Monaci e pellegrini: la diffusione del Romanico

   13.  IL ROMANICO >> L’arte romanica

Monaci e pellegrini: la diffusione del Romanico

La riforma cluniacense

Come si è accennato, il fervore costruttivo e l’affermarsi del nuovo stile romanico sono strettamente collegati all’importante azione di organizzazione e diffusione della cultura svolta dall’Abbazia di Cluny, casa madre dell’Ordine benedettino in Borgogna (Francia). Quello benedettino, nato intorno al 529 per iniziativa di Benedetto da Norcia, era il principale Ordine monastico dell’Europa medievale. Intorno al X secolo esso iniziò ad attraversare un periodo di profonda crisi, che condusse a una riforma, promossa proprio da Cluny – da cui il nome di riforma cluniacense –, destinata a influenzare in modo radicale e duraturo non solo i monasteri benedettini, ma la Chiesa nel suo complesso. Già alla metà dell’XI secolo quasi un centinaio di monasteri decisero di seguire l’esempio dell’abbazia francese, che divenne un modello non solo spirituale e liturgico, ma anche tecnico e architettonico: molti monasteri vennero infatti costruiti copiando la disposizione delle sue strutture e la pianta della sua chiesa.

Chiesa abbaziale di Cluny

La crescita di Cluny e le nuove esigenze organizzative imposte dalla riforma fecero sì che la prima chiesa abbaziale, consacrata nel 927 e chiamata dagli studiosi Cluny I, divenisse insufficiente. La riforma della regola incrementava l’importanza della preghiera e degli uffici liturgici e dunque occorreva che il coro e il presbiterio delle chiese abbaziali – zone dedicate alla preghiera dei monaci – fossero più grandi del consueto. Dalle indagini condotte sulla seconda costruzione, Cluny II (15), realizzata nel 955/960-981 sotto la direzione dell’abate Maiolo, si evince che la chiesa era lunga 55 metri, con un corpo longitudinale diviso in tre navate spartite in sette campate, uno stretto transetto e un coro suddiviso in tre navate più corte (navatelle). Intorno all’anno Mille fu aggiunto un nartece a tre campate addossato alla facciata (chiamato galilea), preceduto da un atrio. A quest’epoca risale anche un primo ampliamento del coro. Della terza chiesa, Cluny III, fondata nel 1088, restano oggi solo le rovine di uno dei due transetti, ma è possibile ricostruirne la pianta originaria grazie alle indagini archeologiche e a una litografia che riproduce una veduta delle absidi precedente alla distruzione (16-17). L’edificio era celebre per essere il più vasto del mondo cristiano: lungo ben 187 metri, aveva una pianta articolata, con cinque navate, un coro con deambulatorio e cappelle radiali, doppio transetto e cinque torri. La facciata, fiancheggiata da altre due torri, era preceduta da un porticato a tre navate. L’interno, decorato con affreschi e sculture, di cui rimangono pochissimi frammenti, colpiva per lo slancio delle pareti. La navata centrale era suddivisa in tre ordini: arcate al piano terra, triforio cieco al piano mediano, e finestre al piano più alto. Al di sopra si innalzavano, altissime, le volte a botte, mentre all’incrocio dei transetti si levavano cupole sormontate da torri.

Chiesa abbaziale di Sant'Antimo

L’Abbazia di Sant’Antimo, nei pressi di Montalcino (vicino a Siena), era una delle più potenti fondazioni monastiche medievali e fu completamente ricostruita a partire dal 1118 su una precedente fondazione carolingia, sotto la direzione dell’abate Guidone. Il punto di riferimento più importante per il progetto della nuova chiesa abbaziale è la chiesa del Monastero di Cluny, tanto che l’abate richiese l’intervento di architetti francesi per progettare il nuovo edificio, poi completato da un architetto lucchese, Azzo dei Porcari, menzionato in un’iscrizione. La pianta a tre navate, di tipo basilicale, è caratterizzata dalla presenza di una grande abside e di un deambulatorio a cappelle radiali – caso assai raro in Italia – che denota la derivazione da modelli francesi (18-19).

  › pagina 340   

L'Abbazia di Montecassino

Un ruolo analogo a quello di Cluny fu svolto, in Italia, dall’Abbazia di Montecassino, fondata nel VI secolo da san Benedetto, più volte ricostruita e considerata ai tempi dell’abate Desiderio (1058-1086), il futuro papa Vittore III, "la meraviglia dell’Occidente" (20). Sulla spinta della riforma cluniacense, Desiderio avviò un programma di rinnovamento culturale e artistico che trovava i propri modelli nell’epoca costantiniana e nella Chiesa primitiva, ricorrendo anche all’uso di materiali classici di spoglio. Egli fece ricostruire completamente l’abbazia, acquistando a Roma marmi antichi da reimpiegare nella nuova chiesa; inoltre, estese i possedimenti terrieri di Montecassino e incrementò l’attività del prestigioso scriptorium e la biblioteca, ricca di testi classici.
La chiesa romanica del complesso abbaziale di Montecassino fu distrutta da un terremoto del 1349. Dalle fonti e dalle descrizioni antiche sappiamo tuttavia che l’edificio, voluto dall’abate Desiderio attorno al 1066 e consacrato nel 1071, era di notevoli proporzioni ed era preceduto da una corte (nota come Paradisum), sulla quale si affacciava un portico ad archi acuti cui si accedeva da uno scalone di marmo. In sintonia con gli ideali di emulazione dell’antichità di Desiderio, la pianta era ispirata a quella delle basiliche paleocristiane. Per la decorazione, invece, furono chiamati artisti provenienti da Costantinopoli e da Alessandria d’Egitto, abili nella lavorazione del bronzo e nell’arte dell’oreficeria.
La passione dell’abate per i classici e la sua apertura verso il mondo antico lasciarono un’impronta intellettuale su tutti i monasteri affiliati, e l’abbazia svolse un ruolo di diffusione di modelli culturali e artistici che si sarebbero intrecciati con le altre culture presenti nella Penisola: quella classica, quella araba (diffusasi in Occidente dopo la dominazione araba in Puglia, in Calabria e in Sicilia) e quella normanna, come vedremo meglio a proposito del Romanico meridionale.

Architettura di pellegrinaggi

La circolazione di linguaggi e tecniche artistiche in tutto il bacino mediterraneo deve il suo straordinario impulso, oltre che alla rete capillare dei monasteri, ai viaggi dei crociati e dei pellegrini e a una generale ripresa dei commerci con l’Oriente. I pellegrinaggi erano viaggi compiuti per esigenze penitenziali e devozionali da una parte consistente della popolazione medievale, che si spostava, coprendo anche vaste distanze, per visitare i santuari più famosi (21), e che faceva sosta nella rete di foresterie e strutture di accoglienza gestite dagli ordini ospitalieri. Le mete principali erano Roma, dove si trovava il corpo dell’apostolo Pietro, la Terrasanta, luogo della vita e della Passione di Cristo, Santiago, in Spagna, dove era custodito il corpo di san Giacomo (► pp. 342-343), e i luoghi dell’apparizione dell’arcangelo Michele, Monte Sant’Angelo in Puglia e Mont-Saint-Michel in Francia (22). Lungo le reti viarie che collegavano i santuari maggiori si svilupparono un’architettura e una decorazione scultorea dalle caratteristiche simili: ciò avveniva sia perché le chiese di pellegrinaggio erano costruite per assolvere ad analoghe esigenze liturgiche e funzionali, sia perché spesso, insieme ai pellegrini, si spostavano artisti e architetti. La caratteristica principale di questi edifici era la presenza di un ampio deambulatorio che chiudeva l’abside e in cui, dalle navate, avanzava il flusso ininterrotto dei fedeli, in una sorta di percorso obbligato.

La circolazione di artisti e modelli in Italia

In Italia, in direzione di Monte Sant’Angelo, i pellegrini si muovevano secondo percorsi ben definiti: i documenti riferiscono che dal Nord si dirigevano nelle Marche e da lì in Abruzzo, dove seguivano i tratturi della transumanza che ancora oggi giungono sino a Foggia. Questo lungo tragitto li portava a sostare in varie chiese e monasteri, come quello abruzzese di San Clemente a Casauria, dove c’era una foresteria ad accoglierli. Intorno al 1176 l’abate benedettino Leonate, legato agli ambienti di Montecassino, invia in Puglia, da Casauria, maestri lapicidi (artigiani esperti nella lavorazione della pietra e del marmo), per costruire nuove chiese e un monastero. Gli edifici non esistono più o sono stati modificati, ma resta testimonianza di questi scambi in alcune decorazioni scultoree. Si spiegano così, con il movimento degli artisti, le affinità stilistiche riscontrate a distanza di centinaia di chilometri, per esempio tra un capitello della chiesa pugliese di San Leonardo di Siponto e alcuni rilievi dell’Abbazia abruzzese di Casauria. Il capitello raffigura l’episodio biblico dell’asina di Balaam (23), ma nell’angelo con la spada si riconosce anche l’arcangelo Michele, che indica a un pellegrino il Santuario di Monte Sant’Angelo, situato a pochi chilometri da Siponto. I rilievi di Casauria (24) narrano invece le vicende della costruzione della chiesa, con l’asino che porta le reliquie di san Clemente. Il trattamento dei volti, delle vesti e dell’asino suggerisce che si tratti dello stesso artista del capitello, spostatosi probabilmente lungo i percorsi dei pellegrini.

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico