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Quando un quadro fa scandalo

Il grande scrittore Émile Zola, raffigurato da Manet nel ritratto illustrato nelle pagine precedenti, si era interessato soprattutto agli artisti che la critica accademica rifiutava come irriverenti. Non a caso, nel suo libretto che fu pubblicato con la copertina blu e dedicato a Manet, considerava il pittore suo amico come uno dei maestri della sua epoca, giudicando il dipinto intitolato l’Olympia il suo capolavoro.
Zola fu tra i primi a difendere Manet dalle malelingue, quando scoppiò lo scandalo per l’esposizione dell’Olympia. Per Manet, come lo scrittore aveva ben capito, si trattava di una provocazione, il pretesto per affermare che l’arte deve essere “sincera” e non “perfetta”. In altre parole, la pittura deve ritrarre la realtà e le contraddizioni del mondo moderno e non gli ideali di perfezione della tradizione classica, ormai considerati sorpassati. Così, quando Manet rende omaggio al celebre romanziere con il suo ritratto nello studio, “appende” simbolicamente il proprio dipinto di Olympia alla parete, nella migliore tradizione del quadro nel quadro.

Con il quadro noto come Olympia, Manet reinventa il tema tradizionale del nudo femminile, già rappresentato da molti artisti nel pieno Rinascimento. Esposta al Salon parigino del 1865, l’opera suscitò uno scandalo senza precedenti, non solo per il soggetto raffigurato, ma anche per il linguaggio pittorico particolarmente realistico. Manet dipinge una domestica di colore che porge i fiori di uno spasimante alla giovane nuda, che guarda con provocazione lo spettatore, fisso negli occhi. Ai suoi piedi c’è un gattino nero assai vispo invece del consueto cagnolino, simbolo di fedeltà, che si vede invece nella Venere di Urbino di Tiziano (vedi alle pagine 248-249).

Di solito, nella storia della pittura occidentale, quando un artista doveva raffigurare una donna nuda su un letto, era costretto a ricorrere a un soggetto tratto dalla mitologia classica. Così, per esempio, aveva fatto Tiziano con diverse versioni della Danae, tema utile a rappresentare l’erotismo. Goya invece è uno dei primi a dipingere una donna reale e non mitica.
La Maya desnuda (“Maya” non è un nome proprio, ma significa “bella”, in spagnolo) fu dipinta da Goya attorno al 1800, per la collezione d’arte del duca Manuel Godoy, e forse ritrae la sua amante, la nobildonna Pepita Tudó. Il collezionista spagnolo aveva nel suo studiolo privatissimo anche altri celebri nudi, come la Venere di spalle di Velázquez (vedi alla pagina 288) e una Venere di Tiziano di cui si è persa traccia. Inoltre, in seguito aggiunse alla sua collezione il quadro di Goya che ritrae la stessa donna vestita: ora i due dipinti sono esposti uno accanto all’altro al Museo del Prado di Madrid.

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