L’arte alessandrina

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L’arte alessandrina

Il raffinato ambiente alessandrino mostra molto interesse per la storia millenaria dell’Egitto e per i suoi ambienti naturali. I Tolomei fanno riprodurre molti monumenti antichi e promuovono spedizioni nel Sud per raccogliere notizie e opere da sottoporre agli studiosi della corte di Alessandria. Nascono così vari filoni artistici, attenti alla tradizione egizia, alla varietà della fauna e della flora, alla gente e alle tradizioni del popolo.

Le tendenze realistiche

Nel gusto per le ambientazioni paesaggistiche e popolari rientrano le scene di tipo comico o tratte dalla quotidianità, come le raffigurazioni di contadini, pescatori, pigmei, fanciulli di colore secondo schemi realistici o caricaturali, realizzate con un linguaggio di apparente semplicità e crudezza, ma in realtà estremamente raffinato e prezioso. La rappresentazione realistica del nudo degli anziani diviene un esercizio accademico per la resa di rughe, vene e corpi in decadenza.

Vecchia ubriaca

L’opera più nota di questa tendenza artistica è la cosiddetta Vecchia ubriaca (23), che rappresenta una donna in stato di evidente ebbrezza e dall’età chiaramente avanzata, come sottolineano le rughe che le solcano il viso e il collo. La statua, conosciuta in più copie marmoree, riprende un originale, forse bronzeo, del II secolo a.C. Con grande realismo, l’artista ha colto lo stato di alterazione in cui versa l’anziana: seduta a terra con le vesti strappate, la testa rovesciata all’indietro, tiene stretta a sé la fiasca ormai vuota.

Gli oggetti di lusso

Accanto alle opere caratterizzate dal crudo realismo, l’arte alessandrina produce oggetti raffinati e preziosi, particolarmente apprezzati dalla corte tolemaica, sempre alla ricerca del lusso. Di notevole fattura sono, per esempio, le opere di glittica (la glittica è l’arte di incidere pietre preziose per ricavarne cammei con immagini in rilievo). Nella decorazione di queste pregiate opere compaiono simboli e temi legati alla storia e alla natura locale: il Nilo, con la straordinaria fertilità che portano le sue periodiche piene, ne è spesso il protagonista.

Tazza Farnese

Un esempio di opere di glittica è la famosa Tazza Farnese (24), che di corte in corte, giunse alla collezione della famiglia Farnese, da cui prende il nome.
Si tratta di un piatto in agata sardonica, datato da alcuni studiosi tra il 181 e il 176 a.C., sul cui fondo è intagliata una scena di celebrazione dinastica. In primo piano, in basso, compare una Sfinge, rappresentazione del dio Osiride; su di essa siede una figura femminile, la dea Iside, che guarda verso le personificazioni della piena del Nilo e le messi che questa porta; dietro a Iside è il figlio Trittolemo, con il bastone dell’aratro in mano. Sulla sinistra si trova la grande figura del Nilo, seduto con la cornucopia nella mano sinistra, simbolo dell’abbondanza. In alto, arrivano in volo le personificazioni dei venti efesii, che favoriscono ogni anno l’arrivo della piena. Le tre figure centrali, intorno alle quali ruota tutta la scena, non hanno volti idealizzati, ma riproducono le fattezze di tre esponenti della dinastia tolemaica. Si tratta, secondo un’ipotesi, di Cleopatra I (nelle vesti di Iside), moglie di Tolomeo V Epifane (nelle vesti di Osiride) e, morto questi nel 181 a.C., reggente al trono sino alla maggiore età del figlio, Tolomeo VI Filometore (raffigurato come Trittolemo). La scelta di rappresentare in modo riconoscibile i membri dalla casa regnante intende ricordare che da essa deriva la prosperità dell’Egitto.

La pittura alessandrina

L’ambiente nilotico offrì anche materia per un genere artistico particolare, legato alla vivace e brulicante vita intorno al fiume e alla rappresentazione di ambientazioni esotiche. Probabilmente influenzate dalle spedizioni promosse dai sovrani verso il Sud della regione, furono realizzate ad Alessandria grandi pitture paesaggistiche di cui si ha oggi un’eco in alcuni mosaici romani.

Mosaico del Nilo

Tra questi mosaici il più celebre, probabilmente realizzato da maestranze fatte giungere direttamente dall’Egitto, è il Mosaico del Nilo (25), datato alla fine del II secolo a.C. La grande composizione musiva, di quasi 5 metri di lato e rinvenuta presso il santuario della Fortuna Primigenia di Praeneste (Palestrina), a est di Roma, somma elementi naturali alle attività umane svolte attorno al Nilo. L’opera è il frutto dell’attenta osservazione dell’ambiente e della fauna del fiume e della vita quotidiana degli abitanti della zona. Il tutto è riprodotto con cura, in una sorta di esposizione accademica ed enciclopedica della vita della regione. Il Nilo è rappresentato mentre nasce da grandi rocce e ondeggiando scende attraverso luoghi selvaggi con animali esotici e fantastici, ciascuno con il nome scritto accanto, come in un manuale. File di cacciatori dalla pelle scura si aggirano in queste terre inospitali, ma il fiume scorre oltre, per regioni sempre più abitate, in cui si trovano le grandi costruzioni tolemaiche della Nubia, fino a giungere al delta, dove l’acqua passa tra popolatissimi edifici di stile greco. Una serie di scene mostra, con straordinaria minuzia di particolari, la vita sul fiume, con barche di pescatori che si muovono tra anatre, ippopotami, ibis, coccodrilli, fiori di loto e ninfee, mentre nel porto navigano vari tipi di imbarcazioni e intorno sorgono edifici colonnati.

Dossier Arte - volume 1 
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Dalla Preistoria al Gotico