Il Romanico toscano

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Il Romanico toscano

Il classicismo fiorentino

L’architettura romanica assume a Firenze caratteristiche particolari, in cui è esplicito il richiamo all'antichità classica; il lessico del Romanico si fonde con il vocabolario del mondo classico e della tarda antichità e dà vita al classicismo fiorentino, semplice, geometrico e razionale. Questo gusto si esprime soprattutto nell’armoniosa eleganza delle tarsie (motivi ornamentali ottenuti dall’accostamento di diversi colori) di marmo bianco di Carrara alternato al serpentino verde-nero di Prato, che si ritrovano nei due principali edifici costruiti in città intorno alla metà dell’XI secolo, il battistero, di fronte al duomo, e la Basilica di San Miniato.

Battistero

Dedicato a san Giovanni Battista, il Battistero di Firenze (36) fu iniziato nei primi anni del XII secolo e concluso nel 1150, quando venne realizzata la lanterna. Ha una pianta ottagonale (37), come accade in genere per gli edifici di questo tipo. L’esterno, interamente ricoperto di marmi, si articola su tre livelli, scanditi in orizzontale da due cornicioni e suddivisi in verticale da due ordini di paraste (pilastri e colonne che sporgono dai muri e hanno funzioni di sostegno), cui si sostituiscono, sull’attico, delle lesene. Nei due piani inferiori, i primi a essere completati, si ripete una decorazione geometrica e regolarissima. In basso vi sono motivi rettangolari; nella fascia centrale, entro profonde arcate, ogni faccia dell’ottagono ospita tre finestre, di cui la centrale presenta un coronamento ad arco, mentre le due laterali hanno un timpano triangolare. Al di sotto delle finestre si trova un motivo a loggette, realizzato con la semplice alternanza dei due tipi di marmo. L’ultimo piano, leggermente rientrato, presenta infine una decorazione a motivi rettangolari e regge la copertura piramidale, che è divisa in otto spicchi come le otto facce dell’edificio e in cui si apre una piccola lanterna.
Per tutto il Medioevo, come scrive anche il cronista Giovanni Villani (1276-1348), i fiorentini credettero che il loro battistero fosse un edificio dell’antichità riadattato a usi cristiani: l’errore è utile per capire quanto fosse forte il legame tra la nuova arte romanica toscana e il mondo classico.

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Basilica di San Miniato al Monte

Su uno dei colli che cingono a sud la città di Firenze sorge la Basilica di San Miniato. Secondo la leggenda, Miniato, decapitato in città per ordine dell’imperatore Decio intorno al 250 d.C., percorse una grande distanza, portando in mano la testa staccata dal corpo, per scegliere il luogo della propria sepoltura. La chiesa, annessa a un monastero benedettino, è una costruzione molto semplice, quasi severa, in cui la caratteristica principale è l’ordinata geometria del rivestimento marmoreo bianco e verde scuro (38). La decorazione marmorea dell’esterno è infatti una sintesi perfetta di regolarità, eleganza e leggerezza, in cui si alternano motivi geometrici. La facciata a salienti è divisa nettamente in due zone. La parte inferiore, la più antica, è scandita da cinque arcate cieche che poggiano su semicolonne corinzie, a simulare un portico, in cui si aprono le tre vere porte della basilica e due porte finte, realizzate a intarsi marmorei. L’insieme genera un’impressione di classicità, accresciuta dalla presenza del timpano triangolare che completa e corona l’edificio. Le decorazioni a riquadri, losanghe e ruote percorrono tutta la superficie, creando un ritmo regolare ed elegantissimo. La facciata utilizza tutto il repertorio del Romanico dell’Italia settentrionale e padana, trasformando però gli elementi architettonici in un disegno di superfìcie: le semicolonne e gli archi simulano la profondità di un nartece che nella realtà è solo accennato con un minimo spessore, e lo stesso effetto "grafico" compare anche sul timpano .
L’interno ha una pianta basilicale semplice e chiara, con tre navate e una sola abside. La navata centrale è divisa in tre campate da quattro pilastri che reggono due arconi trasversali (39). Su ciascun lato, alternate ai pilastri, si trovano colonne collegate da archi, che dividono la navata maggiore da quelle laterali. Al di sopra degli archi continua la decorazione bicroma che replica la decorazione dell’esterno, con semplici intarsi marmorei, fino al tetto a capriate. Nella zona dell’abside, il presbiterio, sopraelevato, s’innalza su un’ampia cripta che conserva il corpo del martire Miniato.

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Il Romanico pisano: Piazza dei Miracoli

Tra l’XI e il XIII secolo, in una vasta area vuota situata ai margini dell’abitato di Pisa, vennero edificati alcuni importanti edifici sacri. La collocazione, insolita per una città italiana, permise una vasta progettazione architettonica: vi trovarono posto il duomo, la torre campanaria, il Battistero e il Camposanto, in modo da riassumere, in un unico spazio, tutta la vita del cristiano, dalla nascita (Battistero) alla vita religiosa, con il duomo e le campane della torre a scandire le ore, fino alla morte (Camposanto). L’eccezionalità dell’esito fece sì che lo spiazzo sacro venisse poi chiamato Piazza dei Miracoli. Gli edifici che ne fanno parte presentano elementi di continuità, ma anche di differenza, con l’architettura romanica fiorentina. Come a Firenze, ricorre l’uso delle decorazioni marmoree bicrome, ma è più accentuato il senso dei volumi e della dimensione plastica degli edifici.

Duomo

Grazie alla vittoria sui Saraceni, ottenuta dalla flotta pisana a Palermo nel 1063, fu finanziato l’ambizioso progetto del duomo (40), iniziato nel 1064. L’altare maggiore fu consacrato da
papa Gelasio II nel 1118. La pianta dell’edificio è a croce latina, con cinque navate nel corpo centrale e tre nel transetto absidato (41). Le cinque navate presentano arcate a tutto sesto sorrette da monumentali colonne di marmo monolitiche (42), alcune con capitelli corinzi provenienti dalle Terme di Caracalla a Roma e qui utilizzate con un chiaro rimando simbolico al mondo classico. Sopra il matroneo, affacciato sulla navata, si apre il claristorio, che illumina l’ambiente. Le volte laterali sono a crociera, mentre la navata centrale, oggi rivestita da cassettoni dorati secenteschi, era in origine a capriate lignee. All’incrocio del transetto quattro pilastri sorreggono due arconi trasversali a ogiva (costituiti da due archi di cerchio che si intersecano alla sommità) e due pareti traforate, che a loro volta sostengono la cupola ellittica, rimarcando le due massime dimensioni della chiesa, la larghezza della navata centrale e quella delle tre navate dei transetti: un’impostazione inconsueta in Italia.
Sia la cupola sia le decorazioni a losanghe e a cerchi di mosaici marmorei poste sul rivestimento esterno sono di ascendenza islamica e paiono segnalare la conoscenza, da parte del loro ideatore, della tradizione di regioni lontane, come l’Armenia; inoltre, un enorme grifo di bronzo di fattura islamica (► p. 329) stava in origine sulla sommità della facciata, dove in genere si trovano figure di santi o elementi cristiani. Queste componenti "esotiche" si fondono con alcune caratteristiche tipiche del Romanico dell’Italia settentrionale, come le loggette esterne sulla facciata a salienti.
Il tutto appare combinato con un tale senso delle proporzioni, in un gioco armonioso di pieni e di vuoti, da far sembrare l’edificio lieve e raffinato come un piccolo scrigno, nonostante le sue vaste dimensioni; contribuisce a quest’effetto il rivestimento di marmo, che rende il duomo «candido come la neve», secondo l’iscrizione in facciata.
Potrebbe perfino corrispondere al vero l’ipotesi che il primo architetto dell’edificio, Buscheto, figlio di un giudice, fosse di origine grecobizantina, come scrive nel Cinquecento l’artista e teorico Giorgio Vasari, il quale forse conosceva qualche notizia che sfugge ai moderni. Dopo la sua morte, avvenuta non prima del 1110, i lavori proseguono con Rainaldo, come testimonia la lapide in facciata (► p. 330), ma il progetto dell’intero complesso monumentale, a parte il più tardo edificio del camposanto, sembra sia nato da un’idea di Buscheto.
Nella commistione di elementi di varie culture che caratterizza il Duomo di Pisa, non va sottovalutato il reimpiego di materiali antichi, come i capitelli corinzi delle colonne interne. Anche l’inserimento, nel rivestimento esterno, di sarcofagi e rilievi tardoromani conferma il desiderio di emulare l’antichità: nelle fonti dell’epoca i pisani paragonano infatti la loro potente città a una "novella Roma", la città simbolo che, seppure in declino, manteneva inalterato il suo prestigio.

Campanile

Pare invece infondata la tradizione che attribuisce il progetto del campanile (43), la famosa torre ora pendente, a un celebre artista pisano, Bonanno, artefice delle porte di bronzo e attivo anche a Monreale. La torre fu iniziata entro il 1386, ma già dopo pochi anni il cantiere incontrò numerose difficoltà a causa del cedimento del terreno: i lavori si interruppero per riprendere solo intorno al 1280 e terminare poi in età gotica, ento il 1386. La forma circolare della torre è ispirata a modelli bizantini, in particolare ai campanili ravennati, ma rivisitata in un’ottica tutta pisana, con un rivestimento marmoreo e una soluzione di alternanza di vuoti e di pieni, data dalle loggette, che crea eleganti rimandi con il duomo.

Battistero

A Deotisalvi, architetto attivo intorno alla metà del XII secolo, si devono invece la realizzazione della fascia inferiore del Battistero (43), fondato nel 1152 e completato poi in epoca successiva, e l’idea della pianta centrale dell’edificio, ispirata al Santo Sepolcro di Gerusalemme, cui rimandano anche la cupola conica e il numero delle colonne interne, dodici come gli apostoli.

Camposanto

Fa riferimento a uno dei luoghi più importanti della cristianità anche il camposanto (43): secondo un’antica tradizione, la terra su cui fu costruito proverrebbe proprio da Gerusalemme, portata da un gruppo di soldati crociati. Il vasto recinto che lo delimita fu progettato come un chiostro rettangolare da Giovanni di Simone e realizzato a partire dal 1277.

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La diffusione del modello pisano: da Lucca alla Sardegna

Il Romanico pisano, grazie alla ricchezza della città di Pisa e al suo importantissimo ruolo commerciale di città marinara, ebbe profonda influenza sulle zone della Toscana che essa controllava, sulla Liguria, sulla Sardegna e sulla Corsica. In queste regioni ricorrono infatti gli elementi più evidenti del Romanico pisano, come l’uso di marmi bicromi e delle logge che alleggeriscono le facciate, arricchiti però secondo diverse declinazioni locali.
A Lucca, ai tempi di papa Alessandro II (1061-1073), che era anche vescovo della città, nascono raffinati edifici ecclesiastici: Lucca era allora un fiorente centro commerciale e sorgeva, allo sbocco dei principali passi appenninici, sulla via Francigena, fondamentale direttiva di pellegrinaggi e commerci. Il Duomo di San Martino (44), rimasto incompiuto, è contemporaneo al Duomo di Pisa e presenta una facciata spartita da diversi ordini di loggette. La parte inferiore si apre in tre grandi archi asimmetrici che formano il nartece; la parte superiore ripropone invece il modello pisano, ma è più vivace e variegato per la presenza di colonne tutte diverse tra loro. Nuovo, nella città toscana, è il maggiore slancio verticale: nella Chiesa di San Michele in Foro (45), la facciata a marmi intarsiati e trafori è influenzata dal Duomo di Pisa, ma svetta al di sopra della navata, sopraelevandosi di due leggerissimi piani rispetto al corpo della chiesa. Le colonne che decorano le logge sono tutte una diversa dall’altra, come già in San Martino, e decorate da figure mostruose, elementi vegetali o semplici incrostazioni geometriche. In breve tempo lo stile pisano, tradotto in linguaggi locali, si diffonde anche in Sardegna, controllata politicamente da Pisa e legata ad essa da numerosi scambi. Nella Basilica della Santa Trinità di Saccargia (46), a Codrongianos (presso Sassari), sono pisani sia la raffinata decorazione in marmi bicromi sia l’uso di bacini maiolicati di origine islamica; l’insieme però ha anche forti accenti locali, soprattutto perché ricorre a materiali sardi, come una pietra nera dal colore più pieno e intenso rispetto al marmo toscano.

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico