Gli ultimi anni, l’esilio e la morte

Le origini e il Duecento – L'autore: Dante Alighieri

Gli ultimi anni, l’esilio e la morte

Sulla strada del ritorno dalla missione diplomatica a Roma, probabilmente a Siena, Dante apprende di essere stato condannato il 27 gennaio del 1302 all’esilio per due anni, oltre che all’esclusione dagli uffici pubblici. È accusato di baratteria, cioè di avere tratto illeciti guadagni dagli incarichi ricevuti dal Comune, con l’aggravante di essersi dimostrato ostile al papa e al suo rappresentante Carlo di Valois. Non essendosi presentato a discolparsi, una successiva sentenza (10 marzo) lo condanna a morte e alla confisca di tutti i beni.

Ha inizio così la sua vita di fuoriuscito. Dante – che polemicamente si definirà, nelle sue lettere, florentinus et exul immeritus (“fiorentino ed esule senza colpa”) e anche florentinus natione, non moribus (“fiorentino di nascita, non di costumi”) – si troverà a peregrinare di corte in corte nell’Italia settentrionale: da Forlì a Verona, ad Arezzo, poi nel Trevigiano e in Lunigiana; forse si reca anche a Parigi.
Nel 1304, dopo essere stato il rappresentante dei bianchi in esilio, il poeta rompe definitivamente con loro, probabilmente deluso dall’esito disastroso di un’iniziativa militare (la battaglia della Lastra) che ha avversato energicamente.

Nel 1310 la discesa in Italia dell’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo, con l’obiettivo di riportare la penisola sotto il controllo imperiale, riaccende in Dante la speranza di tornare a Firenze, ma la morte improvvisa di Arrigo nel 1313 (a Buonconvento, presso Siena) gli spegne ogni illusione.

Già alla metà di quell’anno (secondo altri non prima del 1315) è ospite a Verona di Cangrande della Scala, vicario imperiale in Italia, presso il quale si tratterrà fino al 1318-1320. Successivamente è a Ravenna, ospite di Guido Novello da Polenta: lì termina il Paradiso (mentre i primi canti dell’Inferno sono stati scritti molti anni prima, quando è ancora a Firenze). Al ritorno da un’ambasceria a Venezia, il poeta muore a Ravenna, probabilmente di malaria, fra il 13 e il 14 settembre del 1321.

Il ritratto di Dante

Della figura di Dante ha scritto Giovanni Boccaccio: «Fu il nostro poeta di mediocre statura, ed ebbe il volto lungo e il naso aquilino, le mascelle grandi, e il labbro di sotto proteso tanto, che alquanto quel di sopra avanzava; nelle spalle alquanto curvo, e gli occhi anzi grossi che piccoli, e il color bruno, e i capelli e la barba crespi e neri, e sempre malinconico e pensoso».
Ma, fra tante immagini che rimangono in dipinti, miniature e sculture, nessuna ci dà con sicurezza il suo ritratto. Le più attendibili ci presentano due tipi, entrambi senza barba: uno, d’aspetto giovanile, è quello dell’affresco eseguito dalla bottega di Giotto nel Palazzo del Podestà di Firenze (a lato); l’altro, in sembianza d’uomo maturo, deriva probabilmente da un dipinto di Taddeo Gaddi in Santa Croce ed è conservato, più o meno fedelmente, in diversi manufatti presenti a Firenze.

Al cuore della letteratura - volume 1
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Dalle origini al Trecento