navate, è arricchita da marmi preziosi e colonne di spoglio in granito e cipollino. Tuttavia quello che colpisce il visitatore è soprattutto l'oro scintillante dei mosaici che ricoprono tutte le pareti con scene della vita di Cristo, storie della Genesi ed episodi della vita di Pietro e Paolo. Le scene cristologiche dell'area del presbiterio, come ricorda un'iscrizione in greco, furono eseguite da maestranze bizantine giunte sul posto entro il 1143, mentre il resto della decorazione fu eseguito in anni successivi da maestranze locali che si erano formate sugli esempi bizantini. Come si nota nell'Entrata di Cristo a Gerusalemme  (86), i personaggi si dispongono in gruppi simmetrici e ordinati: a destra le autorità cittadine, a sinistra i discepoli di Cristo. Il Salvatore spicca al centro, a dorso d'asino, mentre in basso quattro figure anonime, quindi meno importanti e raffigurate più piccole, stendono davanti a lui i propri abiti e i rami d'ulivo. Il gusto per i materiali preziosi, i tessuti decorati, le piume multicolori delle ali degli angeli risalta nella scintillante decorazione della cupola centrale, con il Cristo Pantocratore (87), raffigurato nell'atto di benedire.

Mosaico absidale del Duomo di Cefalù

La figura del Cristo Pantocratore si ritrova nella vicina Cefalù (88), dove la decorazione musiva nella zona absidale del duomo, splendente di ori, commissionata anche in questo caso da Ruggero II d'Altavilla ed eseguita da artisti chiamati da Costantinopoli; lo stile rivela infatti un'ascendenza bizantina, anche se il volto di Cristo mostra già un'espressione umana, meno ieratica delle raffigurazioni tipiche di questa cultura fin dai tempi dei mosaici ravennati.

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La pittura su tavola

La pittura su tavola, più soggetta al rischio di andare perduta rispetto alle decorazioni scultoree e agli arredi, ha subito, come la pittura monumentale, gravi perdite: si calcola che quello che è arrivato fino a noi rappresenti meno dell'uno per cento di quanto fu effettivamente dipinto. È dunque difficile giudicare da ciò che è rimasto. Molto spesso, inoltre, le tavole sono state ridipinte nel corso dei secoli, e solo le tecniche di indagine più moderne hanno permesso di scoprire che cosa si trova sotto raffigurazioni di epoche successive. La scarsità di documentazione impedisce di conoscere l'identità dei pittori, di cui si è tramandato solo qualche nome.
Per quanto riguarda l'Italia, esistono numerose tavole opera di artisti anonimi, ai quali vengono attribuiti nomi fittizi: un esempio è il grande Crocifisso conservato agli Uffizi (89), il cui autore è conosciuto come Maestro della Croce 432, dal numero d'inventario attribuito all'opera dal museo fiorentino. La tavola è esemplare di una produzione che in Toscana, Liguria, Lazio, Umbria dovette essere feconda, dal momento che si conoscono opere simili firmate da Maestro Guglielmo, attivo a Sarzana nel 1138, e da Alberto Sotio, attivo a Spoleto nel 1187. Queste grandi tavole erano in genere dipinte su legno, oppure su fogli di cuoio o pergamena incollati poi sull'anima di legno sagomata a forma di croce. Il loro grande formato si giustifica con il fatto che esse erano in genere appese sopra l'altare maggiore di una chiesa, ben in evidenza per i fedeli, oppure erano poste sopra l'iconostasi o sul muro del tramezzo, come mostra un affresco trecentesco di Giotto ad Assisi (► p. 422).
La Croce 432 è un esempio di Christus triumphans, cioè di Cristo trionfante, che esprime l'idea della vittoria sulla morte ed è metafora del trionfo della Chiesa: il corpo è rigidamente frontale e il volto, sereno, ha lo sguardo fisso, come quello di un'icona bizantina. Una maggiore espressività connota invece le scene della Passione di Cristo dipinte sul fondo oro della croce. Alcuni studiosi avanzano l'ipotesi che questo anonimo pittore, forse fiorentino, si fosse aggiornato sullo stile dei mosaicisti bizantini attivi nella Cappella Palatina di Palermo.
La tradizione dei crocifissi su tavola avrà ampio sviluppo nella pittura del secolo successivo, che vedrà il passaggio dal tipo del Christus triumphans a quello del Christus patiens, con il volto sofferente e più espressivo e la posa del corpo più articolata (► pp. 424-425).

La miniatura

Oggi si ritiene che il ruolo di artisti-guida nella pittura spettasse ai miniatori e non ai frescanti, perché all'epoca la miniatura era la forma più perfezionata di pittura. Forse non è un caso che siano ignoti i nomi degli autori degli affreschi, mentre spesso si sono tramandati i nomi dei miniatori. Va però ricordato che chi realizzava le illustrazioni nei codici miniati, ai margini dello scritto o inframmezzate alle parole, poteva essere la stessa persona che aveva redatto il codice a mano e doveva quindi trovare naturale apporre da qualche parte il proprio nome a mo' di firma, o addirittura autoraffigurarsi – come accade già nelle miniature carolinge e ottoniane – nell'atto di trascrivere il codice o di dipingere.
Lo stile delle miniature varia a seconda dello scriptorium, quasi sempre legato a un monastero. Tra i principali centri di riproduzione e illustrazione di testi antichi, profani e scientifici, musicali, liturgici o di carattere sacro, si ricordano, per l'Italia, l'Abbazia di Nonantola (Modena), la Certosa di Calci (Pisa), l'Abbazia di Sant'Antimo (Montalcino) e quella di Cava de' Tirreni (Salerno). Ma il più celebre è di certo lo scriptorium dell'Abbazia di Montecassino, i cui 70 000 volumi e le migliaia di altri documenti si sono salvati dal bombardamento del febbraio 1944 perché erano stati spostati, qualche mese prima, a Roma e a Spoleto. Uno dei manoscritti più interessanti, dell'XI secolo, illustra il testo enciclopedico dell'erudito carolingio Rabano Mauro (90), vissuto tra l'VIII e il IX secolo, con gustosi disegni colorati che descrivono la vita quotidiana e il «sapere dell'Universo».
Un caso a parte è rappresentato dagli Exultet: grandi rotoli di pergamena che si utilizzavano per scopi liturgici e recavano i testi e le relative immagini degli inni, delle preghiere e delle letture per la Veglia pasquale (exultet, in latino "esulti!", è appunto l'inizio del primo inno che vi viene cantato). I primi esempi di queste opere risalgono alla seconda metà del X secolo. Sui rotoli erano trascritti i testi liturgici ed erano realizzate, capovolte rispetto alla scrittura, le immagini che ne illustravano i momenti fondamentali. La disposizione era funzionale all'uso: mentre il sacerdote leggeva o cantava l'inno, i fedeli, che solitamente non sapevano né leggere né scrivere, e che comunque non conoscevano il latino, seguivano il rito osservando le immagini che via via si srotolavano. Cosi come le grandi pareti affrescate, le miniature degli Exultet avevano il compito fondamentale di istruire gli analfabeti, secondo quanto prescrivevano le parole di papa Gregorio Magno (590-604), per il quale la pittura era una specie di «Bibbia degli illetterati».
L'Exultet più famoso è quello del Duomo di Bari (91), datato intorno al 1030. Inframmezzandosi con la scrittura, le immagini si dispongono ai lati, entro due fasce decorate con motivi vegetali e geometrici in cui vi sono santi della tradizione orientale, e al centro, dove si trovano illustrazioni dai colori brillanti in cui la vivace tradizione italiana si fonde con l'eleganza della pittura bizantina.

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LA PITTURA E I MOSAICI

  • L'architettura romanica faceva largo uso di decorazioni pittoriche (conservate solo in minima quantità) eseguite con le tecniche dell'affresco, della tempera o della pittura a secco.
  • La funzione fondamentale della pittura era quella di istruire gli analfabeti: era infatti definita la «Bibbia degli illetterati».
  • Caratteristiche fondamentali della pittura murale romanica sono la semplificazione delle forme, la bidimensionalità e il linearismo.
  • La tecnica del mosaico è utilizzata per i pavimenti, per i muri, per le volte e per le cupole.
  • Molti mosaici sono eseguiti da maestranze bizantine.
  • Anche la pittura su tavola ha subito gravi perdite e alterazioni. Una tipologia molto diffusa è quella della Croce dipinta, in cui il Cristo è raffigurato vivo (Christus triumphans).
  • La miniatura era molto diffusa e rivestiva un ruolo trainante rispetto ad altre tecniche pittoriche.
  • I libri venivano generalmente prodotti negli scriptoria dei monasteri. Il più importante  scriptorium era quello di Montecassino.
  • Gli Exultet erano rotoli contenenti inni e letture per la Veglia pasquale, con le illustrazioni capovolte rispetto al testo, in modo da risultare visibili al pubblico via via che il manoscritto veniva srotolato.
  DOMANDE GUIDA
1. Perché le pareti delle chiese romaniche oggi appaiono spoglie?
2. Qual è lo scopo principale delle arti figurative romaniche?
3. Da dove provenivano molti dei mosaicisti attivi in Italia?
4. Qual è l'importanza della miniatura nel periodo romanico?
5. Quali sono le caratteristiche dell'iconografia del Cristo trionfante?
6. Quali sono le caratteristiche del Cristo Pantocratore?

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Dalla Preistoria al Gotico