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La rappresentazione simbolica della perdizione morale è affidata da Tasso alle immagini del labirinto e del giardino, simboli dello smarrimento della ragione e delle false lusinghe dell’edonismo. Dietro la bellezza si nasconde l’inganno: la perfezione del palazzo circolare della maga si riflette in una fastosa esibizione di opulenza. L’edificio è ricco (v. 1), il giardino è adorno (v. 3) più di ogni altro immaginabile, le porte sono d’effigiato argento (v. 11), i cardini di lucid’oro (v. 12), ma alcuni indizi avvertono della contraddittorietà del luogo, che è chiuso, impenetrabile e depistante: il labirinto invita a entrare con le sue cento (v. 9) porte, ma è studiato dagli architetti diabolici in modo da non permettere di uscirne, con il suo confuso ordin di loggie (v. 6) e le sue oblique vie (v. 7).
L’artificio è la spia della presenza demoniaca e tutto è falso per sembrare vero: l’intervento artistico (come quello che ha scolpito le figure sulle porte) non appare poiché la magia non rivela mai sé stessa, proprio come il peccato si cela sempre sotto una scintillante superficie di allettamenti.