1 - La vita

L’età della Controriforma e del Manierismo – L'autore: Torquato Tasso

1 La vita

La giovinezza e le prime prove letterarie

«Son nato nel regno di Napoli, città famosa d’Italia, e di madre napolitana, ma traggo l’origine paterna da Bergamo, città di Lombardia; il nome e il cognome mio vi taccio, ch’è sì oscuro che, perch’io pur il vi dicessi, né più né meno sapreste delle mie condizioni». Torquato Tasso nasce a Sorrento nel 1544 e in realtà il suo cognome non è affatto sconosciuto: il padre Bernardo, di nobile famiglia bergamasca, è uomo di raffinata cultura, al servizio di vari principi italiani in qualità di cortigiano e militare. Alla nascita del figlio, Bernardo è presso il principe di Salerno, Ferrante Sanseverino; successivamente, per ragioni politiche è costretto a trasferirsi a Napoli, poi a Roma, Bergamo, Urbino e Venezia. Torquato, che perde la madre nel 1556, lo segue nei suoi spostamenti e tenta di emularne l’attività letteraria.

Sulla scia del padre, che sta componendo un poema cavalleresco destinato ad avere un grande successo (Amadigi), inizia la composizione del Gierusalemme, presto interrotto per dedicarsi alla stesura del Rinaldo, pubblicato a diciotto anni nel 1562. In questo periodo il giovane letterato studia legge a Padova e intensifica, dopo i primi esordi risalenti al soggiorno a Urbino, la propria produzione lirica. Le sue muse ispiratrici si chiamano Lucrezia Bendidio, damigella della principessa Eleonora d’Este, e Laura Peperara, cantante e arpista mantovana che ha numerosi ammiratori nelle corti di tutta Italia. Nel 1562 frequenta l’Università di Bologna, ma viene accusato di essere l’autore di una satira contro studenti e professori ed è costretto a fuggire dalla città.

Il periodo ferrarese e l’internamento per infermità mentale

Dopo un breve soggiorno a Padova, nel 1565 Tasso si stabilisce a Ferrara al seguito del cardinale Luigi d’Este ed entra subito nelle grazie dei principi, soprattutto di Eleonora e Lucrezia, sorelle del duca Alfonso II, il quale non nasconde l’apprezzamento per il cortigiano, al punto di ammetterlo nel 1572 tra i propri stipendiati. Le condizioni di servizio di Tasso sono riservate solo ai più fortunati: non è soggetto ad alcun obbligo (un privilegio che non aveva ottenuto nemmeno Ariosto), tranne quello di comporre poesie in onore di casa d’Este; in cambio, oltre a una lauta retribuzione, riceve il titolo di gentiluomo ed è ammesso alla tavola ducale.
Sono anni sereni e pieni di gratificazioni, e la corte estense appare a Torquato la realizzazione di ciò che aveva sognato durante tutta la giovinezza: «Mi parve che tutta la città fosse una meravigliosa e non più veduta scena dipinta e luminosa, e piena di mille forme di varie apparenze; e le azioni di quel tempo simili a quelle che sono rappresentate ne’ teatri». Le aspirazioni coltivate fin dall’adolescenza paiono concretizzarsi: «Io sono capital nemico della fatica e del disprezzo […]. Questo segno [scopo] mi sono proposto: piacere e onore». Per il resto della sua esistenza il poeta inseguirà l’ideale di una vita senza obblighi di sorta, tutta spesa negli studi che gli avrebbero procurato la gloria. Questo sogno è però destinato a spegnersi presto: cominciano infatti a trapelare invidie e sospetti da parte dei poeti e cortigiani della cerchia del duca Alfonso, che secondo Tasso non tollerano il suo successo via via crescente, soprattutto dopo la composizione della favola pastorale Aminta (1573).

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All’inizio del 1575 il poeta conclude un progetto a lungo meditato: un poema eroico sulla prima crociata, la futura Gerusalemme liberata, che al momento ha il titolo provvisorio di Goffredo. Il lavoro, che Tasso vuole fedele ai canoni religiosi vigenti, ne mina, gradualmente, l’ equilibrio psichico. Preso da una smania improvvisa e da una sindrome vittimistica (la sua ipersensibilità lo porta a vedere nemici ovunque), il poeta medita di abbandonare la corte estense e avvia trattative per entrare in quella dei Medici, sebbene Alfonso in un bando del 1573 abbia vietato ai suoi cortigiani di passare ad altro servizio senza la sua licenza.

Nel novembre del 1575, Tasso si reca a Roma. È ormai ostaggio di scrupoli, inquietudini e paure d’ogni genere, timoroso che qualche aspetto dell’opera (l’amore, i troppi incantesimi, una non troppo rigorosa ortodossia cattolica) possa offendere la religione e che il libro sia messo all’Indice. Qui egli intende raccogliere pareri sul suo poema, che sottopone al giudizio e alla correzione di molti, amici e meno amici, non accettandone però i commenti, o perché troppo severi o perché troppo indulgenti. Nemmeno l’assoluzione dell’inquisitore ferrarese calma i suoi timori di aver commesso eresia, quindi comincia a farneticare di folletti e di maghi e a scorgere dappertutto insidie e tradimenti.
In un’occasione, nel 1577, mentre conversa con Lucrezia, credendosi spiato, accoltella un servo. Il duca lo fa rinchiudere in un monastero ferrarese, da cui Tasso fugge per iniziare un lungo, febbrile pellegrinaggio attraverso la penisola. Alla fine di quello stesso anno si presenta a Sorrento, dalla sorella Cornelia: travestito da pastore, le annuncia la propria morte per sondarne la reazione e sincerarsi del suo dolore. Cornelia sviene e il poeta, rassicurato, si fa riconoscere.

Tasso riprende poi i suoi viaggi inquieti, tra Mantova, Padova, Venezia, Urbino (dove compone i celebri versi della Canzone al Metauro), Torino, fino a tornare a Ferrara, nel febbraio del 1579. Qui si aspetta di essere accolto trionfalmente, ma la corte è impegnata nei grandi preparativi per le nozze del duca Alfonso con Margherita Gonzaga e nessuno si preoccupa di accoglierlo degnamente. Nel castello non c’è posto per lui, che viene quindi ospitato nelle stanze del palazzo del cardinale Luigi d’Este: il poeta lo considera un affronto e dà in escandescenze contro il duca, che lo fa rinchiudere nell’Ospedale di Sant’Anna e mettere alla catena, alla stregua di un pazzo.

il carattere

Un poeta tra allucinazione e realtà

Non è sempre facile distinguere il romanzesco dal reale nella selva di aneddoti fiorita intorno alla vita di Torquato Tasso: nessun letterato italiano ha alimentato quanto lui una così fiorente ridda di storie e curiosità nel tentativo di illuminare le bizzarrie, le oscurità e le inquietudini di una personalità tanto complessa.

Malinconico e nevrotico
Il primo biografo di Tasso è stato il poeta stesso, con il suo epistolario. Le lettere ci mostrano da un lato l’incostanza dei suoi stati d’animo, la sua egocentrica esigenza di essere al centro delle attenzioni, riverito e omaggiato, e allo stesso tempo il suo bisogno di sicurezze e di affetti sinceri in un mondo dominato dall’ipocrisia e dalla simulazione. È Torquato stesso a definirsi «melanconico», ipocondriaco, affetto da una nevrosi che si manifesta a intermittenza, con allucinazioni e crisi epilettiche.

Un’insanabile inquietudine
Per noi lettori di oggi è impossibile stabilire se la forma di grave depressione da cui era affetto il poeta fosse, per così dire, la conseguenza di un’indole ipersensibile e di una predisposizione patologica o se siano state le circostanze esterne, gli obblighi morali, i compromessi istituzionali e i vincoli religiosi del suo tempo a destabilizzarne la psiche. Forse sono vere entrambe le ipotesi: Tasso cullava il desiderio di recuperare l’armonia di un’età dell’oro nella quale rivivere il sogno umanistico di una libertà senza confini; al tempo stesso, percepiva in sé e negli altri il peccato, il male, l’eresia: da qui il disprezzo per il prossimo e l’esigenza di punire sé stesso.
Il suo istinto finiva per lottare con la sua ragione, il desiderio d’amore con il senso del dovere, la tentazione di ribellarsi con l’obbligo di obbedire e conformarsi alle norme: a questo conflitto il poeta non ha saputo trovare altra soluzione che una fuga continua, un errare senza sosta che è la più autentica metafora della sua esistenza e del suo carattere.

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Tasso trascorre recluso sette anni, tra periodi di lucidità, durante i quali si dedica alla composizione delle Rime e dei Dialoghi, e cicliche allucinazioni, popolate da diavoli, fantasmi e folletti. In tre diverse lettere del 1585 il poeta descrive le sue visioni: «Il diavolo, co ’l quale io dormiva e passeggiava, non avendo potuto aver quella pace ch’ei voleva meco, è divenuto manifesto ladro de’ miei denari, e me li toglie da dosso quand’io dormo, ed apre le casse, ch’io non me ne posso guardare»; «in questa camera c’è un folletto c’apre le casse e toglie i danari, benché non in grande quantità, ma non così piccola, che non possa scomodare un povero come son io»; «Del folletto voglio scrivere alcuna cosa ancora. Il ladroncello m’ha robati molti scudi di moneta: né so quanti siano, perché non ne tengo il conto come gli avari; ma forse arrivano a venti: mi mette tutti i libri sottosopra: apre le casse: ruba le chiavi, ch’io non me ne posso guardare».

Torquato scrive però anche lettere di tenore diverso, tragiche e accorate, spedite soprattutto ad amici e a potenti signori che in passato lo avevano ospitato e stimato e ai quali chiede di intercedere per la sua libertà presso il duca Alfonso. Finalmente, nel 1586, il principe di Mantova, Vincenzo Gonzaga, ottiene da Alfonso la custodia del poeta, che dopo la lunga reclusione è accolto alla sua corte con festeggiamenti e tributi. Tasso sembra riacquistare l’equilibrio e la serenità, ma è soltanto un miglioramento passeggero.

cronache dal passato

Il legame impossibile fra Torquato ed Eleonora d’Este

Una brevissima storia d’amore tra realtà e leggenda


Fino all’Ottocento romantico, musicisti, artisti e letterati hanno attribuito l’origine dell’infelicità e del tormento del poeta a un amore proibito per la sorella del duca d’Este, l’austera ed enigmatica Eleonora. Tutto ha inizio nel 1572, quando a Torquato, in virtù dei suoi meriti letterari, viene concesso l’onore di sedere alla tavola del duca Alfonso, proprio accanto a Eleonora, sensibile al fascino dei versi del giovane poeta. Si dice che la principessa, che non è più una giovinetta (era nata nel 1537 e quindi aveva toccato i trentacinque anni, un’età ritenuta all’epoca già matura), chieda quotidianamente a Tasso di essere aggiornata sulla stesura della Gerusalemme liberata, di cui vuole conoscere per prima lo sviluppo. Un canto, in particolare, suscita il suo entusiasmo: il sedicesimo, quello in cui si narrano gli amori di Rinaldo e Armida, che Torquato – dicono le malelingue – pare le reciti con troppa foga e passione.
A Ferrara la voce riguardante il sentimento che lega Eleonora e Torquato si diffonde e finisce sulla bocca di cortigiani e popolani: un’istitutrice, dama di compagnia della nobildonna, si sente in dovere di informare il duca. Tasso viene ammonito, bonariamente, ma il turbamento lo porta a compiere un passo falso. Siamo nel 1579: Eleonora interroga il poeta (forse su un verso o un’ottava) e lui, trasportato da un incontrollabile impulso, la bacia in volto. Il duca, presente alla scena, mantiene il controllo e si rivolge così ai cavalieri del suo seguito: «Mirate che fiera disgrazia d’un uomo sì grande che in questo punto è diventato pazzo». Il temerario ha osato troppo: le sue sventure iniziano a questo punto. Poco dopo finirà rinchiuso nell’ospedale dei pazzi di Sant’Anna.
È proprio quest’amore impossibile a causare la lunga prigionia del poeta? O, come assicurano alcuni biografi, le ragioni più profonde della sua reclusione stanno nei timori di Alfonso legati a una personalità tanto scomoda e in odore di eresia?
In ogni caso, dal manicomio Torquato scriverà decine di lettere alla principessa, invocando la sua benevolenza e supplicandola di aiutarlo e salvarlo. Forse è anche per merito suo se le condizioni della prigionia del poeta verranno mitigate sempre più. Ma Tasso non farà in tempo a ringraziarla di persona: quando viene liberato, Eleonora è già morta da anni, uccisa nel 1581 da una malattia.

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Gli ultimi anni: alla ricerca di una serenità impossibile

L’inquietudine riassale presto il poeta, costringendolo a un nuovo ciclo di viaggi senza una meta precisa, sempre alla vana ricerca della tranquillità. Dal 1587 al 1591, Tasso trascorre brevi periodi a Bologna, Roma, Napoli (dove è ospitato nel monastero di Monte Oliveto, a cui dedica l’omonimo poemetto penitenziale), Firenze, prima di tornare – questa volta definitivamente – a Roma. Qui, sotto la protezione di papa Clemente VIII, lavora al rifacimento della Liberata, che prende il titolo di Gerusalemme conquistata (1593).

Il papa concede a Tasso una pensione annua e gli promette l’incoronazione poetica in Campidoglio, com’era avvenuto per Petrarca. Ma l’impegno non può realizzarsi: il poeta, già debole e malato da tempo, sente la fine vicina e si fa condurre nel convento di Sant’Onofrio sul Gianicolo, dove muore il 25 aprile 1595. Per secoli la sua tomba, nella chiesa del convento, sarà meta dei commossi pellegrinaggi dei letterati di tutta Europa.

2 Le opere

La Gerusalemme liberata

A un poema epico sulla liberazione del Santo Sepolcro Tasso lavora da quando è ancora quindicenne fin quasi alla morte: il suo capolavoro è analizzato nella seconda parte dell’Unità (► p. 896), a cui si rimanda anche per seguire il tormentato percorso che porta l’autore dall’incompiuto Gierusalemme (1559-1560) fino alla Gerusalemme conquistata (1593).

La poesia lirica

La vocazione lirica di Tasso, che contraddistingue anche la sua produzione epica, si esprime con compiutezza in una produzione estremamente vasta e varia, sia nei temi sia nei metri utilizzati, dai sonetti alle canzoni ai madrigali.

Rime

La produzione lirica di Tasso risale soprattutto alla giovinezza, anche se non mancano componimenti poetici scritti negli ultimi anni di vita. È inoltre costante il lavoro di revisione e di limatura dei versi, che l’autore pubblica in tre raccolte successive (nel 1567, nel 1591 e nel 1593) senza mai dare loro la forma di un vero e proprio canzoniere, ma assemblandole per lo più in base a un criterio tematico.

Pur aderendo al modello petrarchesco, le circa duemila liriche che costituiscono il suo repertorio poetico sono composte secondo moduli assai originali. In alcuni casi prevale la materia autobiografica e morale, in altri emergono motivi encomiastici e occasionali, in altri ancora – soprattutto nei brevi madrigali – si affina la sua tipica tendenza all’abbandono sensuale.
Specie nelle poesie dedicate a Lucrezia Bendidio e a Laura Peperara, ammiriamo il Tasso che è piaciuto di più ai poeti barocchi: toni patetici accentuati; metafore sorprendenti; desiderio, lascivo o sereno, della bellezza femminile; una raffinata melodia ottenuta dal sapiente variare di ritmi e sonorità verbali. La parte più viva del Tasso lirico è proprio nella componente musicale e soprattutto in quel caratteristico procedere per interrogazioni inquiete o esclamazioni sbigottite, nelle quali il poeta esprime la sua angosciata meraviglia che il mondo sia così diverso da quello splendido che egli si ostinerà a sognare fin quasi alla vigilia della morte.

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Opere teatrali

La produzione teatrale risulta quanto mai congeniale a Tasso per rappresentare l’intreccio tra amore e morte, tema che egli svolge sia dietro l’apparente serenità della favola pastorale sia nei più drammatici conflitti della tragedia.

Aminta

Nel corso del Cinquecento si sviluppa alla corte ferrarese un nuovo genere letterario: la “favola pastorale” o “boschereccia”. Si tratta di opere che, composte da dialoghi in versi e accompagnate da musica, vengono rappresentate durante le feste. Le tematiche sono quelle arcadiche, legate alla descrizione della serena vita dei pastori, che trascorre tra i piaceri della natura e quelli del canto.

 Poesia lirica   Temi e motivi 
Rime • motivo autobiografico
• argomento amoroso

 Opere teatrali   Temi e motivi 
Aminta • motivi della tradizione bucolica
• raffinatezza e gusto dell’evasione nel passato
• tema amoroso
• riflessioni sull’impossibile serenità

 Opere in prosa   Temi e motivi 
Discorsi sull’arte poetica e Discorsi sopra il poema eroico • riflessione teorica
• finalità etica del genere epico
• tema del poema eroico tratto dalla materia cristiana (la prima crociata)
Dialoghi • temi vari: amore, cortesia, amicizia, questioni filosofico-morali ed estetiche
Epistolario • argomenti vari

 Opere del periodo fiorentino   Temi e motivi 
Monte Oliveto • omaggio alla vita solitaria
Stanze per le lagrime di Maria Vergine e Stanze per Le lagrime di Gesù • preghiere che narrano i patimenti della Vergine e di Gesù
Le sette giornate del mondo creato • poema sacro sulla nascita del mondo
• sistema filosofico di matrice cristiana contrapposto alla visione materialistica di Lucrezio
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L’Aminta (1573) è una favola pastorale divisa in 5 atti, ciascuno seguito da un coro, ed è composta in un’alternanza di endecasillabi (specie nelle parti discorsive) e settenari (prevalenti nelle parti liriche). Tasso vi riprende i motivi sentimentali e idillici della tradizione bucolica classica (Virgilio) e umanistica (Poliziano e soprattutto il Sannazaro dell’Arcadia) con un linguaggio maturato attraverso lo studio della poesia latina e volgare.

In un’atmosfera di sogno si svolge la delicata storia dei due protagonisti, il giovane pastore Aminta e la bella ninfa Silvia. Aminta ama Silvia, che però è restia e sdegnosa. Un altro pastore, Tirsi, aiutato dall’esperta Dafne, tenta invano di vincere le ritrosie di Silvia. La vicenda si scioglierà grazie a un equivoco tragico: Aminta tenta di suicidarsi gettandosi da una rupe e Silvia, che lo crede morto, è sconvolta dal rimpianto, dal pentimento e dal dolore. Aminta però si salva e può finalmente unirsi con la donna amata, celebrando in tal modo il trionfo d’amore, tema caro alla letteratura rinascimentale.
Le rappresentazioni dell’opera a corte riscuotono subito un grande successo, dovuto, oltre che alla sapiente fattura formale del testo, alla componente autobiografica: sotto il nome e le fattezze dei principali personaggi si nascondono infatti le figure della corte ferrarese, compreso il poeta stesso, che si cela dietro la saggia maschera di Tirsi.

Le caratteristiche principali dell’opera sono la raffinatezza e il gusto dell’evasione in un passato favoloso e lontano, che Tasso sa valorizzare grazie a un’originale fusione di piacevole liricità e languido patetismo. Il tema centrale, come voleva la tradizione pastorale, è quello amoroso, qui evocato come un sentimento legato alla giovinezza, all’innocenza e alla libertà. Tuttavia, mentre esprime l’aspirazione a un mondo di incontaminata dolcezza, il poeta sente il timore di non poterla realizzare: come evidenzia il commosso coro del primo atto, l’amore non diventa mai una libera tensione alla felicità, ma si ricollega sempre a una percezione di incompiutezza, di irrequieta caducità e di morte incombente. Anche il testo in apparenza più leggero e disincantato di Tasso si rivela, sotto la sorridente superficie dello scherzo letterario, il canto nostalgico di una serenità irraggiungibile.

Re Torrismondo

Riprendendo un suo testo del 1573, Galealto re di Norvegia, Tasso porta a termine nel 1587 questa tragedia in 5 atti, che mette in scena uno dei temi a lui più cari: il conflitto tra gli istinti e la norma sociale. Torrismondo, violando la legge dell’amicizia, ha posseduto Alvida, la donna destinata al suo amico Germondo. Quando poi si scopre che quella donna è sua sorella, l’orrore dell’incesto porta i due amanti al suicidio. Il soggetto è esotico e ambientato in un tempestoso paesaggio nordico, ma si rifà anche alla vicenda dell’Edipo re del tragediografo greco Sofocle (497 ca-406 a.C.). Tipico dell’arte tassiana è però il dramma dell’uomo dinanzi alle passioni irrazionali e a una sorte maligna che lo condanna alla sofferenza e alla morte.

Gli scritti in prosa

Tasso è anche autore di una cospicua produzione in prosa, caratterizzata da una grande varietà di temi. Possiamo distinguere in essa le opere teoriche, le composizioni dialogiche e il ricco epistolario.

Discorsi dell’arte poetica e Discorsi del poema eroico

In queste due opere teoriche – scritte rispettivamente nel periodo giovanile, nel 1567- 1570, e in quello della maturità, nel 1594 – Tasso approfondisce la riflessione sulla poesia epica, precisando le motivazioni che lo inducono a preferire questo genere letterario: oltre a permettere un livello stilistico più alto (il sublime si addice alla tragedia, come il mediocre alla poesia lirica e l’umile a quella comica), esso tende, grazie alla tragicità del contenuto, a una finalità morale, raggiungibile anche mediante la sostituzione del mito classico con le allegorie cristiane.

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Rifiutando una letteratura dal carattere puramente edonistico, vale a dire finalizzata solo al diletto, Tasso sostiene la necessità che la poesia eserciti un benefico «giovamento» morale e spirituale. Per questo, egli difende la scelta di affidarsi all’autorità della Storia, privilegiando la materia cristiana e, nello specifico, le vicende della prima crociata. Il tema della narrazione infatti non deve essere né troppo lontano né troppo vicino nel tempo: se fosse lontano, il lettore moderno non ne trarrebbe interesse; se fosse vicino, egli non sarebbe portato a credere alla presenza del meraviglioso. Tale «meraviglioso» non deve fondarsi sulla mitologia pagana né sulla tradizione cavalleresca, ma piuttosto attingere al patrimonio delle narrazioni cristiane, ricchissimo di miracoli e prodigi, di interventi divini e trame demoniache.
Infine l’argomento deve essere illustre e le azioni molteplici, ma è necessario che la «varietà» sia temperata da una grande compattezza e da una rigida costruzione narrativa, che impediscano al poema di risolversi in una libera successione di eventi, come accade invece nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto.

Dialoghi

Si tratta di 27 prose, composte in gran parte durante la detenzione del poeta nell’Ospedale di Sant’Anna a Ferrara. In forma di conversazioni tra diversi personaggi, affrontano alcune questioni estetiche e di filosofia morale, dalla virtù all’amore, dall’amicizia alla cortesia. Celebri, fra le altre, sono Il Messaggiero, scritto nel 1580 ma rimaneggiato più volte in anni successivi, in cui Tasso discute con uno spiritello sull’essenza delle creature che fanno da tramite fra la divinità e l’uomo, e Il padre di famiglia, anch’esso del 1580, esaltazione dell’ambiente domestico, raccolto e lontano dai clamori della vita cortigiana e politica.

Epistolario

Sono oltre 1500 le lettere di Tasso che oggi possiamo leggere, pubblicate in parte tra il 1587 e il 1588, mentre l’autore è ancora in vita. Esse rappresentano per noi una miniera di confessioni e racconti, utilissima a comporre quel ricco e contraddittorio mosaico che è la vita interiore del poeta. Questo straordinario epistolario, tuttavia, non è espressione soltanto di sentimenti e umori del tutto istintivi e autentici, ma costituisce pur sempre un documento letterario elaborato e raffinato, in cui le riflessioni personali si intrecciano ad annotazioni poetiche e religiose, volte a trasmettere al lettore l’immagine più rassicurante e socialmente accettabile del letterato di successo.

Opere di argomento religioso

Negli ultimi anni di vita, oltre a lavorare alla Gerusalemme conquistata, Tasso compone una serie di opere di carattere devozionale.

Monte Oliveto

È un poema incompiuto in ottave, scritto nel 1588, in cui il poeta celebra la vita solitaria come valido antidoto agli affanni del mondo. Il titolo è un omaggio ai frati del monastero napoletano che lo ospitano quello stesso anno.

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Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo

Sono due poemetti in ottave del 1593, che si ricollegano a un genere letterario detto “pianto”, fiorito in epoca controriformistica e consistente in una vera e propria preghiera che passa in rassegna i patimenti dei personaggi della storia sacra.

Le sette giornate del mondo creato

Si tratta di un poema sacro in endecasillabi sciolti, scritto tra il 1592 e il 1594 e pubblicato postumo, in cui Tasso celebra e descrive la creazione divina del mondo. Secondo alcuni critici quest’opera andrebbe considerata una sorta di risposta polemica al poema latino De rerum natura (La natura delle cose): a Lucrezio, che nel I secolo a.C. illustrava la nascita del cosmo sulla base della visione del mondo materialista del filosofo greco Epicuro, Tasso oppone un sistema filosofico e poetico di matrice cristiana.

La vita
Le opere
• Nasce a Sorrento 1544  
• Si trasferisce con il padre a Napoli, Roma, Bergamo, Urbino e Venezia 1552-1560  
• Muore la madre 1556

1559-1560 Gierusalemme
• Studia legge a Padova e frequenta brevemente l’Università di Bologna 1560-1565

1562 Rinaldo
• Si trasferisce a Ferrara al seguito del cardinale Luigi d’Este 1565

1567 Rime (prima raccolta)
1567-1570 Discorsi dell’arte poetica
• Entra al servizio del duca Alfonso II 1572

1573 Aminta
1575 Goffredo
• È rinchiuso in un monastero ferrarese per problemi psichici 1577  
• Torna alla corte di Ferrara
• È rinchiuso nell’Ospedale di Sant’Anna
1579 Dialoghi (composti fino al 1595)
  1581 Gerusalemme liberata
• Dimesso dal manicomio, è accolto presso il principe di Mantova Vincenzo Gonzaga 1586

1587 Re Torrismondo
• È a Bologna, Roma, Napoli 1587-1591

1588 Monte Oliveto
1591 Rime (seconda raccolta)
1592-1594 Le sette giornate del mondo creato
1593 Gerusalemme conquistata
Rime (terza e ultima raccolta)
Le lagrime di Maria Vergine e Le lagrime di Gesù Cristo
1594 Discorsi del poema eroico
• Muore a Roma, nel convento di Sant’Onofrio 1595  

I colori della letteratura - volume 1
I colori della letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento