La pittura nel mondo greco

    6.  LA GRECIA CLASSICA >> L'arte nell'Età Classica

La pittura nel mondo greco

La pittura greca, in Età Classica, ebbe una magnifica fioritura, tanto da poter essere considerata la vera protagonista dell'espressione artistica. Purtroppo, però, questo grande patrimonio – sia parietale sia su quadri – è andato completamente perduto, e oggi se ne possono ricostruire le caratteristiche e lo stile soltanto di riflesso.
Molto importanti per conoscere la pittura di questo periodo sono le informazioni riportate nei testi letterari antichi, che danno notizia degli artisti e descrivono i soggetti rappresentati. La decorazione ceramica greca e gli affreschi e i mosaici romani, che alla pittura greca si ispiravano, ci restituiscono invece alcuni aspetti dello stile, sia pure "filtrati". Nel caso della ceramica, infatti, pur trattandosi di opere coeve, si è in presenza di una produzione artigianale,condizionata dalla differenza della tecnica usata, dalla schematizzazione dello stile e dall'uso di uno spazio ridotto; nel caso degli affreschi e dei mosaici, alla diversità della tecnica si aggiunge anche il cambiamento del gusto, dato dalla lontananza spaziale e temporale.„„ 


Tomba del Tuffatore

Un'importante scoperta avvenuta nel 1968 in Campania, a Paestum (l'antica colonia greca Posidonia), ha gettato luce su questo aspetto dell'arte classica. È stata ritrovata una tomba a cassa (cioè di forma rettangolare, con pareti in pietra) interamente dipinta all'interno. Sulle pareti è affrescata una scena di banchetto e sulla lastra di copertura (cioè sul retro del coperchio) un giovane intento a tuffarsi da un alto trampolino  (63). La Tomba del Tuffatore è considerata l'unico esempio di pittura greca di Età Classica finora conosciuto: il corredo funerario, in particolare una lékythos, ha permesso di datarla tra il 480 e il 470 a.C.

Polignoto e la prospettiva

Un importante pittore dell’Età Classica è Polignoto. Nato nell’isola di Taso, è attivo nella prima metà del V secolo a.C., soprattutto ad Atene. Caratteristici della sua produzione sono i grandi soggetti storici e mitologici, raffigurati in ampie composizioni parietali, come la Distruzione di Troia dipinta nella stoà Pecíle ("portico dipinto") dell’agorà di Atene, che ospitava anche una Battaglia di Maratona e un'Amazzonomachia dell’altro grande artista del tempo, Micone. Nella Pinacoteca dei Propilei dell’acropoli erano invece conservati quadri di Polignoto a soggetto mitologico, dove probabilmente era affrontato il problema della profondità spaziale, resa con la disposizione delle figure su più livelli (quelle che dovevano risultare più lontane erano collocate nella parte superiore dei dipinti) e con l’inserimento di elementi naturali, tra cui l’ondulazione del terreno.

Cratere dei Niobidi

Un’eco di queste innovazioni può essere individuato in alcune decorazioni pittoriche vascolari, come nel cratere a calice del cosiddetto Pittore dei Niobidi (figli di Niobe): su un lato è dipinto il massacro, da parte di Artemide e Apollo, dei figli di Niobe, che si era vantata di essere più fortunata della dea Latona per avere avuto sette figli e sette figlie (64); sull’altro sono raffigurati Eracle e gli Argonauti (eroi imbarcati sulla nave Argo sotto la guida di Giasone) (65). La struttura compositiva delle due scene è particolarmente articolata e presenta delle novità rispetto alla produzione precedente: i personaggi aumentano di numero e sono disposti su più piani per rendere il senso della prospettiva. Le espressioni dei volti, resi di profilo, frontali e ora anche di tre quarti, tradiscono i sentimenti. Anche le posture dei personaggi sono molto ricercate e trasmettono in modo chiaro i singoli atteggiamenti.

  › pagina 145   

Apollodoro e Zeusi: chiaroscuro e perfezione

Alle ricerche sulla prospettiva si affiancano quelle sul chiaroscuro: l’uso delle ombre permette infatti di dare risalto e profondità alle immagini. Questi aspetti sembrano essere stati sperimentati alla fine del V secolo a.C. da Apollodoro, definito skiagráphos, ossia "pittore delle ombre".
I giochi chiaroscurali sono anche alla base delle opere di Zeusi, nato a Eraclea (non si sa se in Lucania, Magna Grecia o nel Ponto, sulle coste del mar Nero) ma giunto in giovane età ad Atene, dove nella seconda metà del V secolo dipinge una celebre Famiglia dei Centauri. Considerato tra i maggiori esponenti della pittura già dagli antichi, Zeusi è celebre per un aneddoto secondo il quale, incaricato di raffigurare Elena di Troia, donna di straordinaria bellezza, nel Tempio di Hera Lacinia a Crotone, selezionò cinque tra le più belle fanciulle della città e di ciascuna scelse la parte migliore, formando nella sua mente l’immagine di una bellezza perfetta che potè poi rappresentare. Nella concezione estetica di Zeusi, dunque, la perfezione è catturata dall’artista, che ne riconosce i tratti riunendoli poi in una sola figura: questo principio è alla base della concezione dell’artista come creatore e dell’idealizzazione della bellezza umana propria dell’arte classica.

Parrasio, pittore della mímesis

Tuttavia è l’imitazione della realtà (mímesis) il cardine dell’arte pittorica greca: lo testimoniano altri aneddoti tramandati dalle fonti, come quello di una sfida pittorica tra lo stesso Zeusi e il collega Parrasio. Il primo aveva reso un grappolo d’uva con tale verosimiglianza che gli uccelli, ingannati dall’illusione ottica, si erano subito gettati verso l’immagine per beccare i frutti dipinti. Parrasio, tuttavia, riuscì a vincere raffigurando sul dipinto da lui eseguito una tenda talmente realistica da trarre in inganno lo stesso Zeusi, che cercò di scostarla.
Fuori dal racconto, è comunque evidente che siamo lontani dalle grandi scene dal contenuto edificante e celebrativo di Polignoto e Micone. Si va invece verso l’affermazione di un’arte, realizzata di norma in piccoli quadri, dove l’interesse si concentra su un particolare problema di resa mimetica o espressiva, indipendentemente dal messaggio del soggetto.
Parrasio, nato a Efeso, in Asia Minore, e attivo ad Atene tra il 440 e il 385 a.C. circa, era attento a rendere l’eleganza nelle acconciature e l’espressività dei volti: la scelta dei soggetti raffigurati mostra infatti la predilezione per il contenuto patetico e psicologico delle sue opere, come la pazzia di Ulisse o il tormento di Filottete che, secondo un altro aneddoto, l’artista rese studiando l’espressione di uno schiavo sotto tortura.
La perfezione del contorno disegnato e l’effetto plastico della policromia sembrano influenzare anche la ceramica dipinta del periodo: negli ultimi decenni del V secolo si afferma infatti una tecnica a fondo bianco, con figure realizzate in più colori, soprattutto nel tipo delle lékythoi funerarie (66).

  › pagina 146   

Timante e Nicia, imitati a Pompei

Alla seconda metà del V secolo appartiene anche il pittore Timante, nato a Citno, nelle Cicladi: celeberrimo era un suo quadro raffigurante il Sacrificio di Ifigenia, la figlia di Agamennone. L’artista avrebbe scelto di rappresentare non il momento dell’uccisione della vergine, quanto la commozione dei presenti. Secondo le fonti, lo studio della resa psicologica gli permise di esprimere una vera e propria gradazione di sentimenti, dalla tristezza dell’indovino Calcante, al lamento di Menelao (fratello di Agamennone) fino allo strazio di Agamennone, dipinto con il capo velato a suggerire l’impossibilità di raffigurare il dolore paterno. Un affresco dalla Casa del Poeta tragico di Pompei si ispira a questo famoso artista (67). Da Pompei proviene anche un affresco con la liberazione di Andromeda da parte di Perseo, che trae il soggetto da un dipinto di Nicia, pittore ateniese del IV secolo a.C., collaboratore di Prassitele. L’artista decide di rappresentare non il momento culminante della lotta tra Perseo e il mostro marino, ma quello successivo, in cui l’eroe aiuta Andromeda a scendere dalla roccia cui era incatenata: è evidente il contrasto di colori tra la pelle scura di Perseo, raffigurato con un mantello rosso, e l’incarnato bianco di Andromeda, che indossa abiti anch’essi di colore chiaro (68).

Apelle

Nella seconda metà del IV secolo le fonti citano Apelle, artista di fiducia prima di Filippo II e poi di Alessandro Magno, come il migliore tra tutti i pittori. Della sua produzione, però, non sono rimasti che elogi da parte degli scrittori antichi e descrizioni letterarie, accanto a numerosi aneddoti sulla sua figura. In base a quello che si è potuto ricostruire, la sua opera, così come quella di Lisippo nel campo della scultura, determina a tutti gli effetti, con il sapiente uso del chiaroscuro e l’accentuato naturalismo, il passaggio dalla pittura classica a quella ellenistica. Si può cogliere un’eco di questa impronta stilistica in un affresco del IV secolo a.C. proveniente da Ercolano: Eracle e il piccolo Telefo (69).

Dossier Arte - volume 1 
Dossier Arte - volume 1 
Dalla Preistoria al Gotico